mercoledì 23 ottobre 2013

Per vivere occorre perdere il centro. Per non morire occorre ritrovarlo.


“Piccola morte”

di Simone Perotti


E’ difficile spiegare, come dice la canzone. Sei mesi lontano da casa, immerso nell’altra grande abitazione. Gran parte nel mio Paese, il mare, diviso in varie nazioni. Ho attraversato sei volte un confine, quella linea illusoria per recludere e proteggere chi non sa che è cittadino di se stesso.

Ho dormito in tanti letti, in treno, in aereo, su una barca, in case del passato, in case del futuro. Parlato, bisbigliato, sussurrato con centinaia di persone, lungo una via, intorno a un tavolo, muovendomi, in assoluta immobilità. Chi abita la sua vita è apolide, nomade. Si potrebbe tracciare una funzione matematica tra stanzialità e omologazione, o almeno la ripetizione degli stessi percorsi e l’alienazione. In questi sei mesi non ho mai fatto due volte lo stesso percorso. Dunque non sono mai tornato.

E’ difficile spiegare, tuttavia. Per vivere occorre perdere il centro. Per non morire occorre ritrovarlo. Nello spazio di nessuno, in mezzo, ci sono io. Ma non sono solo: chiunque non si stia lasciando vivere è lì. Vi regna la solitudine, dove non si è mai soli. Non chiedetemi come, perché non lo so così bene da poterlo spiegare. Certamente il tutto non si manifesta gratuitamente. Siete dotati di denaro esistenziale? Bene, preparatelo nella tasca, stringetelo già nel pugno, perché ogni tanto c’è un casello, bisogna pagare.

Sei mesi troppo lontano. Non ho ancora perduto tutte le cime, non mi posso permettere di navigare senza entrare mai in porto. Nell’abito ci si abita, appunto, e la consonanza non è occasionale. Non dice il Vangelo che quando Dio cacciò Adamo ed Eva diede loro abiti di pelle perché si coprissero? Non erano indumenti, erano i sacchi di pelle, i loro corpi. Loro erano anime, e per diventare umani avevano bisogno di zavorra che le corredasse. Abitare implica l’abito, come fuggire necessita di un nemico e tornare di una casa. In principio era il Logos, la parola, poi tutto si è confuso in una faccenda di involucri e giacigli. “La vita dà all’uomo strani compagni di letto” (Shakespeare).

Partite quando siete sicuri, ma proprio sicuri. Non è un tentativo di dissuasione, solo un avvertimento. Perdere la cella ha i suoi effetti collaterali. Qua fuori serve un cuore duro, perché ai nomadi capita di struggersi in cerca di compagnia. Che non c’è sempre, almeno non nel deserto frequentato dai nomadi. Liberi (lo si ricordi) non è solo una faccenda che ha a che fare con la perdita del capufficio, l’eccesso di ripetizione e la voglia di togliersi il peso dal cuore. Liberi è una malebenedetta avventura, dove talvolta non passano i treni, si finisce in luoghi impensabili e i conti non tornano. Liberi è laggiù, non qui. E’ dove neppure si pensa, oltre il confine, oltre l’ultima frontiera, senza casa, senza cose, abitando l’inospitale, ospitati da abiti che non conoscono alcun lucore dell’abitudine. Liberi è tanto, non pensateci con le categorie che avete ora. Però può somigliare a troppo, che ora non sapreste concepire. Ce la si fa, ma a volte somiglia alla “piccola morte”, quando il piacere e il dolore si mescolano e sembrano la stessa, unica, terribile, splendida cosa. Solo che non lo è.


http://www.simoneperotti.com/wp/2013/09/28/piccola-morte/


mercoledì 18 settembre 2013

La vita come sogno collettivo


di José Stevens

Da un punto di vista sciamanico, l’universo materiale in cui viviamo è un sogno collettivo e la vostra storia personale è un sogno individuale localizzato. Lo Spirito non ha attaccamento per questi sogni. Potremmo dire che lo Spirito crea i sognatori e partecipa ai loro sogni.

I sognatori sono tutti gli elementi e i costituenti del piano fisico. Ogni elemento costitutivo ha il potere di sognare a livelli diversi di sofisticatezza. Il sogno di una pietra non è elaborato come il sogno di una farfalla e il sogno di una farfalla è superato per complessità dal sogno di un cane. I sognatori più sofisticati sono gli esseri umani e i cetacei (delfini e balene). Siamo in grado di fare sogni incredibili; purtroppo, a causa di una commistione di amnesia, creatività, libero arbitrio ed egoismo, a volte i nostri sogni si trasformano in incubi.

È come se, nell’atto della creazione, lo Spirito avesse deciso per una politica di non ingerenza. Ha creato i sognatori e ha deciso di rispettare qualunque loro sogno, sapendo ovviamente che alla fine tutti i sognatori si sarebbero risvegliati e avrebbero riconosciuto il fondamento comune dell’universo: l’amore.

Molte persone che devono affrontare vite particolarmente difficili maledicono lo Spirito, accusandolo di crudeltà. Ma se riflettete, lo Spirito non avrebbe potuto fare in altro modo senza limitare il libero arbitrio. Se non avete la libertà di creare tutti i sogni che volete, potreste sentirvi delusi e lamentarvi che il sogno è truccato. La via amorevole dello Spirito è la totale libertà di sognare e di scoprire. Questa è una comprensione fondamentale della vita sciamanica.

Da un punto di vista sciamanico, quando un grande numero di esseri umani si unisce, i loro sogni collettivi diventano molto potenti. A lungo su questo pianeta i sogni hanno riguardato la sopravvivenza; poi venne un periodo di sogni focalizzati sull’ordine, le leggi, il controllo e la vita comunitaria; poi i grandiosi sogni di ambizione, potere e ricchezze materiali. Questi sogni si fondano sulla credenza che siamo esseri separati in competizione tra loro e che la forza creatrice dell’universo non esiste, oppure esiste sotto forma di una irata forza punitiva esterna. Oggi questi potentissimi sogni vecchi di secoli sono tutti interconnessi e forniscono una poderosa spinta all’umanità.

Il sogno collettivo ha sviluppato un ego personale, un’identità a se stante fondata su ciò che è diventato: una lunga storia. Il sogno collettivo del pianeta ha un grande potere e sembra inghiottire tutto sul suo cammino. Nutre i sogni personali di tutte le persone su questo pianeta. Ritiene che il cibo più saporito sia il dramma, soprattutto se pieno di emozioni: rabbia, paura, invidia, gelosia e violenza. Il sogno collettivo non solo banchetta con queste cose, ma esige che tutte queste cose mantengano l’identità che il sogno ricorda. E così il sogno collettivo condiviso dagli uomini continua a provocare sempre nuovi traumi per avere cibo di cui nutrirsi, come una foresta in fiamme che esige famelicamente altri alberi per nutrire il fuoco dell’incendio. Questo sogno rafforza continuamente se stesso a ogni istante attraverso “sempre di più” della stessa cosa.

I sogni personali della maggior parte delle persone sono risucchiati in questo vortice e senza saperlo contribuiamo a questo immenso incubo. A volte sogniamo cose piacevoli come un rapporto amorevole, un lavoro soddisfacente e creazioni di grande bellezza, ma tutte queste cose non stimolano il sogno collettivo storico come fanno invece i traumi più profondi. Quindi, prima o poi ognuno tende a cadere in questo grande sogno oscuro per venirne apparentemente vittimizzato e schiavizzato. Un maestro sciamano direbbe che gli esseri umani sono diventati pecore o mucche in fila per il macello. I risultati non sono belli.

Essendo un sogno è di natura soggettiva, ma ha un’energia interna e il suo potere proviene da questa energia. Ciò significa che è alimentato letteralmente dai suoi sognatori che credono di non avere altra possibilità che sognare questo incubo collettivo. Invece possiamo scegliere.

Il punto di vista sciamanico è che un nuovo sogno è possibile, ma richiede che un numero sufficiente di sognatori si svegli dall’incubo collettivo e trasformi il proprio sogno. Alcuni sciamani e mistici sono riusciti a risvegliarsi dal sogno collettivo e, in certa misura, sono anche riusciti a svegliare altri influenzando il loro sogno. Ma in genere questi maestri non sono stati ascoltati, perché pochi esseri umani sono abbastanza maturi per capire quello che dicono. Qualcuno li ha seguiti e si è risvegliato dal suo personale contributo all’incubo collettivo, ma quasi tutti hanno incorporato le parole di quei maestri nel normale sogno senza svegliarsi affatto, esattamente come un dormiente può incorporare nel sogno che sta facendo il suono di una sirena che passa per strada.

Molti sciamani nativi credono che oggi, per la prima volta, esista a livello collettivo la possibilità per l’umanità di svegliarsi dal vecchio sogno negativo di massa. Abbiamo la possibilità di creare un nuovo sogno, un sogno che consente ai sognatori di risvegliarsi all’interno del loro sogno e scoprire che stanno sognando, in modo da assumere il controllo cosciente sul sogno. Il nuovo sogno può includere tutto ciò che desideriamo di più: cooperazione, condivisione, rapporti amorevoli, coesistenza pacifica, grande creatività che produce grande bellezza e ispirazione, guarigione di massa e coesistenza sostenibile con la Natura.


– da “I segreti degli sciamani. Il risveglio al mondo degli spiriti” di Sandra Ingerman e Hank Wesselman


venerdì 6 settembre 2013

Pura Luce




Renato Zero - Pura Luce


Ma non senti crescere un canto
con le note più belle del mondo
sono gli amici persi nel vento
che ci vengono incontro...

Oltre il tempo l'amore ha vinto
il segreto è nell'anima accanto
per questa notte oltre la vita
per ogni lacrima che scenderà
un abbraccio ci perdonerà

Quante stelle cadono in mare
padri figli in un solo colore
ogni paura ora è lontana
dagli errori dell'umanità

Apri gli occhi...
siamo pura luce ormai

Mille voci un fuoco una casa
non tardare non tradire l'attesa
che io ti aspetto come ogni sera
per parlarti dell'eternità

Apri gli occhi...
sei la sola verità

Ormai...

Cuori in tempesta
la morte ci sfida
la tua mano riconoscerò
di seguirti non mi stancherò...
io no



martedì 27 agosto 2013

Il coraggio di vivere senza paura



Guardandoci intorno, è facile constatare come nel nostro tempo il concetto di coraggio non goda, in termini generali, di troppa considerazione.

Il coraggio è una qualità che accomuniamo spesso al concetto di eroismo, riferendoci ai gesti eccezionali di quanti mettono a repentaglio la propria vita per un bene superiore o per la vita di un’altra persona.

Ma solo di rado il coraggio viene esaltato come una virtù da coltivare e mettere in pratica quotidianamente. Ciò che più sembra contare oggi, al contrario, è il concetto di sicurezza. Spesso ci viene consigliato di non rischiare, di non fare mosse azzardate. Rimanere in una posizione di confort, non esporci, non parlare agli estranei, stare attenti e vigili, sospettosi del prossimo. Restare al sicuro e non correre rischi non necessari.

C’è, tuttavia, un effetto secondario non irrilevante in tutto ciò: riconoscere alla stabilità e alla sicurezza personale un’importanza eccessiva nella tua vita può, infatti, indurti a condurre un’esistenza di mera reazione, improntata al mantenimento piuttosto che allo sviluppo attivo. Invece di pianificare i tuoi obiettivi e perseguirli nel modo da te stabilito, assumendo un ruolo di assoluta responsabilità nelle tue scelte e nelle tue azioni, finisci al contrario per giocare in difesa, rimanendo al sicuro e cercando di respingere gli attacchi al guscio che ti sei creato.

Continui allora a rimanere nel tuo lavoro, anche se non ti soddisfa, solamente perché si tratta di un posto sicuro, senza neppure adoperarti attivamente per cercarne un altro che davvero ti stimoli e ti faccia sentire vivo. Continui a restare in una relazione nella quale l’amore e la passione sono svaniti da tempo, senza preoccuparti di come rivitalizzarla, solo perché il rapporto va ormai avanti da anni e non è il caso di metterlo in discussione. Preferisci seguire il flusso degli eventi, anziché cercare di assumerti le tue responsabilità e determinarne il corso. Preferisci rimanere al sicuro, non esporti, adottando un atteggiamento passivo e sperando che i venti della vita ti conducano in una direzione favorevole. Si può fare di meglio? Credo proprio di sì.

Il passo fondamentale per assumere la piena responsabilità della nostra esistenza è acquistare coraggio, vivere senza paura. Non parlo del coraggio di lanciarsi con il paracadute o di tuffarsi da una roccia a picco sul mare. Parlo del coraggio di affrontare tutte quelle paure che ti trattengono dall’esprimerti compiutamente e dall’affermare la tua personalità in modo assoluto, senza maschere e timori. Parlo dell’abilità di affrontare la paura del fallimento. La paura del rifiuto. La paura di essere umiliati. La paura di restare soli. La paura di non farcela.

Tutti noi abbiamo queste paure, nessuno escluso. Ciò che ci differenzia, però, è la volontà di riconoscerle, accettarle e affrontarle. La maggior parte delle persone ignora queste paure, le rifiuta, non le accetta, semplicemente le nega, trova delle giustificazioni. Se non parli in pubblico è perché non hai nulla da dire, è ovvio. Se non ti rivolgi a un estraneo è solo perché potresti risultare scortese, certo. Ma pensaci bene, come vivresti la tua vita se non avessi nessuna paura? Non usciresti dalla tua zona di sicurezza? Non esprimeresti più facilmente le tue idee invece di conformarti a quelle degli altri? Non sarebbe più agevole aprirti totalmente al prossimo? Pensa a come vivresti più compiutamente la tua vita se le tue paure non ti frenassero, pensa a come potresti crescere e svilupparti come individuo. Per fare ciò tutto quello di cui hai bisogno è il coraggio.


Cos’è il coraggio?

Ma cos’è esattamente il coraggio? Cosa significa vivere senza paura? Il coraggio, semplicemente, non è assenza di paura: al contrario, è la capacità di agire nonostante si provi paura. Le persone coraggiose provano certamente paura, ma non consentono che la paura le paralizzi. Le persone coraggiose riconoscono, accettano e affrontano le loro paure, anche se queste le terrorizzano. E ciò le aiuta ad acquisire sempre maggiore coraggio, come in un circolo virtuoso: più affronti le tue paure, più guadagni coraggio.

Al contrario, coloro che mancano di coraggio, hanno la tendenza a sentirsi sollevati e come liberati da un peso quando riescono ad evitare le loro paure: se sono stati in grado di fuggire una paura, infatti, il sollievo che ne deriva agisce come un premio alla loro impresa, rinforzando ancor più la loro timidezza e la loro mancanza di coraggio. Si entra in un circolo vizioso.

Questi atteggiamenti volti a evitare la paura producono nel lungo termine effetti permanenti. Invecchi e cominci a dare le tue paure per scontate, i tuoi timori finiscono per appartenerti e divengono parte integrante della tua personalità. Allora cerchi di razionalizzare i tuoi comportamenti e giustificare le tue paure. Hai una famiglia da mantenere e non puoi prendere rischi, sei troppo in là con gli anni per poter cercare un nuovo lavoro, non puoi smettere di fumare perché ormai hai preso il vizio, non puoi dimagrire per via dei tuoi geni. Allora trascorrono cinque anni, poi dieci, poi venti... e realizzi che in fondo in questo arco di tempo la tua vita non è cambiata poi molto. Affiorano rimpianti e le insoddisfazioni si fanno strada. Cerchi allora di convincerti che devi solamente vivere gli anni che ti restano nel modo più tranquillo e normale possibile fino a quando non ti troverai sotto terra, dove finalmente raggiungerai la totale sicurezza e la completa stabilità. Potrai dire di aver vissuto veramente? Temo di no.

Non c’è forse anche dentro di te una vocina che ti dice che non stai vivendo pienamente la vita che vorresti? Che in fondo anche tu hai la possibilità e il diritto di esprimerti compiutamente come individuo? Perché allora non provi ad ascoltarla e a cercare di comprendere ciò che davvero puoi fare per realizzare i tuoi sogni e condurre la tua esistenza al meglio delle tue possibilità?

Come tutti, anche tu puoi farlo, anche tu puoi vivere con consapevolezza e svilupparti pienamente come individuo che insegue i propri obiettivi e assume le proprie responsabilità, anziché reagire passivamente agli eventi della propria esistenza. Tutto è nelle tue mani, nella tua volontà di ergerti ad artefice del tuo destino ed affrontare le paure che oggi ti frenano.

Come puoi fare? Come puoi fronteggiare le tue paure? Bene, prova innanzitutto ad identificare i tuoi timori, a dare un nome a ciò che ti frena, cerca di non negare le tue paure, al contrario tenta di riconoscerle, senza alcun giudizio, prova semplicemente ad acquisirne consapevolezza. Individua cosa ti impedisce di vivere liberamente, senza lacci e freni. Potrà trattarsi della paura del rifiuto o dell’abbandono, della paura del fallimento, della paura di non essere compreso o qualunque altro timore che oggi non ti consente di esprimerti compiutamente come individuo libero e responsabile. Dai un nome alle tue paure.


Dal riconoscimento all’azione.

Nel momento in cui riesci ad identificare i timori e le paure che oggi ti paralizzano, il passo successivo è quello di affrontarle, decidere di superare la soglia della zona di confort e passare all’azione nonostante la paura. Scegliere di prendere nelle tue mani il proprio destino.

Il punto fondamentale da tenere a mente al riguardo è che per superare le tue paure non hai alcuna necessità di intraprendere azioni drastiche immediate. Il coraggio è fondamentalmente un’abilità mentale che può essere appresa e coltivata e che, in quanto tale, richiede determinazione e costanza per essere assimilata ed entrare a far parte del nostro bagaglio personale. Se vuoi sviluppare i tuoi muscoli, non ti rechi certo in palestra cercando di alzare subito 100 kg sulla panca: allo stesso modo per superare la paura di parlare in pubblico, ad esempio, non è certo necessario alzarsi in piedi e parlare di fronte ad una platea di 1000 persone alla prima occasione.

Il vero segreto per superare la paura ed acquisire coraggio è farlo con determinazione e costanza, ma allo stesso tempo con gradualità, senza lanciarsi in disperati salti nel buio. Riprendendo l’esempio della paura di parlare in pubblico, puoi iniziare a sforzarti di parlare di fronte ad un gruppo di 7-8 persone, possibilmente amici e conoscenti, per poi passare gradualmente ad una platea più ampia. Una volta che sarai riuscito a parlare di fronte a 20 persone, sarà più facile prendere la parola di fronte ad un gruppo di 30 o 40 persone, e così via fino a raggiungere un numero di persone molto più elevato. Con gradualità, allenando il tuo coraggio a piccoli passi, ma con impegno e perseveranza. Ti renderai presto conto come ogni piccolo successo contribuirà a infonderti fiducia per affrontare con ancora maggiore entusiasmo il passo successivo.

L’esatto processo attraverso il quale costruisci il tuo coraggio non è così rilevante: ciò che davvero conta è che tu lo faccia con consapevolezza. Così come i tuoi muscoli si atrofizzano se non perseveri nell’allenamento, allo stesso modo il tuo coraggio si dissolve se non ti impegni costantemente a sfidare te stesso e ad affrontare le tue paure. Se non alleni con costanza il tuo coraggio, automaticamente rafforzi le tue paure: non esiste alcuna via intermedia.

Cerca di ricordare sempre a te stesso che la paura non è il tuo nemico. E’ una bussola in grado di indirizzarti verso le aree dove hai maggiormente bisogno di crescere. Quando incontri una nuova paura dentro di te, prova a celebrarla come una nuova, magnifica opportunità di crescita.

Dove ti porterà il tuo coraggio? La risposta è che ti consentirà di condurre un’esistenza estremamente più intensa e colma di significato. Inizierai a vivere in pienezza, come individuo responsabile e autentico. Sarai in grado di scoprire e sviluppare i tuoi talenti, inseguire i tuoi sogni e raggiungere i tuoi obiettivi. Sarai capace di vivere con consapevolezza, invece di reagire agli eventi avrai la possibilità di guidarli e viverli intensamente.

Ciò che fai della tua vita non dipende dai tuoi genitori, dal tuo capo o dal tuo partner. Dipende da te e da te soltanto, è solamente nelle tue mani. Non lasciarti sfuggire l’opportunità di abbracciare l’emozionante avventura della vita. Sperimenterai fallimenti e delusioni, sarà inevitabile. Ma queste saranno le pietre miliari lungo il cammino di una vita vissuta con coraggio e ti schiuderanno uno spazio infinito di gioia, pienezza e felicità. Allora vai e affronta le tue paure, costruisci il coraggio per inseguire i tuoi sogni e celebra la tua esistenza vivendola nel pieno delle tue possibilità.


Il coraggio non è l’assenza di paura, ma la consapevolezza che nella tua vita c’è qualcosa di più importante della paura - Ambrose Redmoon



- dal blog Vivi Zen: http://www.vivizen.com/2009/06/il-coraggio-di-vivere-senza-paura.html -


sabato 10 agosto 2013

Meditare come l'oceano



Il giovane si avvicinò al mare. Aveva acquisito un buon modo di stare seduto ed un portamento eretto. Era in buona postura. Che cosa gli mancava? Che cosa poteva insegnargli lo sciacquio delle onde? Si alzò il vento. Il flusso e il riflusso del mare si fecero più profondi e ciò risvegliò in lui il ricordo dell’oceano. In effetti, il vecchio monaco gli aveva pur consigliato di meditare “come l’oceano” e non come il mare. Come aveva fatto ad indovinare che il giovane aveva passato lunghe ore in riva all’Atlantico, soprattutto la notte, e che già conosceva l’arte di accordare il proprio respiro al grande respiro delle onde? Inspiro, espiro... poi: sono inspirato, sono espirato. Mi lascio portare dal respiro, come ci si lascia portare dalle onde... Così, faceva il morto portato dal ritmo della respirazione oceanica. Ciò l’aveva condotto talvolta sull’orlo di strani deliqui, ma la goccia d’acqua che una volta “si dileguava nel mare” oggi custodiva la propria forma, la propria coscienza. Era l’effetto della postura? Del suo radicamento nella terra? Non era più portato dal ritmo profondo della respirazione. La goccia d’acqua conservava la propria identità e tuttavia sapeva di “essere una” con l’oceano. È così che il giovane uomo imparò che meditare è respirare profondamente, è abbandonare al suo corso il flusso e riflusso del respiro.

Apprese ugualmente che, se vi erano delle onde in superficie, il fondo dell’oceano rimaneva tranquillo. I pensieri vanno e vengono come schiuma, ma il fondo dell’essere rimane immobile. Meditare a partire dalle onde che siamo per lasciarsi annegare e mettere radici nel fondo dell’oceano. Tutto ciò diventava in lui ogni giorno un poco più vitale, ed egli ricordava le parole di un poeta che l’avevano segnato al tempo della sua adolescenza: “L’esistenza è un mare pieno di onde. Di questo mare la gente comune non percepisce che le onde. Guarda come dalle profondità del mare innumerevoli onde salgono in superficie, mentre il mare rimane nascosto nelle onde”. Oggi il mare gli sembrava meno “nascosto nelle onde”, l’unicità di tutte le cose gli pareva più evidente, e ciò non aboliva la molteplicità. Egli aveva minor bisogno di contrapporre il fondo e la forma, il visibile e l’invisibile. Tutto costituiva l’oceano unico della vita.

Nel fondo del suo respiro non c’era forse la “Ruah”? Il “pneuma”? Il grande respiro di Dio?

“Colui che ascolta attentamente la sua respirazione - gli disse allora il vecchio monaco Serafino - non è lontano da Dio. Ascolta chi giace al limite della tua espirazione. Ascolta chi si trova al principio della tua inspirazione”. Effettivamente c’erano al principio e alla fine di ogni respiro alcuni secondi di silenzio, più profondi del flusso e riflusso delle onde, c’era qualcosa che l’oceano sembrava portare...


- da “L’Esicasmo” di Jean-Yves Leloup -


http://www.meditare.net/wp/meditazione/meditare-come-loceano-esicaismo/


lunedì 29 luglio 2013

Sviluppo spirituale e disturbi neuropsichici



di Roberto Assagioli

(scritto e pubblicato nel 1933)


Lo sviluppo spirituale dell'uomo è un'avventura lunga e ardua, un viaggio attraverso strani paesi, pieni di meraviglie, ma anche di difficoltà e di pericoli. Esso implica una radicale purificazione e trasmutazione, il risveglio di una serie di facoltà prima inattive, l'elevazione della coscienza a livelli prima non toccati, il suo espandersi lungo una nuova dimensione interna.

Non dobbiamo meravigliarci perciò che un cambiamento così grande si svolga attraverso vari stadi critici, non di rado accompagnati da disturbi neuropsichici e anche fisici (psicosomatici).

Questi disturbi, mentre possono apparire all'osservazione clinica ordinaria uguali a quelli prodotti da altre cause, in realtà hanno significato e valore del tutto diverso e devono venir curati in modo ben differente.

Attualmente poi i disturbi prodotti da cause spirituali vanno divenendo sempre più frequenti, poiché il numero di persone che, consciamente o inconsciamente, sono assillate da esigenze spirituali va divenendo sempre maggiore.

Inoltre, a causa della maggiore complessità dell'uomo moderno e particolarmente degli ostacoli creati dalla sua mente critica, lo sviluppo spirituale è divenuto un processo interiore più difficile e complicato.

Per questa ragione è opportuno dare uno sguardo generale ai disturbi nervosi e psichici che insorgono nei vari stadi dello sviluppo spirituale, e offrire qualche indicazione riguardo ai modi più adatti ed efficaci per curarli.

Nel processo di realizzazione spirituale si possono osservare 5 stadi critici:

I. Le crisi che precedono il risveglio spirituale;

II. Le crisi prodotte dal risveglio spirituale;

III. Le reazioni che seguono al risveglio spirituale;

IV. Le fasi del processo di trasmutazione;

V. La "notte oscura dell'anima".


I. Crisi che precedono lo sviluppo spirituale.

Per ben comprendere il significato delle singolari esperienze interiori che sogliono precedere il risveglio dell'anima, occorre ricordare alcune caratteristiche psicologiche dell'uomo ordinario.

Questi, più che vivere, si può dire che si lasci vivere.

Egli prende la vita come viene; non si pone il problema del suo significato, del suo valore, dei suoi fini. Se è volgare, si occupa solo di appagare i propri desideri personali: di procurarsi i vari godimenti dei sensi, di diventare ricco, di soddisfare la propria ambizione. Se è d'animo più elevato, subordina le proprie soddisfazioni personali all'adempimento dei doveri familiari e civili che gli sono stati inculcati, senza preoccuparsi di sapere su quali basi si fondino quei doveri, quale sia la loro vera gerarchia, ecc. Egli può anche dichiararsi 'religioso' e credere in Dio, ma la sua religione è esteriore e convenzionale, ed egli si sente 'a posto' quando ha obbedito alle prescrizioni formali della sua chiesa e partecipato ai vari riti.

Insomma l'uomo comune crede implicitamente alla realtà assoluta della vita ordinaria ed è attaccato tenacemente ai beni terreni, ai quali attribuisce un valore positivo; egli considera così, in pratica, la vita ordinaria fine a se stessa, e anche se crede a un paradiso futuro, tale sua credenza è del tutto teorica e accademica, come appare dal fatto, spesso confessato con comica ingenuità, che desidera di andarci... il più tardi possibile.

Ma può avvenire ‑ e in realtà avviene in alcuni casi ‑ che quest' "uomo ordinario" venga sorpreso e turbato da un improvviso mutamento nella sua vita interiore.

Talvolta in seguito a una serie di delusioni; non di rado dopo una forte scossa morale, come la perdita di una persona cara; ma talvolta senza alcuna causa apparente, in mezzo al pieno benessere e favore della fortuna (come avvenne a Tolstoj) insorge una vaga inquietudine, un senso di insoddisfazione, di mancanza; ma non la mancanza di qualcosa di concreto, bensì di alcunché di vago, di sfuggente, che egli non sa definire.

A poco a poco si aggiunge un senso di irrealtà, di vanità della vita ordinaria: tutti gli interessi personali, che prima tanto occupavano e preoccupavano, si 'scoloriscono', per così dire, perdendo la loro importanza e il loro valore. Nuovi problemi si affacciano; la persona comincia a chiedersi il senso della vita, il perché di tante cose che prima accettava naturalmente: il perché della sofferenza propria e altrui; la giustificazione di tante disparità di fortuna; l'origine dell'esistenza umana; il suo fine.

Qui cominciano le incomprensioni e gli errori: molti, non comprendendo il significato di questi nuovi stati d'animo, li considerano ubbie, fantasie anormali; soffrendone (poiché sono molto penosi), li combattono in ogni modo; temendo di 'perdere la testa', si sforzano di riattaccarsi alla realtà ordinaria che minaccia di sfuggir loro; anzi talvolta, per reazione, vi si gettano con maggior foga, perdutamente, cercando nuove occupazioni, nuovi stimoli, nuove sensazioni. Con questi ed altri mezzi essi riescono talora a soffocare l'inquietudine, ma non possono quasi mai distruggerla completamente: essa continua a covare nel profondo del loro essere, a minare le basi della loro esistenza ordinaria e può, anche dopo anni, prorompere di nuovo più intensa. Lo stato di agitazione diventa sempre più penoso, il vuoto interiore più intollerabile; la persona si sente annientata: tutto ciò che formava la sua vita le sembra un sogno, sparisce come una larva, mentre la nuova luce non è ancora sorta; anzi generalmente la persona ne ignora perfino l'esistenza o non crede alla possibilità di ottenerla.

Spesso a questo tormento generale si aggiunge una crisi morale più definita; la coscienza etica si risveglia e si acuisce, la persona è assalita da un grave senso di colpa, di rimorso per il male commesso, si giudica severamente ed è colta da un profondo scoraggiamento.

A questo punto sogliono presentarsi quasi sempre idee e impulsi di suicidio. Alla persona sembra che l'annientamento fisico sia la sola logica conseguenza del crollo e del dissolvimento interiore.

Dobbiamo far notare che questo è solo uno schema generico di tali esperienze e del loro svolgimento. In realtà vi sono numerose differenze individuali: alcuni non giungono allo stadio più acuto; altri vi arrivano quasi a un tratto, senza il graduale passaggio accennato; in alcuni prevalgono la ricerca e i dubbi filosofici; in altri la crisi morale è in prima linea.

Queste manifestazioni della crisi spirituale sono simili ad alcuni dei sintomi delle malattie dette nevrastenia e psicastenia. Uno dei caratteri di questa è appunto la 'perdita della funzione del reale', come la chiama Pierre Janet, e un altro è la 'spersonalizzazione'. La somiglianza è accresciuta dal fatto che il travaglio della crisi produce spesso anche dei sintomi fisici, quali esaurimento, tensione nervosa, depressione, insonnia, e svariati disturbi digestivi, circolatori, ecc.


II. Crisi prodotte dal risveglio spirituale.

L'aprirsi della comunicazione fra la personalità e l'anima, i fiotti di luce, di gioia e di energia che l'accompagnano, producono spesso una mirabile liberazione. I conflitti interni, le sofferenze e i disturbi nervosi e fisici spariscono, spesso con una rapidità sorprendente, confermando così che quei disturbi non erano dovuti a cause materiali, ma erano la diretta conseguenza del travaglio psico‑spirituale. In questi casi il risveglio spirituale costituisce una vera e propria cura.

Ma il risveglio non si svolge sempre in modo così semplice ed armonico, bensì può essere a sua volta causa di complicazioni, disturbi e squilibri. Questo avviene in coloro la cui mente non è ben salda, o nei quali le emozioni sono esuberanti e non dominate, oppure il sistema nervoso troppo sensibile e delicato, o ancora quando l'afflusso di energia spirituale è travolgente per la sua subitaneità e violenza.

Quando la mente è troppo debole e impreparata a sopportare la luce spirituale, oppure quando vi è tendenza alla presunzione e all'egocentrismo, l'evento interiore può venire male interpretato. Avviene, per così dire, una 'confusione di piani': la distinzione fra assoluto e relativo, fra spirito e personalità non è riconosciuta, e allora la forza spirituale può produrre un'esaltazione, una 'gonfiatura' dell'io personale.

Alcuni anni or sono ho avuto occasione di osservare al manicomio di Ancona un caso tipico di questo genere. Uno dei ricoverati, un simpatico vecchietto, affermava tranquillamente ma ostinatamente... di essere Dio. Intorno a questa sua convinzione egli aveva fabbricato una serie delle più fantastiche idee deliranti; di schiere celesti ai suoi comandi, di grandi cose da lui compiute, ecc. Ma, a parte questo, egli era la persona più buona, gentile e premurosa che si possa immaginare, sempre pronta a render servizi ai medici e ai malati. La sua mente era così chiara e attenta e i suoi atti così accurati, che era stato fatto assistente del farmacista, il quale gli affidava le chiavi della farmacia e la preparazione di medicine. Questo non diede mai luogo ad alcun inconveniente, all'infuori della sparizione di un po' di zucchero che egli sottraeva per far con esso cosa gradita ad alcuni dei ricoverati.

Dal punto di vista medico ordinario il nostro malato verrebbe considerato come un semplice caso di delirio di grandezza, una forma paranoide; ma in realtà queste non sono che etichette puramente descrittive o di classificazione clinica, e la psichiatria ordinaria nulla sa dirci di certo sulla vera natura e sulle cause di questi disturbi. Mi sembra quindi sia lecito ricercare se non vi possa essere un'interpretazione psicologica più profonda delle idee di quel malato. E' noto come la percezione interiore della realtà dello Spirito e della sua intima compenetrazione con l'anima umana dà a colui che la prova un senso di grandezza e di allargamento interiore, la convinzione di partecipare in qualche modo alla natura divina.

Nelle tradizioni religiose e nelle dottrine spirituali d'ogni tempo se ne possono trovare numerose attestazioni e conferme, espresse non di rado in forma assai audace.

Nella Bibbia troviamo la frase esplicita e recisa: "Non sapete che siete Dei?". E sant'Agostino dice: "Quando l'anima ama qualcosa, diventa a essa simile; se ama le cose terrene, diventa terrena; ma se ama Dio (si potrebbe chiedere) diventa essa Dio?".

L'espressione più estrema della identità di natura fra lo spirito umano nella sua pura e reale essenza e lo Spirito Supremo è contenuta nell'insegnamento centrale della filosofia Vedanta: Tat twam asi (Tu sei Quello) e Aham evam param Brahman (In verità io sono il Supremo Brahman).

Comunque si voglia concepire questo rapporto fra lo spirito individuale e quello universale, sia che lo si consideri come un'identità o come una somiglianza, una partecipazione, una unione, bisogna riconoscere in modo ben chiaro, e tener sempre presente in teoria e in pratica, la grande differenza che esiste fra lo spirito individuale nella sua natura essenziale ‑ quello che è stato chiamato il 'fondo' o il 'centro' o 'l'apice' dell'anima, l'Io superiore, il Sé reale ‑ e la piccola personalità ordinaria, il piccolo io di cui siamo abitualmente consapevoli.

Il non riconoscere tale distinzione porta a conseguenze assurde e pericolose. Questo ci dà la chiave per comprendere lo squilibrio mentale del malato di cui ho fatto cenno, e altre forme meno estreme di autoesaltazione e di autogonfiatura. L'errore funesto di tutti coloro che cadono in preda a tali illusioni è quello di attribuire al proprio io personale non rigenerato le qualità e i poteri dello Spirito. In termini filosofici si tratta di una confusione fra realtà relativa e Realtà assoluta, fra il piano personale e quello metafisico. Da questa interpretazione di certe idee di grandezza si possono trarre anche utili norme curative. Essa ci mostra come il cercare di dimostrare al malato che egli ha torto, che le sue idee sono del tutto assurde o il deriderle, non serve a nulla; anzi non fa che inasprirlo. Invece è opportuno riconoscere con lui l'elemento di vero che c'è nelle sue affermazioni e poi cercar pazientemente di fargli comprendere la distinzione suaccennata.

In altri casi l'improvvisa illuminazione interna prodotta dal risveglio dell'anima determina invece un'esaltazione emotiva, che si esprime in modo clamoroso e disordinato: con grida, pianto, canti e agitazioni motorie varie.

Coloro poi che sono di tipo attivo, dinamico, combattivo, possono venir spinti dall'eccitazione del risveglio ad assumere la parte del profeta o del riformatore, formando movimenti e sette caratterizzati da un eccessivo fanatismo e proselitismo.

In certe anime nobili, ma troppo rigide ed eccessive, la rivelazione dell'elemento trascendente e divino del proprio spirito suscita un'esigenza di adeguazione completa e immediata a quella perfezione. Ma in realtà tale adeguazione non può essere semmai che il termine di una lunga e graduale opera di trasformazione e di rigenerazione della personalità; quindi quell'esigenza non può che esser vana e provocare reazioni di depressione e di disperazione autodistruttive.

In alcune persone, a ciò predisposte, il 'risveglio' si accompagna con manifestazioni psichiche paranormali di vario genere. Esse hanno visioni, generalmente di esseri elevati o angelici, oppure odono delle voci, o si sentono spinte a scrivere automaticamente. Il valore dei messaggi così ricevuti è assai diverso da caso a caso; perciò occorre che essi vengano sempre esaminati e vagliati obiettivamente, senza prevenzioni, ma anche senza lasciarsi imporre dal modo con cui sono pervenuti, né dalla presunta autorità di chi asserisca esserne l'autore. E' opportuno diffidare soprattutto dei messaggi che contengono ordini precisi e richiedono obbedienza cieca, e di quelli che tendono a esaltare la personalità del ricevente. I veri istruttori spirituali non usano mai tali metodi.

Prescindendo poi dall'autenticità e dal valore intrinseco di quei messaggi, sta il fatto che essi sono pericolosi perché possono facilmente turbare, anche in modo grave, l'equilibrio emotivo e mentale.


III. Le reazioni che seguono al risveglio spirituale.

Queste reazioni si producono generalmente dopo un certo tempo.

Come abbiamo accennato, un risveglio spirituale armonico suscita un senso di gioia, e una illuminazione della mente che fa percepire il significato e lo scopo della vita, scaccia molti dubbi, offre la soluzione di molti problemi e dà un senso di sicurezza interiore. A questo si accompagna un vivido senso dell'unità, della bellezza, della santità della vita, e dall'anima risvegliata s'effonde un'onda di amore verso le altre anime e tutte le creature.

Invero non vi è nulla di più lieto e confortante del contatto con uno di questi 'risvegliati' che si trovi in un tal 'stato di grazia'. La sua personalità di prima, coi suoi angoli acuti e coi suoi elementi sgradevoli, sembra sparita e una nuova persona, simpatica e piena di simpatia, sorride a noi e al mondo intero, tutta desiderosa di dar piacere, di rendersi utile, di condividere con gli altri le sue nuove ricchezze spirituali di cui non sa contenere in sé la sovrabbondanza.

Questo stato gioioso dura più o meno a lungo, ma è destinato a cessare. La personalità ordinaria, coi suoi elementi inferiori, era stata solo temporaneamente sopraffatta e addormentata, non uccisa o trasformata. Inoltre l'afflusso di luce e di amore spirituale è ritmico e ciclico come tutto quanto avviene nell'universo; esso quindi prima o poi diminuisce o cessa: il flusso è seguito dal riflusso.

Questa esperienza interna è penosissima, e in alcuni casi produce reazioni violente e seri disturbi. Le tendenze inferiori si risvegliano e si riaffermano con forza rinnovata; tutti gli scogli, i detriti, i rifiuti, che erano stati ricoperti dall'alta marea, ricompaiono di nuovo.

La persona, la cui coscienza morale si è fatta, in seguito al risveglio, più raffinata ed esigente, la cui sete di perfezione è divenuta più intensa, si giudica con maggior severità, si condanna con maggior rigore e può credere, erroneamente, di esser caduta più in basso di prima. A ciò può essere indotta anche dal fatto che talvolta certe tendenze e impulsi inferiori, che erano rimasti latenti nell'inconscio, vengono risvegliati e stimolati a una violenta opposizione dalle nuove alte aspirazioni spirituali, che sono per essi una sfida e una minaccia.

Talvolta la reazione va così oltre, che la persona giunge fino a negare il valore e la realtà della propria recente esperienza interiore. Dubbi e critiche sorgono nella sua mente ed essa è tentata di considerare tutto ciò che è avvenuto come un'illusione, una fantasia, una 'montatura sentimentale'. Essa diviene amara e sarcastica; deride se stessa e gli altri e vorrebbe rinnegare i propri ideali e le proprie aspirazioni spirituali. Eppure, per quanto si sforzi di farlo, essa non può ritornare nello stato di prima: ha avuto la visione e il fascino della sua bellezza resta in lei, non può esser dimenticato. Essa non può più adattarsi a viver soltanto la piccola vita comune; una divina nostalgia la assilla e non le dà requie. Talvolta la reazione assume caratteri nettamente morbosi: insorgono accessi di disperazione e tentazioni di suicidio.

La cura di tali reazioni eccessive consiste soprattutto nell'impartire una chiara comprensione della loro natura e nell'indicare qual è il solo modo nel quale si possono superare. Si deve far capire a chi ne soffre che lo 'stato di grazia' non poteva durare per sempre, che la reazione era naturale e inevitabile. E' come se egli avesse fatto un volo superbo fin presso alle vette illuminate dal sole, ammirando il vasto paesaggio che si stende fino all'orizzonte; ma ogni volo prima o poi deve finire: si viene riportati alla pianura, e si deve poi ascendere lentamente, passo a passo, il ripido pendio che conduce alla stabile conquista delle cime. Il riconoscimento che questa discesa o 'caduta' è un evento naturale, al quale tutti siamo sottoposti, conforta e solleva il pellegrino e lo incoraggia ad accingersi animosamente all'ascesa.


IV. Le fasi del processo di trasmutazione.

L'ascesa di cui abbiamo fatto cenno consiste in realtà nella trasmutazione e rigenerazione della personalità. Un procedimento lungo e complesso, che è composto di fasi di purificazione attiva per rimuovere gli ostacoli all'afflusso e all'azione delle forze spirituali; fasi di sviluppo delle facoltà interiori che erano rimaste latenti o troppo deboli; fasi nelle quali la personalità deve restare ferma e docile, lasciandosi 'lavorare' dallo Spirito e sopportando con coraggio e pazienza le inevitabili sofferenze. E' un periodo pieno di cambiamenti, di alternative fra luce e tenebra, fra gioia e dolore.

Le energie e l'attenzione di chi vi si trova sono spesso tanto assorbite dal travaglio che gli riesce difficile far fronte alle varie esigenze della sua vita personale.

Perciò chi l'osservi superficialmente e lo giudichi dal punto di vista della normalità e dell'efficienza pratica, trova che è peggiorato e vale meno di prima. Perciò al suo travaglio interiore si aggiungono spesso giudizi incomprensivi e ingiusti da parte di persone di famiglia, di amici e anche di medici, e non gli vengono risparmiate osservazioni pungenti sui 'bei risultati' delle aspirazioni e degli ideali spirituali, che lo rendono debole e inefficiente nella vita pratica. Questi giudizi riescono spesso assai penosi a chi ne è oggetto, che può talvolta venirne turbato e cadere in preda ai dubbi e allo scoraggiamento.

Pure questa è una delle prove che devono essere superate. Essa insegna a vincere la sensibilità personale, ad acquistare indipendenza di giudizio e fermezza di condotta. Perciò tale prova dovrebbe venir accolta senza ribellione, anzi con serenità. D'altra parte se coloro che circondano la persona sottoposta alla prova comprendono il suo stato, possono esserle di grande aiuto ed evitarle molti contrasti e sofferenze non necessarie.

In realtà si tratta di un periodo di transizione: un uscire da un vecchio stadio senza aver raggiunto il nuovo. E' una condizione simile a quella del verme che sta subendo il processo di trasformazione che lo farà diventare un'alata farfalla: esso deve passare per lo stato di crisalide, che è una condizione di disintegrazione e impotenza.

Ma all'uomo in generale non viene elargito il privilegio che ha il verme di svolgere quella trasmutazione protetto e raccolto in un bozzolo.

Egli deve, soprattutto oggi, restare al suo posto nella vita e continuare ad assolvere quanto meglio può i propri doveri famigliari, professionali e sociali, come se non stesse avvenendo nulla in lui. L'arduo problema che deve risolvere è simile a quello degli ingegneri inglesi, che dovettero trasformare e ampliare una grande stazione ferroviaria di Londra, senza interrompere il traffico neppur per un'ora.

Non dobbiamo certo meravigliarci se un'opera così complessa e faticosa è talvolta causa di disturbi nervosi e psichici, ad esempio esaurimento nervoso, insonnia, depressione, irritabilità, irrequietezza. E questi disturbi, dato il forte influsso della psiche sul corpo, possono a loro volta facilmente produrre svariati sintomi fisici.

Nel curare tali casi occorre comprenderne la vera causa, e aiutare il malato con una sapiente e opportuna azione psicoterapica, poiché le cure fisiche e medicamentose possono aiutare ad attenuare i sintomi e i disturbi fisici, ma evidentemente non possono agire sulle cause psico-spirituali del male.

Talvolta i disturbi sono prodotti o aggravati dagli eccessivi sforzi personali che fa l'aspirante alla vita spirituale per forzare il proprio sviluppo interno, sforzi che producono una repressione anziché la trasformazione degli elementi inferiori, e una estrema intensificazione della lotta, con una corrispondente eccessiva tensione nervosa e psichica. Questi aspiranti troppo impetuosi devono rendersi conto che la parte essenziale del lavoro di rigenerazione è fatta dallo spirito e dalle sue energie, e che quando essi hanno cercato di attirare quelle energie col loro fervore, le loro meditazioni, il loro retto atteggiamento interno, quando hanno cercato di eliminare tutto quello che può ostacolare l'azione dello spirito, devono attendere con pazienza e con fede che quell'azione si svolga spontaneamente nella loro anima.

Una difficoltà diversa in un certo senso opposta, deve essere superata nei periodi nei quali l'afflusso di forza spirituale è ampio e abbondante. Quella forza preziosa può venir facilmente sperperata in effervescenza emotiva e in attività febbrili ed eccessive. In altri casi invece essa è tenuta troppo a freno, non viene sufficientemente tradotta in vita e utilizzata, di modo che si accumula sempre più e con la sua forte tensione può produrre disturbi e logorii interiori, come una corrente elettrica troppo forte può fondere le valvole e anche produrre dei corti circuiti.

Occorre quindi apprendere a regolare opportunamente e saggiamente il flusso delle energie spirituali, evitandone la dispersione, ma usandole attivamente in nobili e feconde opere interne ed esterne.


V. La 'notte oscura dell'anima'.

Quando il processo di trasformazione psico-spirituale raggiunge il suo stadio finale e decisivo, esso produce talvolta un'intensa sofferenza e un'oscurità interiore che è stata chiamata dai mistici cristiani 'notte oscura dell'anima'. I suoi caratteri la fanno rassomigliare molto alla malattia chiamata 'psicosi depressiva' o melanconia. Tali caratteri sono: uno stato emotivo d'intensa depressione, che può giungere fino alla disperazione; un senso acuto della propria indegnità; una forte tendenza all'autocritica e all'autocondanna, che in alcuni casi giunge fino alla convinzione di esser perduti o dannati; un senso penoso di impotenza mentale; l'indebolimento della volontà e dell'auto-dominio; un disgusto e una grande difficoltà ad agire.

Alcuni di questi sintomi possono presentarsi in forma meno intensa anche negli stadi precedenti, ma allora non si tratta della vera 'notte oscura dell'anima'.

Questa strana e terribile esperienza non è, malgrado le apparenze, uno stato patologico; essa ha cause spirituali e un grande valore spirituale (Vedi san Giovanni della Croce, La notte oscura dell'anima e E. Underhill, Mysticism - New York, 1961).

A questa, che è stata anche chiamata la 'crocefissione mistica' o 'morte mistica', segue la gloriosa resurrezione spirituale che pone fine a ogni sofferenza e a ogni disturbo, dei quali è sovrabbondante compenso, e che costituisce la pienezza della salute spirituale.

Il tema da noi scelto ci ha obbligati a occuparci quasi esclusivamente dei lati più penosi e anormali dello sviluppo interiore, ma non vorremmo certo dar l'impressione che coloro che seguono la via dell'ascesa spirituale siano colpiti da disturbi nervosi più facilmente degli uomini ordinari. E' opportuno perciò mettere bene in chiaro i punti seguenti:

1) In molti casi lo sviluppo spirituale si svolge in un modo più graduale e armonico di quello che è stato descritto, di guisa che le difficoltà vengono superate e i diversi stadi passati senza reazioni nervose e fisiche.

2) 1 disturbi nervosi e mentali degli uomini e delle donne 'ordinari' sono spesso più gravi, più difficili a sopportare e a curare di quelli prodotti da cause spirituali. I disturbi degli uomini ordinari sono spesso prodotti da conflitti violenti fra le passioni, o fra gli impulsi inconsci e la personalità cosciente; o dalla ribellione contro condizioni o contro persone che sono in contrasto coi loro desideri e le loro esigenze egoistiche. Noti di rado è più difficile curarli, perché gli aspetti superiori sono troppo deboli e vi è poco a cui fare appello per indurli a fare i sacrifici necessari e a sottomettersi alla disciplina occorrente per produrre gli assestamenti, l'armonia che possono render loro la salute.

3) Le sofferenze e i disturbi di coloro che percorrono la via spirituale, per quanto possano talora essere gravi, sono in realtà solo reazioni temporanee e per così dire le scorie di un processo organico di crescita e di rigenerazione interna. Perciò essi spariscono spesso spontaneamente quando la crisi che li aveva prodotti si risolve, o cedono più facilmente a una cura adatta.

4) Le sofferenze prodotte dalle basse maree e dai riflussi dell'onda spirituale sono ampiamente compensate dalle fasi di afflusso e di elevazione, e dalla fede nel grande scopo e nell'alta mèta dell'avventura interiore.

Questa visione di gloria costituisce un'ispirazione potente, un conforto infallibile, una sorgente inesauribile di forza e di coraggio. Noi dovremmo quindi rievocare tale visione nel modo più vivido e il più spesso possibile, e uno dei più grandi benefici che possiamo arrecare a chi è tormentato da crisi e conflitti spirituali è di fare altrettanto.

Cerchiamo di immaginare vividamente la gloria e la beatitudine dell'anima vittoriosa e liberata che partecipa coscientemente alla saggezza, alla potenza, all'amore della Vita Divina. Immaginiamo con visione ancor più larga la gloria del Regno di Dio realizzato sulla terra, la visione di una umanità redenta, dell'intera creazione rigenerata e manifestante con gioia le perfezioni di Dio.

Sono visioni di tal genere che hanno reso capaci i grandi mistici e santi di sopportare sorridendo i loro tormenti interiori e il loro martirio fisico, che hanno fatto dire a san Francesco: "Tanto è il bene che m'aspetto che ogni pena mi è diletto!".

Ma ora dobbiamo scendere da queste altezze e ritornare un istante nella valle ove le anime sono in travaglio.

Considerando la questione dal punto di vista più strettamente medico e psicologico, occorre rendersi ben conto che ‑ come abbiamo accennato ‑ mentre i disturbi che accompagnano le varie crisi dello sviluppo spirituale appaiono a un primo esame molto simili, e talvolta identici, a quelli dei malati ordinari in realtà le loro cause e il loro significato sono molto differenti, anzi in un certo senso opposti; quindi la cura deve essere corrispondentemente diversa. I sintomi neuro‑psichici dei malati ordinari hanno generalmente un carattere regressivo.

Quei malati non sono stati capaci di compiere i necessari assestamenti interni ed esterni che fan parte del normale sviluppo della personalità. Per esempio, essi non sono riusciti a liberarsi dall'attaccamento emotivo ai genitori e restano quindi in uno stato di dipendenza infantile da essi o da chi, anche simbolicamente, li sostituisce.

Talvolta invece la loro incapacità o cattiva volontà a far fronte alle esigenze e alle difficoltà della normale vita familiare e sociale fan sì che essi, anche senza rendersene conto, cerchino rifugio in una malattia che li sottragga a quegli obblighi. In altri casi si tratta di un trauma emotivo: per esempio una delusione o una perdita che essi non sanno accettare e a cui reagiscono con una malattia.

In tutti questi casi si tratta di un conflitto fra la personalità cosciente e gli elementi inferiori che spesso operano nell'inconscio, con la parziale vittoria di questi ultimi.

Invece i mali prodotti dal travaglio dello sviluppo spirituale hanno un carattere nettamente progressivo. Essi dipendono dallo sforzo di crescere, da una spinta verso l'alto; essi sono il risultato di conflitti e squilibri temporanei fra la personalità cosciente e le energie spirituali che irrompono dall'alto.

Da tutto ciò risulta evidente che la cura per i due tipi di malattie deve essere molto diversa.

Per il primo gruppo il compito terapeutico consiste nell'aiutare il inalato a raggiungere il livello dell'uomo 'normale', eliminando le repressioni e le inibizioni, le paure e gli attaccamenti, aiutandolo a passare dal suo eccessivo egocentrismo, dalle sue false valutazioni, dalle sue concezioni deformate della realtà a una visione oggettiva e razionale della vita, all'accettazione dei suoi doveri e obblighi e a un giusto apprezzamento dei diritti degli altri. Gli elementi non ben sviluppati, non coordinati e contrastanti, devono venir armonizzati e integrati in una psico-sintesi personale.

Per i malati del secondo gruppo il compito curativo è invece quello di produrre un assestamento armonico, favorendo l'assimilazione e l'integrazione delle nuove energie spirituali con gli elementi normali preesistenti, cioè di compiere una psico-sintesi trans‑personale intorno a un più alto centro interno.

E' chiaro quindi che la cura adatta per i malati del primo gruppo è insufficiente, anzi può essere anche dannosa, per un malato del secondo. Le sue difficoltà aumentano, anziché diminuire, se egli è nelle mani di un medico che non comprenda il suo travaglio, che ignori o neghi le possibilità dello sviluppo spirituale. Tale medico può svalutare o deridere le aspirazioni spirituali del malato, considerandole come vane fantasie o interpretandole in modo materialistico. Così il malato può venir da lui indotto a ritener di far bene cercando di indurire il guscio della propria personalità e rifiutandosi di dare ascolto agli insistenti appelli della sua anima. Ma questo può solo aggravare il suo stato, render più aspra la lotta, ritardare la soluzione.

Invece un medico che percorra egli pure la via spirituale, o che almeno abbia una chiara comprensione e un giusto apprezzamento della realtà e delle conquiste spirituali, può essere di grande aiuto a un malato di quel genere.

Se, come spesso è il caso, questi è ancora allo stadio dell'insoddisfazione, dell'irrequietezza e delle inconsce aspirazioni; se egli ha perduto ogni interesse per la vita ordinaria ma non ha ancora avuto un lume della Realtà Superiore; se egli cerca sollievo in direzioni sbagliate ed erra per vicoli ciechi, allora la rivelazione della vera causa del suo male e un aiuto efficace a trovare la vera soluzione possono facilitare e accelerare molto il risveglio dell'anima, che costituisce di per se stesso la parte principale della cura.

Quando una persona si trova al secondo stadio, quello nel quale si bea nella luce dello spirito e fa gioiosi voli verso le altezze supercoscienti, si può farle molto bene spiegandole la vera natura e funzione di quelle sue esperienze, preavvisandola che esse sono necessariamente temporanee e descrivendole le ulteriori vicissitudini del pellegrinaggio. Così quella persona è preparata quando sopraggiunge la reazione, e le viene in tal modo risparmiata quella parte non piccola di sofferenza, prodotta dalla sorpresa della 'caduta' e dai dubbi e dagli scoraggiamenti che ne conseguono.

Quando un tal preavviso non è stato dato e la cura viene iniziata durante la reazione depressiva, il malato può essere molto sollevato e aiutato dall'assicurazione, avvalorata da esempi, che si tratta di uno stato temporaneo dal quale uscirà sicuramente.

Nel quarto stadio, quello degli 'incidenti dell'ascesa', che è il più lungo e multiforme, l'opera di chi aiuta è corrispondentemente più complessa. I suoi aspetti principali sono:

1) Chiarire a colui che soffre il significato di quanto sta avvenendo in lui e indicargli il giusto atteggiamento da prendere;

2) Insegnargli come si può dominare le tendenze inferiori senza però reprimerle nell'inconscio;

3) Insegnargli, ed aiutarlo, a trasmutare e sublimare le proprie energie psichiche;

4) Aiutarlo a sostenere e far buon uso delle energie spirituali che affluiscono nella sua coscienza;

5) Guidarlo, e cooperare con lui, nel lavoro di ricostruzione della sua personalità, di psico-sintesi.

Nello stadio della 'notte oscura dell'anima' è assai difficile prestare aiuto, perché chi vi si trova è avvolto in una nube così densa, è tanto immerso nella sua sofferenza che la luce dello spirito non giunge alla sua coscienza. L'unico modo di dare forza e sostegno è il ripetere instancabilmente l'assicurazione che si tratta di una esperienza transitoria e non di uno stato permanente, come tende a credere chi vi si trova ‑ ed è ciò che più gli dà disperazione. E' bene inoltre assicurargli con energia che il suo tormento, per quanto terribile, ha un sì grande valore spirituale e gli sarà apportatore di tanto bene che dopo arriverà a benedirlo; così egli viene aiutato a sopportarlo e ad accettarlo con calma, rassegnazione e con forte pazienza.

Riteniamo opportuno accennare che queste cure psicologiche e spirituali non escludono l'uso sussidiario di mezzi fisici, che possono alleviare i sintomi e concorrere al buon esito della cura. Tali sussidi saranno soprattutto quelli che coadiuvano all'opera sanatrice della natura, come un'alimentazione igienica, esercizi di rilasciamento, contatto con gli elementi naturali, un ritmo adatto delle varie attività fisiche e psichiche.

In alcuni casi la cura è resa più complicata dal fatto che vi è nel malato un misto di sintomi progressivi e di sintomi regressivi. Si tratta di casi di sviluppo interiore irregolare e disarmonico. Queste persone possono raggiungere alti livelli spirituali con una parte della loro personalità, ma essere d'altro lato schiave di attaccamenti infantili o sotto il dominio di 'complessi' inconsci. Si potrebbe anzi dire che, con un'analisi accurata, nella maggioranza di coloro che percorrono la via spirituale si trovano ‑ come, si noti, in quasi tutti i così detti 'normali' ‑ dei resti più o meno grandi di limitazioni di quel genere.

Resta però il fatto che, nella grande maggioranza dei casi, vi è una netta prevalenza o dei sintomi regressivi o di quelli progressivi.

Ma la possibilità che sintomi di entrambi i gruppi si trovino frammisti nello stesso malato deve esser sempre tenuta presente, e occorre che ogni disturbo venga accuratamente studiato e interpretato, per accertarne la vera causa e trovarne quindi la cura adatta.

Da tutto quanto abbiamo detto risulta chiaro che per curare in modo efficace e soddisfacente i disturbi nervosi e psichici che accompagnano lo sviluppo spirituale, occorre una duplice serie di conoscenze e di pratica: quella del medico esperto di malattie nervose e di psicoterapia, e quella del serio studioso o del pellegrino sulle vie dello Spirito.

Questa duplice competenza si trova attualmente di rado associata; ma dato il rapido crescere del numero delle persone bisognose di simili cure, tutti coloro che siano in grado di farlo dovrebbero accingersi risolutamente a prepararsi per quell'opera di bene.

Tali cure poi sarebbero rese più facili se si potesse anche formare assistenti opportunamente preparati, sì da saper cooperare intelligentemente.

Infine sarebbe molto utile che il pubblico in generale fosse informato dei fatti principali riguardanti le connessioni fra disturbi neuropsichici e crisi interiori, in modo che i familiari possano facilitare il compito dei malato e quello del medico, invece di complicarlo e ostacolarlo con l'ignoranza, i pregiudizi, e anche l'opposizione attiva, come purtroppo avviene assai spesso.

Quando questa triplice opera di preparazione sarà stata fatta presso i medici, le infermiere e il pubblico, una grande somma di sofferenze non necessarie verrà eliminata e molti pellegrini potranno raggiungere con meno lungo e meno aspro travaglio l'alta mèta che perseguono: l'unione con la Divina Realtà.


- da "Lo sviluppo transpersonale" di Roberto Assagioli -



mercoledì 17 luglio 2013

Passare il Drago - don Miguel Ruiz


L'ANATOMIA DEL PARASSITA

II Parassita può anche essere chiamato il bambino interiore. Questo bambino è pura emozione, nel senso che gli animali sono pura emozione. Il Parassita sente e percepisce tutto senza usare l'intelletto. È l'architrave sensoriale dell'essere umano. Porta in sé tutto l'imprinting emotivo. Quindi, si potrebbe dire che il Parassita è l'abilità umana di sentire. Posso anche descrivere il Parassita come Lucifero, oppure come lo Sfidante, l'angelo del livello più alto che, giunto nella densità della materia, dimentica la sua natura divina.

Il Parassita è il bambino in noi che urla: "Lasciatemi solo!", ma che simultaneamente grida: "Per favore, può venire qualcuno a trovarmi? Aiutatemi". Il messaggio che dà a se stesso e: "Non merito l'amore. Per favore, amatemi. Io giudico tutto. Sono la vittima del mio giudizio". In questo aspetto dell'essere umano c'è sempre la dualità del Giudice e della Vittima. Il Parassita è il corpo emotivo, l'Angelo Caduto che è scivolato nei sensi, nel campo del giudizio, nella separazione e nel tradimento. Il Parassita è una forza elettromagnetica che stabilisce un campo di paura. È questo codice situato in ognuno di noi che attrae nelle nostre vite circostanze e persone che riflettono sempre quanto deve essere portato a compimento. È un gioco che abbiamo fatto nel corso di molte vite. È un processo apparentemente inconscio.

Provate ad immaginare il diagramma di un essere umano in cui lo spirito è una piccola onda di luce dentro l'anima ed entrambi sono circondati dal corpo. Nello spazio tra l'anima e il corpo, l'interazione tra corpo e anima crea la mente. Quando abbandona il corpo, prima o poi l'anima mangerà la mente. Mentre l'anima divora l'energia eterica della vita appena passata, su di essa si viene a creare un'impronta di questa energia eterica. Poi lo spirito divora l'anima, ma lo spirito conserva l'impronta delle vibrazioni eteriche. Noi chiamiamo questo tipo di impronta karma. Il karma rimane con lo spirito quando quest'ultimo entra in una nuova vita. Quando lo spirito è pronto per la rinascita, queste tracce di vibrazioni reagiscono a schemi vibrazionali simili nell'uomo e nella donna che saranno i genitori del neonato. Le loro vibrazioni entreranno come una chiave nella serratura dello spirito che sta arrivando.

L'essenza di ciò che siamo è responsabile del fatto che ci viene sempre riportata indietro la completezza di ciò che siamo. Ci spinge sempre in circostanze in cui esistono opportunità per guarirci. Il karma crea dei buchi nell'anima, la nostra architrave, che può essere guarita solo sperimentando pienamente i sentimenti che abbiamo bloccato con il nostro giudizio. Se l'anima è segnata da rabbia irrisolta, entrerà in un essere che avrà genitori che agiranno in modo adatto alla guarigione dell'anima. Un genitore potrebbe esprimere ira, mentre l'altro potrebbe reprimerla. Stiamo usando l'ira come esempio, ma potremmo sostituirla con qualsiasi schema emotivo.

Il processo attraverso cui il bambino è condotto a bloccare i propri sentimenti segue questo tragitto:
1. La memoria dell'ira viene risvegliata in lui perché nel suo imprinting porta ira.
2. Viene risvegliato anche il suo giudizio nei confronti dell'ira.
3. Reagisce con paura perché porta con sé memorie di dolore e di giudizio.
4. Si esclude dall'esperienza difendendosi.
5. Assume una decisione nei confronti dell'ira: l'ira fa male. Non sono capace di proteggermi dall'ira. I genitori e le persone irate sono pericolose. Io sono pericoloso quando sono irato. La vita non è gentile. Sentire mi fa male.
6. Il bambino prende una decisione: eviterò l'ira. Eviterò le persone irate. Cercherò di non fare irare le persone. Cercherò di non sentirmi irato. Eviterò i sentimenti. I sentimenti sono pericolosi.

Non ci rendiamo conto dei nostri accordi, dei patti stretti, sinché non li cerchiamo attivamente per annullarli. Questo lavoro (grazie alla conoscenza silenziosa) è estremamente prezioso, perché ci permette di muoverci oltre i patti, oltre le decisioni prese guarendole con consapevolezza. Sotto i nostri sentimenti di collera, o sotto altre emozioni, esiste la paura. Se vi chiedete: "Da dove arriva questa paura?", avete l'opportunità di sciogliere la colla del giudizio e di portare alla luce l'origine della paura. Potete ricatturare quella parte di voi stessi che avete escluso. La paura che sentite è qualcosa di familiare. L'avete già vissuta in circostanze simili quando eravate bambini e avete fatto un patto con essa, e ora state reagendo alla paura che vi ha colpiti allora, esattamente nello stesso modo in cui avete reagito allora. Ci proteggiamo seguendo il patto che abbiamo stretto nell'infanzia. Ma ogni volta che diventiamo consapevoli della nostra paura, scopriamo il tesoro che vi si nasconde dietro.

Grazie alla consapevolezza possiamo ricatturare il nostro potere. Possiamo ripercorrere le nostre esperienze con gli occhi dell'amore, gli occhi di una madre e di un padre amorevoli, e guarirle. Ci accorgiamo che è stata la paura a stabilire in noi questa difesa. Quindi, capiamo che tutti i nostri sentimenti e le nostre difese non sono altro che parte di noi. Io sono tutto ciò che è dentro e fuori le mura delle mie difese. La nostra esperienza non è altro che un sentimento. Tutto ciò che i sentimenti chiedono è di essere percepiti. La soluzione consiste nel percepire i propri sentimenti. Quando ne diventiamo capaci, l'intera dinamica del Parassita si dissolve. Quando giunge il momento di essere toccati da questa conoscenza, è come udire un richiamo al risveglio.

Negli anni Sessanta, molte persone hanno provato una sensazione di risveglio. In quel periodo la luce del Sole ebbe una variazione sconvolgente. Accadde proprio in quel periodo perché tutte le nostre azioni sono in qualche modo provocate dal Sole. L'attenzione al sé, che iniziò con le rivoluzioni sociali degli anni Sessanta, potrebbe essere la cosa più meravigliosa che sia mai accaduta, perché studiare se stessi significa studiare Dio, il Divino, il Sé Reale e non l'ego.

La stessa coscienza spirituale che ha provocato la ricerca spirituale degli anni Sessanta sta ancora scegliendo. Lo spirito che ha scelto ciò che ci accade, i nostri genitori e la nostra vita, sta ancora scegliendo ciò che ci capiterà in questa vita. Noi pensiamo di scegliere, ma l'unica cosa che veramente accade è che torniamo sempre alla completezza. Ci arriviamo vivendo la vita per quello che è e per quello che non è, senza giudicarla.
È qualcosa che non facciamo con la nostra mente né con il Parassita. Ci limitiamo a entrare in uno spazio privo di giudizio e questo è ciò che significa arrendersi. Noi accettiamo che tutto è divinamente perfetto, arrendendoci all'esperienza. Lo chiamiamo il passaggio del drago. Ho passato il drago. Non devo più superarlo. Per uscire dal sogno, per superare il drago, per giungere alla pura luce nera ho dovuto combattere. Il nostro campo dell'aura ci protegge dalla luce nera. La pura luce nera non è un conduttore di vita. Per questo, superare il drago significa affrontare un rischio fisico. In un certo senso, è più facile per le donne superare il drago, perché loro sanno come arrendersi. La resa è codificata nelle donne perché, quando partoriscono, devono fisicamente abbandonare i propri figli, poi devono abbandonarli emotivamente.


- da "La Via dei Quattro Accordi" di don Miguel Ruiz -


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venerdì 14 giugno 2013

Poesia dei Nativi Americani


Il lungo sentiero e la foresta oscura
son davanti a me,
odo il suono di tamburi lontani
che la magia del vento diffonde nell'aria
e avverto il canto ritmico del mio cuore.
Ascolto nel vento il tuo nome,
sussurro lieve... sospiro d'amore
che aumenta al ritmo del tam tam,
poi torna a defluire fino ad estinguersi.
Comincia il canto melodioso della natura
fra i sottili fili d'erba che il vento
scuote inondando il mio spirito.
Vengo a Te
o voce nel vento
Aspettami.
Sono debole e indifesa
ho bisogno della Tua forza e della Tua mano.
Affidami alle ali del vento
e fa che i miei occhi ammirino
sempre un tramonto dorato.
Fa che io voli alta nel cielo
sicura come un'aquila
e la mia anima ascolti
il sussurro della pioggia.
Rendimi saggia
che capisca la fragilità di una foglia
e la potenza del vento.
La tua forza e la tua dignità
mi siano scudo contro il male.
Fa che io sia sempre vicino a Te
con mani sante e occhi luminosi
fino a quando la luce del tramonto
svanirà in una notte stellata
ed il mio Spirito s'innalzerà a Te
con la dolcezza delle ali di una colomba!


lunedì 27 maggio 2013

Lo spirito del Sufismo



di Hazrat Inayat Khan


Il Sufismo non può essere chiamato una religione perché è libero dai principi, dalle distinzioni e dalle differenze, che sono proprio la base sulla quale le religioni sono fondate; il Sufismo non può neanche essere chiamato una filosofia, perché la filosofia insegna lo studio della natura nelle sue qualità e nella sua varietà, mentre il Sufismo insegna l’unità. Quindi potrebbe essere chiamato semplicemente l’allenamento della visione.

La parola ‘Sufi’ implica purità, e purità contiene due qualità (purità e purezza). Purità significa non mescolato con nessun altro elemento, o in altre parole ciò che esiste nel proprio elemento, non amalgamato e non macchiato. La seconda qualità della purezza è una grande adattabilità.

Tale è anche la natura del Sufi. Per prima cosa si purifica tenendo costantemente davanti a sé la visione di Dio, non permettendo che le macchie delle differenze e delle distinzioni terrene siano rispecchiate sul suo cuore, né alle associazioni buone o cattive, né ai rapporti con gente di classe alta o bassa. Nessuna fede o credenza può mai interferire con la sua purità.

Il Sufi mostra la sua fratellanza universale nella sua adattabilità. Fra i Cristiani lui è un Cristiano, fra Ebrei lui è un Ebreo, fra i Musulmani lui è un Musulmano, fra gli Indù lui è un Indù; poiché lui è uno con tutti, e quindi tutti sono con lui. Lui permette ad ognuno di unirsi alla sua fratellanza, e nello stesso modo permette a se stesso di unirsi a chiunque altro. Lui non chiede mai: “Qual è la tua fede o nazione o religione?”, né chiede: “Quali sono i tuoi insegnamenti o principi?”

Chiamalo fratello, lui risponde fratello, e lo pensa. Riguardo ai principi, il Sufi non ne ha nessuno, perché la dolcezza può essere vantaggiosa per uno, e dannosa per un altro. E così vale per ogni principio, bene o male, gentile o crudele. Se chiediamo a un soldato di avere compassione durante la battaglia, sarà subito sconfitto. Ciò dimostra che ognuno ha i propri principi per ogni azione o situazione. Una persona potrebbe credere in un certo principio, mentre un’altra potrebbe avere un’opinione completamente opposta. Ciò che una persona potrebbe chiamare bene, un’altra potrebbe chiamarlo male. Uno dice che una certa strada è quella giusta, mentre un altro prende la direzione opposta. Il Sufi, invece di centrarsi nei suoi piaceri e dispiaceri e di limitare se stesso ad un certa fede o credenza, ragionando da solo su ciò che è bene o male, focalizza la sua vista su quella di un altro, e quindi vede la ragione per cui lui crede e per cui non crede, per cui qualcosa è giusto per uno e sbagliato per un altro. Il Sufi comprende anche perché qualcosa che viene chiamato bene da alcuni potrebbe essere chiamato male da altri, e così mantenendo sotto controllo il suo punto di vista arriva alla vera altezza della saggezza.

Il Sufi è un vero Cristiano riguardo alla carità, alla fratellanza e alla guarigione della sua anima come a quella dell’anima di un altro. Non è intransigente nel modo di aderire ad una Chiesa particolare, o nell’abbandonare gli altri maestri ed i loro seguaci che vennero prima e dopo Cristo, e il suo apprezzamento e le pratiche della sua verità sono intensi come quelli di un vero Cristiano.

E’ nelle vite dei dervisci che si vede la vera rappresentazione della vita e degli insegnamenti di Cristo, specialmente nel loro condividere la loro casa e il loro cibo con gli altri, sia amici che nemici. Persino oggigiorno continuano nei loro modi puri. Il Sufi è un Cattolico poiché produce il disegno del suo ideale di devozione nella sua anima, ed è un Protestante abbandonando la parte cerimoniale del culto.

Il Sufi è un Bramano, perché la parola Bramano significa ‘colui che conosce Brahma’, o Dio, l’unico Essere. La sua religione consiste nel credere in nessuna altra esistenza tranne quella di Dio, che il Bramano chiama Advaita. Il Sufi ha tanti gradi spirituali da attraversare quanti ne hanno gli Yogi. Ci sono pochissime differenze persino nelle loro pratiche, dato che la differenza è principalmente nei nomi. Senza dubbio il Sufi preferibilmente sceglie una vita normale rispetto a quella di un asceta, tuttavia non si limita né alla prima né al seconda. Il Sufi considera gli insegnamenti degli Avatars vere manifestazioni della divina saggezza, ed ha una perfetta intuizione nella sottile conoscenza del Vedanta. Il Sufi apprezza il concetto dell’inoffensività del Jain, e considera che la gentilezza sia la vera strada di purità e perfezione. Nel passato i Sufi hanno vissuto la vita di rinuncia, e in Oriente la maggior parte di loro vive ancora una vita del tutto inoffensiva, proprio come gli Jains.

Il Sufi è un Buddista, perché ragiona su ogni passo in avanti nel suo viaggio spirituale. Gli insegnamenti Sufi sono molto simili agli insegnamenti dei Buddisti; infatti è il Sufi che unisce i credenti e i non credenti nell’Ideale di Dio e nella conoscenza dell’unità.

Il Sufi è un Musulmano, non perché molti Musulmani furono Sufi, né a causa del suo utilizzo della fraseologia Musulmana, ma perché nella sua vita dimostra quello che un vero Musulmano dovrebbe essere.

I Musulmani hanno un tale senso di devozione che non importa quanto grande un peccatore o quanto crudele un uomo possa essere, il nome di Allah o di Maometto lo scioglie subito in lacrime. In modo simile le pratiche del Sufismo sviluppano per prime le qualità del cuore che spesso sono trascurate da molti altri mistici.

E’ la purificazione del cuore che lo rende recettivo all’illuminazione dell’anima. I Sufi sono coloro che leggono il Corano per ogni esperienza nella vita, e vedono e riconoscono il volto di Maometto in ogni atomo della manifestazione.

Il Sufi, come uno Zoroastriano o un Parsi, guarda verso il sole e si inchina di fronte all’aria, al fuoco, all’acqua, alla terra, riconoscendo l’immanenza di Dio nella Sua manifestazione, prendendo il sole e la luna come i segni di Dio.

Il Sufi interpreta il fuoco come il simbolo della saggezza, e il sole come la luce celestiale. Non solo si inchina di fronte a loro ma assorbe anche le loro qualità. Generalmente in presenza dei dervisci brucia costantemente un fuoco di legno e l’incenso.

Il Sufi è un Ebreo, specialmente nello studio e nella maestria dei diversi nomi di Dio. Il potere miracoloso di Mosé può essere trovato anche nelle vite dei Sufi sia nel passato sia nel presente. Infatti, il Sufi è il maestro del misticismo Ebraico; la voce divina sentita da Mosé sul Monte Sinai nel passato è udibile a molti Sufi oggi.


http://www.movimentosufi.com/LO%20SPIRITO%20DEL%20SUFISMO%20di%20Hazrat%20Inayat%20Khan.html




IL SUFISMO E IL MESSAGGIO SUFI

Sufismo significa saggezza. Tutti sappiamo che i Cristiani sentono che c'è saggezza nell'essere Cristiani. Gli Ebrei sentono che c'è saggezza nell'essere Ebrei. I Musulmani sentono che c'è saggezza nell'essere Musulmani. Gli Indù e i Buddisti, e così molti altri, sentono anche che c'è saggezza nell'appartenere alla religione cui appartengono. Infatti, se i Cristiani scoprono veramente la saggezza, allora sono Sufi, sia che loro scelgano di chiamarsi così oppure no. Se gli Ebrei scoprono veramente la saggezza, allora sono Sufi. Se i Musulmani scoprono veramente la saggezza, allora sono dei Sufi, e lo stesso vale per i Buddisti e gli Indù e per tutti coloro che seguono qualsiasi religione.

Un Sufi, per definizione, è un'anima religiosa; tuttavia, il Sufismo non è una religione, né un culto o una scuola. Il Sufismo è proprio solo una "porta aperta", un atteggiamento di simpatia interiore verso tutte le credenze. Tutte le religioni sembrano essere tutte derivazioni di uno e dello stesso impulso, il grido del cuore, la brama dell'anima per Dio.

Un Sufi sente la necessità di fare certe pratiche che non sono tenute segrete egoisticamente come nel caso di vari culti e sette. Queste pratiche sono salutari da un punto di vista fisico come anche psicologico. Per esempio, le pratiche di respirazione sono incoraggiate per sviluppare la finezza dell'energia del Prana nel respiro. Non è il volume del respiro che è importante ma piuttosto l'intensità della luce del Cosmo che il respiro trasmette. Altre discipline come le pratiche di concentrazione aiutano estremamente l'allenamento della mente. Sorprendentemente, più siamo capaci di concentrarci su un dato pensiero e tenerlo saldo, più siamo capaci di liberare la mente da un pensiero che non è voluto. Ci sono talmente tante persone che sono infelici perché sono ossessionate da pensieri che disturbano, e non sanno come sbarazzarsene.

Ci sono anche pratiche di tipo devozionale, quali le preghiere in cui il Sufi si trattiene dal chiedere, ma invece tenta di offrire amore e gratitudine al Divino Amato. La parola amore rappresenta una realtà vastissima che ha significato soltanto quando l'io è dimenticato nello schiudersi dell'Amore.

Il Sufi prende gli altri più seriamente di sé, e questa è la ragione per cui è molto difficile comprendere ciò che un Sufi pensa e sente veramente. In riguardo all'esistenza materiale, il Sufi è sveglio alla realtà della creazione, mentre allo stesso tempo osserva l'infinita realtà dell'illusione.


http://www.movimentosufi.com/index.html#IL%20SUFISMO


domenica 19 maggio 2013

La dedica al guerriero


In un mondo dove i punti di riferimento sono pochi o mancano, dove i maestri, quelli veri, scompaiono sotto le sferzate di una mediocrità imperante e dove il Sistema poggia le suo forti basi sul relativismo e il "si salvi chi può", non è al manager o al perfetto impiegato che sento di voler scrivere una dedica, ma a quella persona particolare, a quell' uomo spinto ad agire da un Dio: il guerriero.

Non commettere, caro lettore, l' errore di prendere la parola guerriero come inneggiante all' egoismo ed alla violenza, i poteri forti ci mettono a disposizione un vocabolario falso; il vero guerriero è l' uomo spinto da un Dio, un essere supremo ed interiore che lo muove e guida affinché vinca le sue battaglie per un grande cambiamento o muoia ispirando gli altri.
Di esseri umani davvero guerrieri ve ne sono pochi, ma è su quei pochi che si giocano le sorti di tutti noi e, forse, proprio tu, che stai dall' altra parte dello schermo, rientri in questo gruppo speciale e, magari, accenni anche ad un piccolo sorriso mentre leggi queste parole.
Il guerriero è colui che non ha legami particolari, poiché non è del particolare che gli interessa, ma di tutto ciò che esiste ed è collegato con la sua missione. Il guerriero è colui che non accetta i limiti che ha, poiché sa di non avere limiti e che sono questi in realtà soltanto riflessi di una parte di lui che non lo rappresenta davvero, ma che hanno cercato di incollargli addosso. Il guerriero è colui che sa di non conoscersi affatto, ma che promette a sé stesso di non darsi per vinto nella crescita, poiché il flusso dell'esistenza è in continuo cambiamento e noi con esso. Il guerriero è quella persona che non ha rimpianti, traumi o dipendenze e non perché non abbiano mai cercato di ferirlo o ucciderlo o perché non abbia mai sbagliato, avuto paura o desiderato qualcosa, ma perché è vivo e forte nel presente e si sente costantemente ispirato dal Dio che gli è dentro e che lo fa alzare ogni volta che cade, senza guardare alle parti che ha perso. Il guerriero vive pienamente le proprie emozioni, ma non lascia mai loro potere e controllo, lui è padrone di sé quando desidera esserlo. Il guerriero è colui che guardando il cielo stellato, ogni sera, saluta i suoi fratelli e le sue sorelle che da lontano lo osservano aspettando il suo ritorno. Il guerriero è quella persona che non scappa davanti ai doveri, ma che sa di essere nato per portarseli sulle spalle poiché è l' unico che potrebbe farcela a sopportarli. Il guerriero è colui che non si arrende quando gli dicono che il suo sogno di un mondo migliore è solo un sogno o che le persone che gli stanno intorno non brandiranno mai con lui la spada o non lo ameranno mai per ciò che fa. Il guerriero non si arrende perché il Dio che gli è dentro gli dà la forza di cui ha bisogno e perché non è un uomo del popolo, ma per il popolo, e non gli importa se qualcuno combatterà con lui o lo amerà per il suo sacrificio, lui non cerca altri martiri, ricerca un mondo che di martiri non abbia più bisogno.
Il guerriero non sempre nasce tale, capita infatti, a volte, che in un momento, in una giornata come un altra, la vita per una persona acquisti improvvisamente un significato diverso e che qualcosa, nel profondo del suo essere, apra gli occhi e la riempia di nuova energia. Altre volte è invece un percorso alla ricerca del vero sé che porta una persona a diventare un guerriero e a combattere fino alla fine dei suoi giorni per cambiare qualcosa, anche solo un dettaglio, affinché nessuno più pensi di non essere tanto forte per vivere pienamente o che solo alcuni abbiano un Dio al loro interno e possano maneggiare una spada.

Forse ti ho annoiato, caro guerriero che leggi queste parole, forse ti ho detto cose di te che già sapevi, ma pensavo fosse giusto che almeno una volta, almeno io, potessi dirti che non sei solo e che quel grazie di cui sicuramente non avrai bisogno, c' è chi sente di volertelo dire con tutto sé stesso. Grazie..



dal blog Alleanza Magica: http://alleanzamagica.blogspot.it/2012/05/la-dedica-al-guerriero.html



lunedì 29 aprile 2013

La Coscienza Cristica - Paramahansa Yogananda


Il vero significato di “fede nel suo nome” e di salvezza

“Poiché Dio ha talmente amato il mondo che ha dato il Figlio suo unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio infatti non ha mandato il Figlio suo al mondo per condannare il mondo; ma affinché per mezzo suo il mondo si salvi. Chi in lui crede, non è condannato; ma chi non crede è stato già condannato; perché non crede nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E la condanna sta in questo: al mondo è venuta la luce, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce; perché le opere loro erano malvagie. Poiché chi fa male odia la luce, e non si accosta alla luce, perché non vengano biasimate le opere sue. Chi poi opera secondo la verità, si accosta alla luce, affinché si rendano manifeste le opere sue, perché sono fatte secondo Dio.”
(Giovanni; 3, 16-21)


La confusione tra “Figlio dell’uomo” e “Figlio unigenito di Dio” ha provocato un atteggiamento di estremo bigottismo in seno alla comunità cristiana tradizionalista. Quest’ultima infatti non comprende o non riconosce la componente umana di Gesù, cioè la sua natura di uomo: una creatura nata in un corpo mortale, la quale aveva fatto evolvere la propria coscienza fino a diventare una cosa sola con Dio stesso. Non Gesù in quanto individuo dotato di un corpo fisico, ma la coscienza racchiusa in quel corpo era una cosa sola con il Figlio unigenito, ovvero con la coscienza cristica, unico riflesso di Dio Padre nel creato. Nell’esortare l’umanità a credere nel Figlio unigenito, Gesù si riferiva a questa coscienza cristica, latente in ogni anima e pienamente manifesta in lui, come in tutti i maestri che nel corso dei secoli hanno realizzato Dio. Gesù ha detto che tutte le anime capaci di capaci di innalzare al cielo astrale la propria coscienza fisica (la coscienza del Figlio dell’uomo), e quindi di diventare una cosa sola con l’unigenita Intelligenza cristica immanente in tutta la creazione, conosceranno la vita eterna.

Questo passo della Bibbia sta forse a significare che tutti coloro che non credono in Gesù o non lo accettano come loro salvatore saranno condannati? Questo è un concetto dogmatico di condanna. In realtà, Gesù intendeva dire che chiunque non comprenda di essere una cosa sola con la coscienza cristica universale è condannato a vivere e a pensare come un essere mortale, tormentato dalle avversità, limitato dai confini sensoriali, perché ha essenzialmente disgiunto se stesso dall’eterno Principio della vita.

Gesù non si è mai riferito alla propria coscienza di Figlio dell’uomo, ovvero al proprio corpo, come all’unico salvatore di tutti i tempi. Abramo e molti altri furono salvati anche prima che Gesù nascesse. È un errore metafisico considerare il personaggio storico di Gesù come l’unico salvatore. Il redentore universale è l’intelligenza cristica. Quale unico riflesso dello Spirito assoluto (il Padre), onnipresente nel mondo della relatività, il Cristo infinito è l’unico intermediario, l’unico legame tra Dio e la materia. Tutti gli individui dotati di forma materiale (a qualsiasi casta o fede appartengano) devono ricorrere a questo intermediario per giungere a Dio. Entrando in sintonia con la coscienza cristica, ogni anima può liberare la propria coscienza dai suoi confini materiali e immergerla nella vastità dell’Onnipresenza.

Gesù ha detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono lui”. Egli sapeva che il suo corpo fisico era destinato a rimanere sul piano terreno solo per breve tempo; così spiego a coloro che lo consideravano il proprio salvatore che, una volta scomparso quel corpo (il Figlio dell’uomo) dalla terra, l’umanità sarebbe stata ancora in grado di trovare Dio e la salvezza, credendo nell’onnipresente figlio unigenito di Dio e conoscendolo. Gesù voleva mettere in risalto che chiunque avesse creduto nel suo spirito in quanto Cristo infinito incarnato in lui avrebbe scoperto il sentiero che porta alla vita eterna, grazie alla scienza della meditazione, che conduce a uno stato di interiorizzazione e di elevazione della coscienza.

“Affinché chiunque crede in lui non perisca”. Le forme della natura sono soggette al cambiamento, ma l’intelligenza infinita immanente nella natura non è mai toccata dalle mutazioni create dall’illusione. Un bambino che si è affezionato a un pupazzo di neve scoppierà in lacrime quando il sole salirà alto nel cielo e scioglierà quella forma. Allo stesso modo soffrono i figli di Dio affezionati al mutevole corpo umano, che subisce i cambiamenti dell’infanzia, della giovinezza, della vecchiaia e della morte. Ma coloro che interiorizzano la forza vitale e la coscienza e si concentrano sull’immortale scintilla interiore della propria anima percepiscono il cielo anche mentre si trovano su questa terra; e, realizzando l’essenza trascendente della vita, non sono soggetti al dolore e alla sofferenza inerenti ai cicli ricorrenti della vita e della morte.

Le solenni parole pronunciate da Gesù in questo passo del Vangelo intendevano comunicare un’incoraggiante promessa divina di redenzione per tutta l’umanità. Le interpretazioni errate che hanno dominato per secoli sono invece valse a fomentare guerre di odio intollerante, inquisizioni, torture, condanne, ripudi e divisioni.

“Dio infatti non ha mandato il Figlio suo al mondo per condannare il mondo, ma affinché per mezzo suo il mondo si salvi”. In questo versetto il “mondo” sta ad indicare l’intera creazione di Dio. Nel riflettere la sua intelligenza nel creato, rendendo così possibile l’esistenza di un universo ordinato e armonico, l’intento del Signore non era quello di creare una prigione di finitezza in cui confinare le anime e farle partecipare, volenti o nolenti, a una danse macabre di sofferenza e distruzione. Dio intendeva piuttosto rendersi accessibile come quella irresistibile Forza che spinge il mondo a superare la manifestazione materiale, immersa nelle tenebre dell’ignoranza, per giungere alla luce della manifestazione spirituale.

Indubbiamente, la manifestazione vibratoria dell’intelligenza universale, ovvero la creazione, ha dato origine alle innumerevoli attrazioni del teatro cosmico che continuano a confondere l’uomo, inducendolo ad allontanarsi dallo Spirito per volgersi verso la vita materiale, a distogliere lo sguardo dall’Amore universale per rivolgerlo alle infatuazioni umane. Tuttavia l’assoluto che trascende il creato resta vicino e intimamente percepibile attraverso il suo intermediario, l’intelligenza divina che si riflette nel creato stesso. Grazie a questo contatto, il devoto comprende che Dio ha mandato l’intelligenza cristica (il suo Figlio unigenito) per creare non una camera di tortura, ma un grandioso film cosmico, le cui scene e i cui attori sono destinati a intrattenere e intrattenersi per qualche tempo, e poi tornare infine alla beatitudine dello Spirito.

Alla luce di questa consapevolezza, il devoto, in qualunque circostanza lo ponga questo mondo della relatività, avverte il proprio legame con lo Spirito universale e comprende che l’immensa intelligenza dell’Assoluto opera in tutte le relatività della natura. Chiunque creda in questa intelligenza, cioè in Cristo, e si concentri su di essa piuttosto che sulle sue opere, ovvero sulla creazione esteriore, trova la redenzione.

È assurdo pensare che Dio infligga ai non credenti la condanna di peccatori. Poiché il Signore dimora Egli stesso in tutte le creature, la sua condanna sarebbe una forma di vero e proprio autolesionismo. Dio non punisce mai l’uomo che non crede in Lui; è l’uomo a punire se stesso. Se qualcuno non crede al potere di un generatore di corrente e tagli i fili elettrici che collegano la sua casa a quel generatore, egli si nega i vantaggi offerti dall’elettricità. Allo stesso modo, disconoscere l’Intelligenza onnipresente in tutto il creato vuol dire negare alla coscienza il suo legame con la Sorgente della saggezza e dell’amore divini, la quale consente il processo di ascensione allo Spirito.

Riconoscere l’immanenza divina è un processo che può cominciare in un modo molto semplice: lasciando che il nostro amore si espanda in flussi sempre più ampi. L’uomo si condanna alla limitazione ogni volta che pensa soltanto al suo piccolo sé, alla sua famiglia, alla sua nazione. Il processo di espansione è un elemento essenziale dell’evoluzione della natura e dell’uomo per ritornare a Dio. Essere consapevoli esclusivamente della propria famiglia – “noi quattro e nessun altro” – è una cosa sbagliata. Escludere la più grande famiglia dell’umanità vuol dire escludere il Cristo infinito. Chi separa la propria felicità e il proprio benessere da quelli altrui si è già condannato all’isolamento dallo Spirito che pervade tutte le anime. Infatti, non espandendo se stesso nell’amore e nel servizio reso a Dio negli altri, egli non riconosce il potere salvifico dell’unione con il Cristo universale. Ogni essere umano ha ricevuto il potere di fare il bene; se non usa questa facoltà, il suo livello di evoluzione spirituale è di poco superiore a quello dell’istintivo egoismo di un animale.

L’amore pure presente nei cuori umani irradia l’amore cristico universale. Espandere continuamente il proprio amore vuol dire mettere in sintonia la coscienza umana con il Figlio unigenito. L’amore per i familiari è il primo passo dell’espansione dell’amore di sé verso chi ci circonda; amare tutti gli esseri umani, di qualsiasi razza e nazionalità, è conoscere l’amore cristico.

Dio in quanto Cristo onnipresente è l’unico artefice di tutte le forme di vita. Nelle nuvole e nel cielo il Signore dipinge scenari grandiosi e sempre mutevoli; nei fiori crea altari di fragrante bellezza; in ogni cosa e persona (negli amici e nei nemici, nelle montagne, nelle foreste, nell’oceano, nell’aria e nella roteante volta galattica che sovrasta ogni cosa) il devoto cristico vede l’unica luce di Dio, in cui tutto si fonde. Egli si rende conto che le innumerevoli espressioni di quell’unica Luce, spesso apparentemente caotiche perché in conflitto o in contrasto tra loro, sono state create dall’intelligenza divina non per ingannare gli esseri umani o per farli soffrire, ma per persuaderli a cercare l’Infinito da cui provengono. Chi guarda non le parti ma l’insieme riconosce lo scopo della creazione, cioè l’ineluttabile destinazione di noi tutti, senza alcuna eccezione, verso la salvezza. Tutti i fiumi vanno verso l’oceano; i fiumi delle nostre vite vanno verso Dio.

Le onde che si trovano sulla superficie dell’oceano sono in continuo mutamento, mentre giocano con il vento e con le forze che regolano le maree; ma la loro essenza di oceano resta immutata. Chi si concentra sulla singola onda di un’unica vita è destinato a soffrire, perché l’onda è instabile e non può durare. Questo è ciò che Gesù intendeva con “condannato”: l’uomo che resta legato al corpo, isolandosi da Dio, causa la propria condanna. Per ottenere la salvezza egli deve riconquistare la consapevolezza della propria inscindibile unità con l’immanenza divina.

“Mentre veglio, mangio, lavoro, sogno, dormo,
servo, medito, canto e divinamente amo,
l’anima mia bisbiglia senza posa, non udita da alcuno:
Dio, Dio, Dio!”
(da “Songs of the Soul” di Paramahansa Yogananda)

In questo modo si mantiene la costante consapevolezza del proprio legame con l’immutabile intelligenza divina, la Bontà assoluta celata dietro gli enigmi del creato e le loro sfide.

“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è stato già condannato”. Qui si mette in risalto anche quale ruolo svolga il “credere” nel provocare o meno la condanna dell’uomo. Chi non comprende che l’Assoluto è immanente nel mondo della relatività tende a diventare vuoi uno scettico vuoi un dogmatico, perché in entrambi i casi la religione è per lui una questione di fede cieca. Incapace di conciliare l’idea di un Dio buono con gli apparenti mali della creazione, lo scettico rifiuta le credenze religiose con la stessa testardaggine con cui il dogmatico vi resta aggrappato.

Le verità impartite da Gesù andavano ben oltre le credenze cieche, che acquistano o perdono valore sotto l’influenza dei paradossali proclami dei preti o dei cinici. Credere è uno stadio iniziale dell’evoluzione spirituale, necessario per accogliere l’idea di Dio. Ma quell’idea deve trasformarsi in una convinzione, deve diventare oggetto di esperienza. La credenza è la progenitrice della convinzione; per indagare in modo imparziale su qualcosa, è necessario prima accogliere l’idea che esista. Ma se ci si accontenta della mera credenza, questa diventa dogma, e quindi ristrettezza mentale, che preclude l’accesso alla verità e al progresso spirituale. È quindi necessario coltivare, nel terreno della credenza, la messe dell’esperienza diretta di Dio e del contatto con Lui. Questa inconfutabile realizzazione, non la mera credenza, è ciò che salva gli esseri umani.

Se qualcuno mi dice: “Io credo in Dio”, gli chiedo: “Perché credi? Come fai a sapere che c’è un Dio?”. Se la risposta si basa su supposizioni o su una conoscenza indiretta, concluderò che egli non crede veramente. Per avere una convinzione bisogna anche avere dei dati a sostegno; altrimenti si tratta solo di un dogma, che è facile preda dello scetticismo.

Se, poniamo, io indicassi un pianoforte e dichiarassi che si tratta di un elefante, la ragione di una persona dotata di intelligenza si ribellerebbe dinanzi a una simile assurdità. Lo stesso accade con i dogmi religiosi trasmessi senza la verifica dell’esperienza e della realizzazione: presto o tardi, quando saranno messi alla prova da esperienze contrarie, la loro verità subirà l’attacco della ragione e delle sue speculazioni. Via via che i brucianti raggi del sole dell’indagine raziocinante divengono sempre più infuocati, le fragili credenze prive di fondamento appassiscono e si inaridiscono, lasciando dietro di sé una landa desolata, in cui crescono solo il dubbio, l’agnosticismo e l’ateismo.

Trascendendo la mera indagine filosofica, la meditazione scientifica mette in sintonia la coscienza con la verità più alta e più grande; a ogni passo che compie, il devoto si avvicina alla vera realizzazione e si sottrae a un incerto vagabondare. Perseverare negli sforzi di verifica e di esperienza diretta delle credenze mediante la realizzazione intuitiva, raggiungibile grazie ai metodi yoga, vuol dire forgiare una vera vita spirituale, a prova di qualsiasi dubbio.

Credere è una grande forza, se porta al desiderio e alla determinazione di fare l’esperienza del Cristo. Questo è ciò che intendeva Gesù esortando a “credere nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”: per mezzo della meditazione, bisogna ritirare la coscienza e la forza vitale dai sensi e dalla materia, per avere l’intuizione dell’Aum, la Parola, ovvero l’Energia vibratoria cosmica che è il “nome”, cioè l’attiva manifestazione dell’immanente coscienza cristica. Una persona può affermare continuamente la propria credenza intellettuale in Gesù Cristo, ma se le manca l’autentica esperienza del Cristo cosmico, incarnato in Gesù e onnipresente al tempo stesso, la sola credenza avrà per lei una ben scarsa utilità spirituale, insufficiente a ottenere la salvezza.

Nessuno può ottenere la salvezza limitandosi a ripetere il nome del Signore o a lodarlo in sequele crescenti di “alleluia”. Non sono la fede cieca nel nome di Gesù né l’adorazione della sua persona a permettere di accogliere il potere salvifico dei suoi insegnamenti. La vera adorazione di Cristo consiste nella divina comunione, che porta alla percezione del Cristo nel tempio senza mura della coscienza in espansione.

Dio non si manifesterebbe nel suo “Figlio unigenito” nel mondo per poi farlo agire come un implacabile investigatore che insegue i non credenti per punirli. L’intelligenza cristica redentrice, che alberga in seno a ogni anima indipendentemente dal bagaglio di peccati o di virtù accumulato nelle sue incarnazioni, attende con pazienza infinita che nella meditazione ciascuno si risvegli dal sonno narcotizzante dell’illusione per ricevere la grazia della salvezza. Chi crede in questa intelligenza cristica, e inoltre coltiva con l’azione spirituale il desiderio di ricercare la salvezza ascendendo a questa coscienza riflessa di Dio, non è più costretto a vagare alla cieca lungo l’ingannevole sentiero dell’errore. Con passi ponderati, egli si dirige sicuro verso l’infinita Grazia redentrice. Ma il non credente che irride il pensiero di questo Salvatore, unica via verso la salvezza, condanna se stesso all’ignoranza della prigionia nel corpo e alle sue conseguenze, finché non raggiungerà il risveglio spirituale.


– da “Lo Yoga di Gesù” di Paramahansa Yogananda




COSCIENZA CRISTICA: La coscienza di Dio proiettata nella creazione e immanente in essa. Nelle sacre scritture cristiane è il “figlio unigenito”, l’unico puro riflesso di Dio Padre nella creazione; in quelle induiste la coscienza cristica è chiamata “kutastha chaitanya” o “Tat”, la coscienza universale, ovvero l’intelligenza cosmica dello Spirito onnipresente nella creazione. (I termini “coscienza cristica” e “intelligenza cristica” sono sinonimi, come lo sono anche “Cristo cosmico” e “Cristo infinito”). È la coscienza universale, l’unione con Dio, manifestata da Gesù, Krishna e altri avatar. I grandi santi e i grandi yogi la conoscono come “samadhi”, lo stato meditativo in cui la loro coscienza diviene una cosa sola con l’intelligenza divina immanente in ogni particella del creato; allora essi percepiscono l’intero universo come fosse il proprio corpo.


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