Con la primavera del 1905 erano trascorsi nove anni dall’arrivo di Sergei a Valaam. Nove anni di servizio, contemplazione e addestramento al combattimento e alla vita. Sergei aveva trentadue anni. L’irruenza giovanile aveva lasciato il posto a uno stato mentale più riflessivo, a un sobrio senso di maturità, umiltà e visione: i primi segni della trasformazione che Serafim gli aveva predetto.
Dalla morte di Anya, Sergei aveva dedicato più di dieci anni a preparare la vendetta. A volte continuava a sembrargli giusta e onorevole, altre volte una forma di pazzia. Ma un uomo uccide la tua famiglia e tu gli spalanchi i cancelli dell’inferno, ecco tutto.
Era diventato un formidabile guerriero e senza saperlo aveva superato di molto Alexei il Cosacco e Razin. Dentro di lui scorrevano una nuova energia e una nuova forza, un senso di maestria e di invincibilità temperato soltanto dalle regolari bastonate di Serafim.
Questa metamorfosi era accompagnata da un senso di impazienza che scorgeva ogni volta che si poneva la domanda che si era fatto tante volte: per quanto tempo ancora lascerò che Dimitri Zakolev calpesti questa terra? La sua mente volava a sud, verso la Zona di Residenza, dove quell’uomo continuava a spargere sangue innocente.
Pensava che ormai fosse giunto il momento di andarsene, ma non era facile dire addio. Ammirava e invidiava Serafim per la sua pace interiore, uno stato di grazia che forse Sergei non avrebbe mai conosciuto. Ma aveva intravisto la possibilità di imparare un giorno quello che il vecchio monaco avrebbe voluto insegnargli davvero.
La prossima volta che si incontrarono, annunciò la sua decisione: “Serafim, è venuto il momento di andare per la mia strada”.
Il monaco si accarezzò la barba e disse: “Così sia. Ma come pensi di sconfiggere tanti uomini se non riesci nemmeno a mettere fuori combattimento questo vecchio monaco?”.
“Volete dire che prima di potermene andare devo sconfiggervi?”.
“Puoi andartene quando vuoi. Questo è un eremo, non una prigione”.
“Vorrei andarmene con la vostra benedizione”.
“L’hai avuta sin dal primo giorno, e anche prima di allora...”.
“So che capite che cosa intendo, Serafim”.
Il vecchio monaco sorrise. “Ormai ci capiamo benissimo. Stavo semplicemente dicendo che, se riesci a sconfiggermi, vorrà dire che sei pronto”.
In passato si erano affrontati molte volte, ma questa era diversa. Non si sarebbe più trattato di un bambino contro un gigante. Adesso Sergei non aveva dalla sua solo la rapidità e la giovinezza, ma i frutti di un lungo addestramento. Praticava anche mentre mangiava, lavorava, contemplava, persino nel sonno. Sì, era pronto.
Annuì, e Serafim annuì di rimando.
Si misero uno di fronte all’altro e iniziarono a studiarsi. Sergei fece un profondo respiro e lanciò un colpo preciso ma ingannevole, tentando una finta. Serafim non abboccò e rimase rilassato, mentre Sergei gli danzava attorno. Poi il vecchio monaco fece un passo in avanti e mosse un braccio. La mossa improvvisa rischiò di sbilanciare Sergei, che riuscì a mantenere l’equilibrio e la concentrazione. Si gettò in avanti per afferrare il suo avversario per la veste...
Il suo maestro si spostò come un soffio di vento.
Tirò calci, pugni e gomitate, ma Serafim li evitava con tale rapidità che Sergei non trovava mai un punto da colpire. Il suo avversario non era mai dove Sergei si aspettava che fosse. Allora cambiò tattica e invece di cercare l’avversario aprì lo sguardo e la sensibilità a tutto quello che c’era: Serafim, il cielo, la terra... Riuscì a buttarlo a terra, ma cadendo Serafim trascinò con sé Sergei. Si rialzarono nello stesso istante. La lotta continuava, ma il conflitto era scomparso. Non c’erano più, né Serafim né Sergei. Solo energia in movimento.
Sergei balzò in avanti, ma prima che il suo piede toccasse il suo suolo, Serafim svanì e ricomparì in un altro punto, mentre con il piede colpiva il polpaccio di Sergei. Sergei cadde e Serafim gli fu subito sopra, pronto a sferrare il colpo decisivo. L’incontro era finito.
Fu la prima volta in cui si misurarono in uno scontro quasi vero. Serafim non stava solo giocando con lui, ormai Sergei era troppo bravo. E finalmente Sergei vide le qualità che il suo maestro possedeva e che a lui mancavano ancora. Nonostante la sconfitta, fu un progresso decisivo: in quei pochi istanti, Sergei aveva messo a frutto mesi di allenamento. L’avevano capito entrambi, così come entrambi sapevano che Sergei non se ne sarebbe andato. Almeno, non subito. L’addestramento continuava.
Ma sarebbe cambiato al di là di qualunque aspettativa.
La volta successiva, Serafim disse semplicemente: “Tutto ciò che hai imparato è stato solo una preparazione a quello che ti insegnerò adesso. Sarà la tua rinascita, ed è la pratica che mi ha dato le modeste capacità di cui sono in possesso. Avrei potuto insegnartela subito, ma in questo caso ci avresti messo vent’anni. Allenandoti come ho fatto, ho abbreviato i tempi come volevi tu. Con le capacità che hai sviluppato, credo che quest’ultima pratica non ti richiederà più di un anno. Guarda!”.
Fu il metodo più radicale di combattimento che Sergei avesse mai visto. Cominciò con una sola parola: “Preparati!”, seguita da altre tre: “Sto per colpirti”.
Sergei si rilassò nella consapevolezza allargata a cui era stato addestrato. Attese, vigile. Continuava ad attendere, ma Serafim rimaneva immobile come una statua. Sergei fece un lunghissimo respiro profondo, poi un altro. Poi non si tenne più. “Allora, attaccate o no?”.
“Sto attaccando”.
“Cosa? Non capisco”.
“Sttt! Silenzio, per favore. Le parole spingono l’attenzione verso la mente inferiore e rischi di non vedere quello che sta accadendo”.
Nel silenzio che seguì, Sergei riuscì finalmente a vedere che cosa stava accadendo. Il braccio e il corpo di Serafim si stavano effettivamente muovendo verso di lui, ma con una tale lentezza che sembrava fermo.
Passò un altro minuto. “Maestro, avete voglia di giocare? Che cosa significa tutto questo?”.
“Ascolta ogni momento”, rispose Serafim in tono appena udibile. “Senti tutto il tuo corpo, dalla punta dei piedi alla cima della testa e alle dita delle mani. E armonizza il ritmo della tua risposta al ritmo dei miei movimenti”.
Sergei sospirò e iniziò a muoversi con tutta la lentezza possibile. Era frustrante e privo di senso. Ciò nonostante seguì i movimenti del suo maestro per tutti i lunghi minuti che occorsero a Serafim per completare la presa a gancio che aveva iniziato molti minuti prima.
Muovendosi con quella lentezza, Sergei si accorse di alcuni punti di sottile tensione nelle gambe, nell’addome e nelle spalle, e li rilassò.
Quando il primo movimento fu completato, Serafim ne iniziò un altro, anche se era difficile dirlo con sicurezza. Sergei ruppe il silenzio: “Capisco il valore di praticare lentamente, ma non muoversi affatto? Potrei bloccarvi come voglio, oppure andare in cucina, lavare le pentole e tornare prima che voi mi colpiate”.
“Rilassati... respira... guarda”, ripeté Serafim. “Fai come faccio io”.
E continuarono a muoversi lenti e silenziosi come il sole che scende nel cielo all’ora del tramonto.
Il tempo si fermò mentre la pratica continuava. Passarono intere settimane prima che nei movimenti di Serafim apparisse un cambiamento visibile. Si muovevano ancora come attraverso una densa melassa, ma adesso i loro movimenti erano quasi percepibili.
Sergei correggeva gli squilibri di cui fino a quel momento non era mai stato consapevole e imparava a rilassarsi sempre più profondamente nel movimento. Il corpo rispondeva con naturalezza a qualunque situazione, senza nessuno sforzo, e la consapevolezza permeava ogni poro.
Iniziò a sentire i sottili rapporti tra le varie parti del suo corpo, gli organi interni, le ossa, le giunture e le linee di energia che partendo dal cuore scorrevano nelle braccia e nelle gambe, che divennero docili estensioni del loro centro.
A volte Serafim sussurrava: “Muoviti come un’onda... Cresci, allargati, ricadi...”, ma in genere praticavano in silenzio, perché le parole erano inutili. Il movimento divenne una meditazione profonda e a volte, quando l’energia sgorgava dal cuore, si trasformava in una preghiera.
Nei mesi successivi, Serafim continuò ad attaccarlo con quel movimento fluido e lentissimo: un pugno... ginocchio... gomito... mano sinistra... mano destra... colpo diretto... presa... calcio... presa... da tutte le angolazioni. Il sole si muoveva nel cielo, le ombre sulla terra cambiavano, le stagioni si susseguivano.
Verso le metà dell’estate, dopo migliaia di attacchi ognuno dei quali prendeva un intero minuto, nacque in Sergei un nuovo senso del ritmo e della fluidità. Da tempo aveva abbandonato i pensieri ed era tutto un gioco di energie. Qualunque risposta avveniva da sola: movimenti privi di pensiero, risposta priva di sforzo. Sergei avrebbe potuto continuare nel sonno, anche se era l’esatto contrario del sonno. Era pura consapevolezza: nessun io, ma solo due corpi che si muovevano come uno solo, come il vento che soffia diverso a seconda della stagione.
Quando arrivò l’autunno, i movimenti richiedevano solo quindici secondi, poi dieci, poi cinque... ma Sergei non si era neppure accorto della riduzione dei tempi. Il movimento era diventato immateriale. Qualunque forza lo colpisse, veniva assorbita e restituita e percepiva il processo sin nel midollo. Ormai possedeva le abilità di un maestro, ma non era lui a dirigerle.
Con l’inverno, gli attacchi divennero sempre più veloci. Sergei li neutralizzava tutti rimanendo semplicemente consapevole, senza fare nulla volontariamente.
In un momento di grazia, Sergei “vide” l’eleganza e l’efficacia dei movimenti di Serafim e ne rimase profondamente meravigliato. Ma la cosa più incredibile era che sapeva fare lo stesso.
Aveva abbandonato ogni resistenza della mente e del corpo ed era diventato vuoto, un canale in cui scorreva l’energia vitale. Prima aveva imparato a credere a Serafim, poi a credere al suo corpo e adesso era arrivato finalmente a credere in Tutto Ciò Che È.
Un’altra primavera arrivò nel ciclo delle stagioni. I colpi di Serafim erano veloci come il lampo, così veloci che l’occhio non riusciva a coglierli, ma ormai non faceva nessuna differenza. Solo un anno prima, Sergei non sarebbe neppure riuscito a vederli, per non parlare di pararli. Ma adesso la velocità con cui venivano portati non costituiva più un problema.
Poi, senza preavviso, durante un attacco, Serafim si fermò.
Sergei cadde quasi. Il suo corpo era un’unica vibrazione. Sentiva un’aura di energia che li attorniava.
“Un bel movimento, vero?”, disse Serafim.
Sergei annuì sorridendo, mentre il sole primaverile calava all’orizzonte.
“Qual è la prossima pratica?”, chiese.
“Nessuna. Abbiamo finito”.
Per qualche secondo, Sergei udì solo il vento che soffiava tra gli alberi. Non essendo sicuro di avere capito, chiese conferma: “Volete dire che il mio addestramento è completo?”.
“L’addestramento non finisce mai”, rispose Serafim. “Continua a evolvere, a seconda degli obiettivi. Ma adesso conosci l’essenza del movimento e della vita. Hai anche imparato qualcosa sull’arte del combattimento. Hai avuto quello che volevi”. E aggiunse: “Domani andremo a fare una passeggiata e dimenticheremo ogni desiderio di vendetta. Ci sono scopi molto più elevati”.
“Ma Serafim, voi sapete benissimo...”.
“Domani. Ne riparleremo domani”.
Il giorno dopo, Sergei riprese la frase che aveva interrotto: “Voi sapete che ho fatto un voto sulla tomba della mia famiglia”.
“Un voto fatto a te stesso, non a Dio. In verità, Socrate, non hai altri nemici che te stesso. Trova la pace dentro di te e nessuno potrà mai sconfiggerti. E tu non vorrai sconfiggere nessuno”.
Camminarono a lungo in silenzio, prima che Sergei rispondesse. “Un mio antico insegnante diceva che prendere un impegno significa fare quello che ci si è proposti di fare, o morire nel tentativo”. Guardò negli occhi Serafim. “E io ho preso un impegno, padre Serafim. Devo portarlo fino in fondo”.
Il vecchio monaco sembrava molto stanco. “Non vorresti rimanere con noi, come uno di noi, solo per qualche anno?”.
“Mentre quegli uomini continuano a uccidere?”.
“Gli uomini uccidono su tutta la terra, Socrate. La natura uccide, con le tempeste, i terremoti, le malattie e le carestie. In questo momento, migliaia e migliaia di innocenti stanno morendo. Ne sei forse responsabile? Chi ti dà il potere di decidere chi deve vivere e chi deve morire? Chi sei tu per pretendere di conoscere il volere di Dio?”.
“Di quale Dio parlate, padre Serafim? Del Dio di misericordia e di giustizia che nella sua infinita saggezza mi ha tolto la mia famiglia? È questo il Dio che voi pregate?”.
Serafim sollevò le sopracciglia canute con aria perplessa ma felice. “Finalmente ti poni la domanda che ha gravato sulla tua anima per tutto questo tempo, Socrate! Vorrei avere una risposta, parole dolci per lenire il tuo cuore, ma Dio è un mistero per gli uomini, anche per me. Un uomo saggio, un ebreo di nome Hillel, disse: ʻCi sono tre misteri in questo mondo: l’aria è un mistero per gli uccelli, l’acqua è un mistero per i pesci e l’umanità è un mistero per gli uomini’.
“Per me, Dio è il mistero più grande, anche se ci è più intimo del battito del cuore, più vicino del nostro respiro. Ci circonda come l’aria, come l’acqua, ed è sempre presente. Ma la mente non può conoscere Dio, solo il cuore può farlo. È nel cuore che troverai la fede”.
“Ho smesso di credere in Dio molti anni fa”.
“Anche chi non crede è circondato da Dio. Come potrebbe essere diversamente?”. Lo guardò profondamente negli occhi. “Sprofonda in questo mistero, Socrate. Credi. Smetti di pensare di sapere che cosa deve essere e cosa non deve, e ritroverai la fede”.
Sergei scosse la testa. “Le vostre parole hanno il sapore della verità, ma non riesco ad afferrarne il significato profondo”.
“Una volta non riuscivi nemmeno ad afferrare la mia veste. Poi, con un po’ di pazienza, hai visto che cosa sei riuscito a fare?”.
“Con la pazienza e la pratica”.
“Sì, e forse è venuto per te il momento di praticare... in un altro modo”. Si interruppe, alla ricerca delle parole giuste. “La tua pratica ti ha fatto vedere i limiti della mente. L’intelletto è una meravigliosa scala per salire al cielo, ma si ferma alle porte del paradiso. Da quel punto in avanti, solo la saggezza del cuore può illuminare il cammino. L’antico filosofo che portava il tuo nome, Socrate, diceva ai giovani ateniesi che la saggezza inizia dalla meraviglia...”.
“Parole bellissime, padre Serafim. Ma in pratica, che cosa dovrei fare?”.
“Quello che dobbiamo fare tutti: mettere un piede davanti all’altro. Tu sei solo l’attore di una commedia che nessuno, salvo Dio, conosce. E a volte mi chiedo se anche Dio non ne ignora il senso!”, disse Serafim ridendo. “Possiamo recitare soltanto il ruolo che ci è stato assegnato, capisci? Tutte le persone che incontri nella vita, buone o cattive, ti sono mandate da Dio. Incontrale con un cuore in pace e uno spirito guerriero. Fallirai molte volte, ma fallendo imparerai, e imparando troverai la tua via. Nel frattempo, arrenditi a Dio e alla vita che ti viene data, momento per momento”.
“Ma come fare per conoscere il volere di Dio?”.
“La fede non si basa sulla conoscenza certa. Esige il coraggio di accettare che tutto ciò che accade, piacevole o doloroso, serve a uno scopo più alto”.
E con quelle parole ritornarono all’eremo.
– da “I viaggi di Socrate. La vera storia del Guerriero di Pace” di Dan Millman –