venerdì 28 gennaio 2011

Non nascita e non morte



di Thich Nhat Hanh

Una signora che era qui con noi ieri è dovuta partire perché le è morta la madre. Credo che le sarebbe piaciuto molto restare con noi e condividere il discorso di Dharma, ma lo ascolterete anche per lei. Quando una persona che ci è molto cara muore non sappiamo dove andrà, e non sappiamo se la incontreremo ancora in futuro, da qualche parte. Nell'insegnamento del Buddha si parla di non venire e non andare. Si tratta di un modo profondo di vedere se quella persona cara è ancora con noi o non c'è più.
Faremo ora insieme un esercizio sul non andare e non venire. L'altro giorno ho detto che nel buddhismo si preferisce la parola manifestazione piuttosto che creazione; quando facciamo il gesto di accendere un fiammifero in realtà non siamo noi ad accendere la fiamma, ma piuttosto la aiutiamo a manifestarsi. Se si guarda profondamente in questa scatola di fiammiferi, potremo vedere che la fiamma c'è già, non la vediamo davvero, ma sappiamo che la fiamma c'è ed aspetta solo di manifestarsi.
Tutte le condizioni sono già sufficienti tranne una, e l'ultima è il movimento della mia mano. Già da ora possiamo parlare alla fiamma e dirle: "Per favore, fiamma, manifestati". Se non ci fosse, non potremmo parlarle così. Per piacere, aiutatemi a parlare alla fiamma ed ecco la risposta della fiamma: vedete, la fiamma si è manifestata, starà un pochino con noi e poi se ne andrà.
Ora parliamo di nuovo alla fiamma: "Cara fiamma, da dove sei venuta? Dove sei andata, mi manchi tanto". Nello stesso modo una persona che ci è molto cara si è manifestata ad un certo punto della nostra vita e poi è andata via. Crediamo che prima che apparisse non esisteva, e che dopo la sua scomparsa non esiste più perché abbiamo la nozione di essere e non essere. Qualifichiamo il prima della manifestazione come non essere e la manifestazione come essere. Poi, dopo la cessazione della manifestazione, è di nuovo un non essere. Secondo il Buddha questi due concetti non possono essere applicati alla realtà. Prima che la fiamma si manifesti non si può chiamarla "non essere", e quando si manifesta è sbagliato considerarla "essere". Infine quando la manifestazione cessa di nuovo sbagliamo dicendo che non è.
Secondo il Buddha, quindi, la natura della fiamma non è né essere, né non essere. La vera natura della fiamma è libera dalla nozione di essere e non essere. Nell'insegnamento del Buddha, "essere e non essere non è questo il problema". Nirvana è l'assenza di tutte le idee, comprese quella sull'essere e non essere. Chiediamo allora alla fiamma: "Da dove sei venuta?", e se ascoltiamo profondamente la fiamma ci dirà: "Caro amico, non sono venuta da nessun luogo, quando le condizioni sono sufficienti mi manifesto. E andrò ovunque, non importa dove, quando le condizioni non saranno sufficienti. Cesserà la manifestazione, ma non andrò da nessuna parte".
Possiamo comprendere l'affermazione fatta dalla fiamma e possiamo comprendere che la natura della fiamma non è né andare né venire. La realtà è libera dalle nozioni di essere, non essere, andare e venire.
Quando ci capita di perdere qualcuno molto vicino, vi prego, praticate nel modo suggerito dal Buddha. Potrete toccare davvero la sua presenza se eliminerete le nozioni di essere e non essere, andare e venire. Una volta ho fatto un discorso di Dharma a Plum Village e negli occhi dei bambini ho letto che avevano compreso questo essere e non essere, non andare e non venire. Se i bambini prestano attenzione, possono anche loro comprendere i discorsi di Dharma. Chiediamo alla fiamma di manifestarsi, inspiriamo ed espiriamo con attenzione ed aiutatemi a chiedere alla fiamma di manifestarsi: "Cara fiamma, per favore manifestati." Proviamo ad accendere una candela: la fiamma è la stessa di quella di prima o è diversa? Non rispondete subito, prima dobbiamo praticare il guardare profondamente. È la stessa o sono diverse?
Il Buddha ci direbbe che non sono né la stessa né sono diverse, perché la realtà trascende le idee di stesso e diverso. Se lasciamo la candela una mezz'ora e poi torniamo, vedremo che la fiamma è ancora lì e la fiamma sarà la stessa, o meglio pensiamo che la fiamma sia la stessa, ma se guardiamo profondamente vedremo che ogni fiamma ha il suo ossigeno con cui bruciare, il suo combustibile di cui vivere, e se guardiamo ancor più profondamente vedremo che c'è una successione di fiamme, che non è la stessa fiamma che ha una certa durata, ma è piuttosto la successione di una moltitudine di fiamme.
Immaginiamo che qualcuno al buio tenga una torcia in mano e con quella luce disegni un cerchio: se non siamo molto lontani dalla persona avremo l'impressione che sia un cerchio di fuoco, mentre non è affatto un cerchio di fuoco quanto il susseguirsi del movimento a darci l'impressione di un cerchio di fuoco. Allo stesso modo, se abbiamo una cinepresa, possiamo fare un esperimento analogo: con la successione di tanti fotogrammi daremo l'impressione del movimento. Ma guardando profondamente potremo vedere la successione di una moltitudine di immagini. Quindi pensare che la fiamma sia la stessa è un'illusione ottica, ma anche dire che sono fiamme diverse, che non hanno collegamento tra loro, non è corretto. Con la pratica del guardare in profondità si può dire che la natura della fiamma non è né di essere la stessa né di essere diversa. Ora, per non dimenticare, abbiamo bisogno che qualcuno scriva sulla lavagna queste parole: "Non andare, non venire; non essere, non non essere; non uguale e non diverso". Crediamo che la fiamma sia nata quando Thay l'ha accesa e che sia morta quando Thay l'ha spenta, quindi abbiamo ancora una nozione di nascita e morte. All'inizio di questo discorso vi ho invitato a pensare ai fenomeni come a qualcosa che si manifesta e non a qualcosa che nasce.
Guardiamo questo foglio di carta e pensiamo che sia venuto fuori dal nulla. Perché nella nostra mente nascere significa che da niente diventiamo qualcosa. Nascere significa che da nessuno diventiamo qualcuno. Nascere significa che da non essere diventiamo essere. Percezioni sbagliate. Questo foglio di carta prima di essere foglio di carta era già qualcosa? Guardando profondamente dentro il foglio di carta possiamo vedere la presenza di alberi, di foreste, del sole, dell'acqua. Tutto in un foglio di carta. E quindi è facile vedere che prima di essere foglio di carta era già qualcosa. Sarebbe sbagliato dire che il foglio di carta è venuto dal nulla, quella nella quale ora lo vediamo è solo una nuova manifestazione. Prima di nascere come foglio di carta, già era stato albero, pioggia, sole, e il momento che noi crediamo sia quello della nascita in realtà è solo una continuità. Il giorno del nostro compleanno è più appropriato cantare: "Buona continuazione", anziché: "Buon compleanno". Vorrei chiedere a questo bambino quando è nato. Prima di quella data esistevi già? "Sì". Quindi, se esistevi già qual è il significato di nascere? Lo chiediamo a questa bambina. Esistevi prima di essere nata? "No". E se non esistevi già, come hai fatto a nascere da tua madre?
Alcuni mesi prima che tu nascessi, la mamma già ti sentiva, eri già lì, quindi la data che è sul tuo certificato di nascita non è esatta. E prima del concepimento esistevi già? Almeno per il 50% nella tua mamma e il 50% in tuo padre. Guardando in questo modo scoprirai che ci sei sempre stata, e che la tua vera natura è la natura di non nascita. I nostri amici di tradizione cristiana non credono che Gesù non esistesse prima del concepimento. Era già lì prima di nascere. E nel suo insegnamento, anche dopo la crocifissione, ha continuato ad essere. La sua natura è di non morte: non solo il Cristo e il Buddha hanno la natura di non nascita e di non morte, ma tutti noi.
Lo scienziato francese Lavoisier disse: "Nulla nasce e nulla muore", non conosceva il buddhismo, ma ha detto la stessa cosa del Sutra del cuore che abbiamo cantato stamane. Facciamo un esperimento: proviamo a bruciare questo foglio di carta e vediamo se diventa niente, perché secondo la nostra mente quando qualcosa nasce poi muore e da niente diventa qualcosa per diventare poi di nuovo niente. Il foglio di carta bruciato è niente. No, questo non è niente, si è trasformato in qualcosa di diverso, prima in fumo che è salito in cielo e ha raggiunto una nuvoletta: possiamo guardare il cielo e salutare il foglio di carta bruciato. Ma si è anche trasformato in calore, quasi bruciava le mie dita e quel calore è penetrato nel mio corpo e nel vostro. E così quando tornerete a casa, porterete quel foglio con voi.
Uno di voi può portare questa cenere in un campo e magari il prossimo anno quando tornerò per un altro ritiro la troverò trasformata in fiore. Quindi il momento della morte del foglio di carta non è altro che un momento di continuazione. Per lo stesso motivo non dovremmo essere tristi quando qualcuno muore, perché la sua morte è un momento di continuazione. Non solo durante un compleanno possiamo cantare: "Buona continuazione", ma anche nel momento in cui uno muore. È un momento di un nuovo inizio, e se noi guardiamo con gli occhi del Buddha non possiamo sentire tanta disperazione. Se guardiamo in cielo possiamo vedere tante belle nuvole e quando viene il tempo in cui dovranno trasformarsi in poggia, la nuvola non avrà paura. Essere una nuvola che si muove nel cielo, ma alla stesso modo essere la pioggia che cade sulla terra è ugualmente una cosa meravigliosa. Se noi vogliamo vedere solo la nuvola, piangeremo quando si trasformerà in pioggia, e perciò in meditazione guardiamo profondamente per vedere la nuova manifestazione dei nostri cari, e allora potremo dire loro: "So dove siete e cercherò di identificare la vostra nuova manifestazione".
Il Buddha disse: "Se guardi in profondità nella tua vera natura scoprirai che la tua vera natura è di non nascere e di non morire, non venire e non andare, non uguale e non diverso, non essere e non non essere. Se riuscirai a vedere la tua vera natura, allora sarai libero dalla sofferenza."
Nel buddhismo esiste un termine che molti non comprendono: nirvana. Nirvana significa estinzione, ovvero estinzione di tutte le idee e di tutti i concetti, dell'idea di andare, venire, essere e non essere. Perciò dovremmo praticare abbastanza in modo da guardare in profondità e riconoscere la nostra vera natura.

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Lo scopo della pratica è di liberarci dalla sofferenza, ma il più grande sollievo è di toccare la nostra vera natura di non nascere e non morire. Ecco perché non dovremmo essere troppo indaffarati nella vita quotidiana, ma trovare sempre il tempo di praticare questo meraviglioso insegnamento del Buddha che ne costituisce la crema, il nettare; sarebbe un terribile spreco non riuscire a praticarlo.
Al tempo del Buddha, c'era un praticante di nome Anathapindika che era un uomo d'affari molto generoso sia dal punto di vista delle risorse materiali che delle energie che metteva al servizio dei più deboli e poveri. La gente nel suo paese lo amava, tanto che gli aveva dato questo nome che significa "colui che si prende cura degli emarginati". Un giorno si recò nel boschetto di bambù dove il Buddha meditava e gli chiese di accettarlo come suo discepolo e poi lo invitò a recarsi nel suo paese, Kosala. E quando il Buddha accettò, egli tornò felice nel suo paese per trovare un luogo degno di ospitare il Buddha e i suoi discepoli, trovò il palazzo di un principe il quale fu contento di metterlo a disposizione del Buddha e dei suoi discepoli come centro di pratica. Poi l'uomo d'affari con sua moglie e i tre figli presero i cinque meravigliosi addestramenti di consapevolezza e praticarono insieme al Buddha. Cinque anni dopo, Anathapindika si ammalò gravemente e il Buddha personalmente andò a trovarlo a casa, dopodiché chiese al suo discepolo più anziano, Sariputra, di prendersi cura di quell'uomo. Sariputra era intimo amico di Anatapindika perché quando quest'ultimo aveva invitato il Buddha nella sua terra lo aveva aiutato ad organizzare l'accoglienza. Sariputra chiese al venerabile Ananda, suo fratello di Dharma, di accompagnarlo a far visita al morente.
Anatapindika fu felice di vedere arrivare i due monaci al suo capezzale, ma era talmente debole da non riuscire a mettersi a sedere e allora Sariputra disse: "Caro amico, non devi metterti a sedere, noi prenderemo due sedie e ci siederemo accanto a te per parlare".
Dopo essersi seduto Sariputra chiese: "Caro amico, come stai? Il dolore del corpo sta diminuendo o sta crescendo?" "Caro venerabile Sariputra, il dolore del mio corpo non sembrerebbe proprio diminuire, sta aumentando piuttosto." Shariputra allora propose la meditazione delle tre Rimembranze: la rimembranza del Buddha, la rimembranza del Dharma e la rimembranza del Sangha.
Sariputra era uno dei discepoli più intelligenti del Buddha, egli sapeva che per più di venti anni Anatapindika aveva provato piacere ad essere al servizio del Buddha, del Dharma e del Sangha e perciò sapeva bene che praticare le tre rimembranze avrebbe annaffiato i semi della gioia e dunque propose proprio questo esercizio. Immaginate i due monaci seduti al capezzale di quest'uomo che praticano la meditazione guidata. Dopo circa otto minuti i dolori diminuirono e il sorriso ricomparve sul suo viso. Dobbiamo ricordare l'esperienza di Sariputra quando sediamo accanto a qualcuno gravemente ammalato, così da annaffiare i semi della gioia e dare sollievo alla sua mente ed al suo corpo. Subito dopo, Sariputra invitò Ananda e Anatapindika a continuare una meditazione sui sei organi di senso:

"Questi occhi non sono me,
io non sono preso da questi occhi;
questo corpo non sono io,
io non sono preso da questo corpo;
questa coscienza mentale non è me,
io non sono preso da questa coscienza mentale."


Dovete sapere che i sei organi di senso, ossia i cinque sensi più la mente, si manifestano quando le condizioni sono sufficienti e se noi ci identifichiamo con loro, la disintegrazione del corpo diventa molto dolorosa. Perciò non dobbiamo identificarci con i sei organi di senso che includono la coscienza mentale e il corpo. In questo modo potremo cancellare tutta la paura che si prova in punto di morte.
C'è una pratica che dice:

"L'elemento terra non è me,
io non sono racchiuso dall'elemento terra;
l'elemento acqua non è me,
io non sono limitato dall'elemento acqua;
l'elemento fuoco, il calore in me, non è me,
io non sono limitato dall'elemento fuoco;
l'elemento aria non è me,
io non sono limitato dall'elemento aria".


Quando le condizioni sono sufficienti, allora il corpo si manifesta, ma il corpo non viene e non va da nessuna parte. Prima della manifestazione del corpo non possiamo qualificare il corpo come non esistente. Dopo la cessazione della manifestazione del corpo non possiamo qualificare il corpo come non esistente. La natura del corpo e anche della nostra mente è la natura della non nascita, non morte, non andare, non venire. Ed è proprio questo insegnamento del non nascere, non morire, non andare, non venire che abbiamo imparato all'inizio del discorso di Dharma.
Quando arrivò a questa pratica, le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance di Anatapidika e Ananda, sorpreso, gli chiese che cosa gli stesse succedendo: "Perché piangi, hai dei rimpianti?" "No, venerabile Ananda, non ho nessun rimpianto." "Oppure non hai praticato con successo la meditazione guidata?" "No, venerabile, ho praticato la meditazione guidata con molto successo" "E allora, perché piangi?" "Piango perché sono commosso, ho praticato il rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha per più di trent'anni, ma non ho mai provato una pratica così meravigliosa come quella fattami provare oggi dal venerabile Sariputra". Al che Ananda replicò: "Caro amico, questo insegnamento il Buddha lo impartisce a noi monache e monaci tutti i giorni". Anatapitika disse: "Per favore, va e riferisci che è vero che ci sono persone che non praticano l'insegnamento dell'essere e non essere, non andare e non venire, non nascere e non morire, ma ce ne sono tante altre però che amano molto praticarlo. Chiedo quindi che il Buddha offra questo insegnamento anche ai laici e non solo ai monaci." Fu questa l'ultima frase pronunciata da Anatapidika prima di morire in pace.
Questa storia si trova nel libro appena tradotto: "I canti di Plum Village", nella parte dedicata agli insegnamenti per l'uomo moderno. Per favore, prendetene visione; il mio consiglio è di non essere troppo indaffarati nella vita quotidiana. Dovremmo avere il tempo per praticare ogni giorno questi insegnamenti, perché, se veramente pratichiamo liberandoci della paura, la nostra felicità aumenterà centinaia di volte, e se sediamo accanto ad una persona in fin di vita senza paura potremo davvero aiutarla a non aver paura.



Thich Nhat Hanh, 1° novembre 2000, Castelfusano (Roma).

Trascrizione del discorso di chiusura del ritiro di Castelfusano.
La prima parte è l'insegnamento che Thich Nhat Hanh ha rivolto ai bambini presenti al ritiro.

Dal sito "Essere Pace": http://www.esserepace.org/testi/011100.html


mercoledì 19 gennaio 2011

Tutto l’universo obbedisce all’amore




Tutto l’universo obbedisce all’amore - Franco Battiato


Rara la vita in due fatta di lievi gesti
e affetti di giornata, consistenti o no,
bisogna muoversi come ospiti pieni di premure
con delicata attenzione per non disturbare...

ed è in certi sguardi
che si vede l’infinito

Stridono le auto come bisonti infuriati,
le strade sono praterie...
accanto a grattacieli assolati,
come possiamo tenere nascosta la nostra intesa

ed è in certi sguardi
che s’intravede l’infinito

Tutto l’universo obbedisce all’amore,
come puoi tenere nascosto un amore.
Ed è così
che ci trattiene nelle sue catene
tutto l’universo obbedisce all’amore

Come possiamo
tenere nascosta la nostra intesa
ed è in certi sguardi
che si nasconde l’infinito

Tutto l’universo obbedisce all’amore,
come puoi tenere nascosto un amore.
Ed è così
che ci trattiene nelle sue catene
tutto l’universo obbedisce all’amore...


venerdì 7 gennaio 2011

Risvegliarsi è smettere di sognare



– da “Psicomagia. Una terapia panica”
di Alejandro Jodorowsky


Sogno lucido, sogno terapeutico, sogno saggio, sogno umile, sogno generoso... Cos’è per te l’ultimo dei sogni, il nec plus ultra onirico?

Il sogno magico, creativo. In tutti questi anni di esplorazione onirica, ne ho fatto uno solo; eccolo:

Sono nella mia camera da letto. Appoggiandomi nell’aria con i palmi delle mani, spicco il volo. Decido di sentire tutta la potenza della mia voce. Lascio che il canto fuoriesca, emetto con forza incredibile alcuni suoni che superano di gran lunga gli acuti da opera lirica. Non devo sforzarmi per tirare fuori la voce: la invoco e viene. Non devo fare altro che lasciarla uscire dalla bocca per scoprirla viva e magica... Profondamente emozionato, sento che mi sto aprendo a una dimensione interiore finora sconosciuta. Del tutto ludico, apro gli occhi e mi sveglio: il cuore mi batte all’impazzata. Senza muovermi, richiamo alla memoria tutti i particolari del sogno. D’improvviso sento un canto, né vicino né lontano. Non proviene da una voce umana, ma non per questo smette di avere una sonorità umana: è come se l’intero quartiere di una città si fosse messo a cantare. Quel canto sembra provenire da un’altra dimensione. Dico a me stesso che sono ancora mezzo addormentato e devo osservare più lucidamente ciò che sta accadendo. Il fenomeno si ripete e mi abbandono all’ascolto, anche se il carattere assolutamente inedito dell’esperienza mi ha alterato il battito cardiaco. Da una parte, mi sento vittima di un’allucinazione; dall’altra, mi sembra che si stia aprendo uno spiraglio verso quello che potremmo chiamare non il terzo occhio ma il terzo udito, quello del “chiaroascolto”... Mi addormento profondamente e, in sogno, mi vedo in una via di Montmartre. Cammino mormorando: “Era una voce divina, la voce di una dea. Non proveniva da un essere umano ma dalla realtà stessa. Proveniva dalle strade, dalle case, dall’aria...”.


Formidabile. Ma torniamo a quel sogno che si chiama realtà: è possibile, come affermano alcuni saggi, vedere la propria vita come un sogno dal quale ci si dovrebbe svegliare?

Direi piuttosto che quel sogno inconscio che è la nostra vita deve diventare un sogno lucido. Ci fu un tempo in cui, prima di addormentarmi, avevo l’abitudine di passare in rassegna tutti gli avvenimenti del giorno. Visualizzavo il film della mia giornata, prima dalla mattina alla sera, e poi al contrario, secondo il consiglio di un antico libro di magia. La pratica della “retromarcia” mi permetteva di distanziarmi dagli eventi della giornata. Dopo aver analizzato, giudicato e preso posizione una prima volta, ripassavo il giorno in senso inverso e allora mi trovavo distante. La realtà, captata in questo modo, acquistava il carattere di un sogno lucido. Mi sono reso conto che anch’io, come tutti, in buona misura, sognavo la vita! Passare in rassegna la mia giornata di sera equivaleva alla pratica di ricordare i miei sogni di mattina.
Il mero fatto di ricordare un sogno equivale a organizzarlo. Non vedo il sogno intero ma solo alcuni particolari che ho selezionato. Analogamente, nel ripercorrere le ultime ventiquattr’ore, non rivivo tutti i fatti del giorno ma solo quelli che ho trattenuto. Questa selezione costituisce già una sorta di interpretazione sulla quale, in seguito, fondo i miei giudizi e i miei apprezzamenti. Per essere più coscienti di questa situazione, possiamo cominciare con il distinguere la nostra percezione del giorno dalla sua realtà oggettiva. Quando saremo in grado di non confonderle più, potremo assistere come spettatori allo sviluppo della giornata, senza lasciarci influenzare da giudizi o valutazioni. In veste di testimoni, si può interpretare la vita come si interpreta un sogno.

[...]

Posto che sogniamo la nostra vita, dobbiamo interpretarla e scoprire ciò che sta tentando di dirci, i messaggi che intende trasmetterci, fino a trasformarla in un sogno lucido. Una volta acquisita la lucidità, saremo liberi di intervenire sulla realtà sapendo che, se ci limitiamo a occuparci dei nostri desideri egoistici, saremo travolti, perderemo l’imparzialità di giudizio, il controllo e, di conseguenza, la possibilità di compiere un atto vero. Per poterci divertire comportandoci in questo modo, dobbiamo farci coinvolgere sempre meno sia dal sogno notturno sia da quello diurno che chiamiamo vita.


Questo distanziamento che non impedisce né l’azione né la compassione, ma non ammette né desiderio né pietismo, assomiglia molto alla saggezza.

Certo! A che cosa ti serve vivere con i tuoi sogni e fare uno sforzo per cercare di ottenere la lucidità, se non per trovare la saggezza? La realtà è un sogno nel quale dobbiamo lavorare per poter passare progressivamente dal sogno inconscio, sprovvisto di qualsiasi lucidità – che può sempre trasformarsi in incubo –, a quello che io chiamo “sogno saggio”.


E il Risveglio? Le tradizioni spirituali parlano di coloro che si sono risvegliati...

Risvegliarsi è smettere di sognare. In altre parole, è sparire da questo universo onirico per trasformarsi nella persona che lo sogna.




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