giovedì 13 agosto 2020

I viaggi di Socrate - Dan Millman

 

 

Con la primavera del 1905 erano trascorsi nove anni dall’arrivo di Sergei a Valaam. Nove anni di servizio, contemplazione e addestramento al combattimento e alla vita. Sergei aveva trentadue anni. L’irruenza giovanile aveva lasciato il posto a uno stato mentale più riflessivo, a un sobrio senso di maturità, umiltà e visione: i primi segni della trasformazione che Serafim gli aveva predetto.
Dalla morte di Anya, Sergei aveva dedicato più di dieci anni a preparare la vendetta. A volte continuava a sembrargli giusta e onorevole, altre volte una forma di pazzia. Ma un uomo uccide la tua famiglia e tu gli spalanchi i cancelli dell’inferno, ecco tutto.
Era diventato un formidabile guerriero e senza saperlo aveva superato di molto Alexei il Cosacco e Razin. Dentro di lui scorrevano una nuova energia e una nuova forza, un senso di maestria e di invincibilità temperato soltanto dalle regolari bastonate di Serafim.
Questa metamorfosi era accompagnata da un senso di impazienza che scorgeva ogni volta che si poneva la domanda che si era fatto tante volte: per quanto tempo ancora lascerò che Dimitri Zakolev calpesti questa terra? La sua mente volava a sud, verso la Zona di Residenza, dove quell’uomo continuava a spargere sangue innocente.
Pensava che ormai fosse giunto il momento di andarsene, ma non era facile dire addio. Ammirava e invidiava Serafim per la sua pace interiore, uno stato di grazia che forse Sergei non avrebbe mai conosciuto. Ma aveva intravisto la possibilità di imparare un giorno quello che il vecchio monaco avrebbe voluto insegnargli davvero.

La prossima volta che si incontrarono, annunciò la sua decisione: “Serafim, è venuto il momento di andare per la mia strada”.
Il monaco si accarezzò la barba e disse: “Così sia. Ma come pensi di sconfiggere tanti uomini se non riesci nemmeno a mettere fuori combattimento questo vecchio monaco?”.
“Volete dire che prima di potermene andare devo sconfiggervi?”.
“Puoi andartene quando vuoi. Questo è un eremo, non una prigione”.
“Vorrei andarmene con la vostra benedizione”.
“L’hai avuta sin dal primo giorno, e anche prima di allora...”.
“So che capite che cosa intendo, Serafim”.
Il vecchio monaco sorrise. “Ormai ci capiamo benissimo. Stavo semplicemente dicendo che, se riesci a sconfiggermi, vorrà dire che sei pronto”.
In passato si erano affrontati molte volte, ma questa era diversa. Non si sarebbe più trattato di un bambino contro un gigante. Adesso Sergei non aveva dalla sua solo la rapidità e la giovinezza, ma i frutti di un lungo addestramento. Praticava anche mentre mangiava, lavorava, contemplava, persino nel sonno. Sì, era pronto.
Annuì, e Serafim annuì di rimando.

Si misero uno di fronte all’altro e iniziarono a studiarsi. Sergei fece un profondo respiro e lanciò un colpo preciso ma ingannevole, tentando una finta. Serafim non abboccò e rimase rilassato, mentre Sergei gli danzava attorno. Poi il vecchio monaco fece un passo in avanti e mosse un braccio. La mossa improvvisa rischiò di sbilanciare Sergei, che riuscì a mantenere l’equilibrio e la concentrazione. Si gettò in avanti per afferrare il suo avversario per la veste...
Il suo maestro si spostò come un soffio di vento.
Tirò calci, pugni e gomitate, ma Serafim li evitava con tale rapidità che Sergei non trovava mai un punto da colpire. Il suo avversario non era mai dove Sergei si aspettava che fosse. Allora cambiò tattica e invece di cercare l’avversario aprì lo sguardo e la sensibilità a tutto quello che c’era: Serafim, il cielo, la terra... Riuscì a buttarlo a terra, ma cadendo Serafim trascinò con sé Sergei. Si rialzarono nello stesso istante. La lotta continuava, ma il conflitto era scomparso. Non c’erano più, né Serafim né Sergei. Solo energia in movimento.

Sergei balzò in avanti, ma prima che il suo piede toccasse il suo suolo, Serafim svanì e ricomparì in un altro punto, mentre con il piede colpiva il polpaccio di Sergei. Sergei cadde e Serafim gli fu subito sopra, pronto a sferrare il colpo decisivo. L’incontro era finito.
Fu la prima volta in cui si misurarono in uno scontro quasi vero. Serafim non stava solo giocando con lui, ormai Sergei era troppo bravo. E finalmente Sergei vide le qualità che il suo maestro possedeva e che a lui mancavano ancora. Nonostante la sconfitta, fu un progresso decisivo: in quei pochi istanti, Sergei aveva messo a frutto mesi di allenamento. L’avevano capito entrambi, così come entrambi sapevano che Sergei non se ne sarebbe andato. Almeno, non subito. L’addestramento continuava.
Ma sarebbe cambiato al di là di qualunque aspettativa.



La volta successiva, Serafim disse semplicemente: “Tutto ciò che hai imparato è stato solo una preparazione a quello che ti insegnerò adesso. Sarà la tua rinascita, ed è la pratica che mi ha dato le modeste capacità di cui sono in possesso. Avrei potuto insegnartela subito, ma in questo caso ci avresti messo vent’anni. Allenandoti come ho fatto, ho abbreviato i tempi come volevi tu. Con le capacità che hai sviluppato, credo che quest’ultima pratica non ti richiederà più di un anno. Guarda!”.
Fu il metodo più radicale di combattimento che Sergei avesse mai visto. Cominciò con una sola parola: “Preparati!”, seguita da altre tre: “Sto per colpirti”.
Sergei si rilassò nella consapevolezza allargata a cui era stato addestrato. Attese, vigile. Continuava ad attendere, ma Serafim rimaneva immobile come una statua. Sergei fece un lunghissimo respiro profondo, poi un altro. Poi non si tenne più. “Allora, attaccate o no?”.
“Sto attaccando”.
“Cosa? Non capisco”.
“Sttt! Silenzio, per favore. Le parole spingono l’attenzione verso la mente inferiore e rischi di non vedere quello che sta accadendo”.
Nel silenzio che seguì, Sergei riuscì finalmente a vedere che cosa stava accadendo. Il braccio e il corpo di Serafim si stavano effettivamente muovendo verso di lui, ma con una tale lentezza che sembrava fermo.

Passò un altro minuto. “Maestro, avete voglia di giocare? Che cosa significa tutto questo?”.
“Ascolta ogni momento”, rispose Serafim in tono appena udibile. “Senti tutto il tuo corpo, dalla punta dei piedi alla cima della testa e alle dita delle mani. E armonizza il ritmo della tua risposta al ritmo dei miei movimenti”.
Sergei sospirò e iniziò a muoversi con tutta la lentezza possibile. Era frustrante e privo di senso. Ciò nonostante seguì i movimenti del suo maestro per tutti i lunghi minuti che occorsero a Serafim per completare la presa a gancio che aveva iniziato molti minuti prima.
Muovendosi con quella lentezza, Sergei si accorse di alcuni punti di sottile tensione nelle gambe, nell’addome e nelle spalle, e li rilassò.
Quando il primo movimento fu completato, Serafim ne iniziò un altro, anche se era difficile dirlo con sicurezza. Sergei ruppe il silenzio: “Capisco il valore di praticare lentamente, ma non muoversi affatto? Potrei bloccarvi come voglio, oppure andare in cucina, lavare le pentole e tornare prima che voi mi colpiate”.
“Rilassati... respira... guarda”, ripeté Serafim. “Fai come faccio io”.
E continuarono a muoversi lenti e silenziosi come il sole che scende nel cielo all’ora del tramonto.



Il tempo si fermò mentre la pratica continuava. Passarono intere settimane prima che nei movimenti di Serafim apparisse un cambiamento visibile. Si muovevano ancora come attraverso una densa melassa, ma adesso i loro movimenti erano quasi percepibili.
Sergei correggeva gli squilibri di cui fino a quel momento non era mai stato consapevole e imparava a rilassarsi sempre più profondamente nel movimento. Il corpo rispondeva con naturalezza a qualunque situazione, senza nessuno sforzo, e la consapevolezza permeava ogni poro.
Iniziò a sentire i sottili rapporti tra le varie parti del suo corpo, gli organi interni, le ossa, le giunture e le linee di energia che partendo dal cuore scorrevano nelle braccia e nelle gambe, che divennero docili estensioni del loro centro.
A volte Serafim sussurrava: “Muoviti come un’onda... Cresci, allargati, ricadi...”, ma in genere praticavano in silenzio, perché le parole erano inutili. Il movimento divenne una meditazione profonda e a volte, quando l’energia sgorgava dal cuore, si trasformava in una preghiera.
Nei mesi successivi, Serafim continuò ad attaccarlo con quel movimento fluido e lentissimo: un pugno... ginocchio... gomito... mano sinistra... mano destra... colpo diretto... presa... calcio... presa... da tutte le angolazioni. Il sole si muoveva nel cielo, le ombre sulla terra cambiavano, le stagioni si susseguivano.

Verso le metà dell’estate, dopo migliaia di attacchi ognuno dei quali prendeva un intero minuto, nacque in Sergei un nuovo senso del ritmo e della fluidità. Da tempo aveva abbandonato i pensieri ed era tutto un gioco di energie. Qualunque risposta avveniva da sola: movimenti privi di pensiero, risposta priva di sforzo. Sergei avrebbe potuto continuare nel sonno, anche se era l’esatto contrario del sonno. Era pura consapevolezza: nessun io, ma solo due corpi che si muovevano come uno solo, come il vento che soffia diverso a seconda della stagione.
Quando arrivò l’autunno, i movimenti richiedevano solo quindici secondi, poi dieci, poi cinque... ma Sergei non si era neppure accorto della riduzione dei tempi. Il movimento era diventato immateriale. Qualunque forza lo colpisse, veniva assorbita e restituita e percepiva il processo sin nel midollo. Ormai possedeva le abilità di un maestro, ma non era lui a dirigerle.
Con l’inverno, gli attacchi divennero sempre più veloci. Sergei li neutralizzava tutti rimanendo semplicemente consapevole, senza fare nulla volontariamente.
In un momento di grazia, Sergei “vide” l’eleganza e l’efficacia dei movimenti di Serafim e ne rimase profondamente meravigliato. Ma la cosa più incredibile era che sapeva fare lo stesso.
Aveva abbandonato ogni resistenza della mente e del corpo ed era diventato vuoto, un canale in cui scorreva l’energia vitale. Prima aveva imparato a credere a Serafim, poi a credere al suo corpo e adesso era arrivato finalmente a credere in Tutto Ciò Che È.

Un’altra primavera arrivò nel ciclo delle stagioni. I colpi di Serafim erano veloci come il lampo, così veloci che l’occhio non riusciva a coglierli, ma ormai non faceva nessuna differenza. Solo un anno prima, Sergei non sarebbe neppure riuscito a vederli, per non parlare di pararli. Ma adesso la velocità con cui venivano portati non costituiva più un problema.
Poi, senza preavviso, durante un attacco, Serafim si fermò.
Sergei cadde quasi. Il suo corpo era un’unica vibrazione. Sentiva un’aura di energia che li attorniava.
“Un bel movimento, vero?”, disse Serafim.
Sergei annuì sorridendo, mentre il sole primaverile calava all’orizzonte.
“Qual è la prossima pratica?”, chiese.
“Nessuna. Abbiamo finito”.
Per qualche secondo, Sergei udì solo il vento che soffiava tra gli alberi. Non essendo sicuro di avere capito, chiese conferma: “Volete dire che il mio addestramento è completo?”.
“L’addestramento non finisce mai”, rispose Serafim. “Continua a evolvere, a seconda degli obiettivi. Ma adesso conosci l’essenza del movimento e della vita. Hai anche imparato qualcosa sull’arte del combattimento. Hai avuto quello che volevi”. E aggiunse: “Domani andremo a fare una passeggiata e dimenticheremo ogni desiderio di vendetta. Ci sono scopi molto più elevati”.
“Ma Serafim, voi sapete benissimo...”.
“Domani. Ne riparleremo domani”.



Il giorno dopo, Sergei riprese la frase che aveva interrotto: “Voi sapete che ho fatto un voto sulla tomba della mia famiglia”.
“Un voto fatto a te stesso, non a Dio. In verità, Socrate, non hai altri nemici che te stesso. Trova la pace dentro di te e nessuno potrà mai sconfiggerti. E tu non vorrai sconfiggere nessuno”.
Camminarono a lungo in silenzio, prima che Sergei rispondesse. “Un mio antico insegnante diceva che prendere un impegno significa fare quello che ci si è proposti di fare, o morire nel tentativo”. Guardò negli occhi Serafim. “E io ho preso un impegno, padre Serafim. Devo portarlo fino in fondo”.
Il vecchio monaco sembrava molto stanco. “Non vorresti rimanere con noi, come uno di noi, solo per qualche anno?”.
“Mentre quegli uomini continuano a uccidere?”.
“Gli uomini uccidono su tutta la terra, Socrate. La natura uccide, con le tempeste, i terremoti, le malattie e le carestie. In questo momento, migliaia e migliaia di innocenti stanno morendo. Ne sei forse responsabile? Chi ti dà il potere di decidere chi deve vivere e chi deve morire? Chi sei tu per pretendere di conoscere il volere di Dio?”.
“Di quale Dio parlate, padre Serafim? Del Dio di misericordia e di giustizia che nella sua infinita saggezza mi ha tolto la mia famiglia? È questo il Dio che voi pregate?”.
Serafim sollevò le sopracciglia canute con aria perplessa ma felice. “Finalmente ti poni la domanda che ha gravato sulla tua anima per tutto questo tempo, Socrate! Vorrei avere una risposta, parole dolci per lenire il tuo cuore, ma Dio è un mistero per gli uomini, anche per me. Un uomo saggio, un ebreo di nome Hillel, disse: ʻCi sono tre misteri in questo mondo: l’aria è un mistero per gli uccelli, l’acqua è un mistero per i pesci e l’umanità è un mistero per gli uomini’.
“Per me, Dio è il mistero più grande, anche se ci è più intimo del battito del cuore, più vicino del nostro respiro. Ci circonda come l’aria, come l’acqua, ed è sempre presente. Ma la mente non può conoscere Dio, solo il cuore può farlo. È nel cuore che troverai la fede”.
“Ho smesso di credere in Dio molti anni fa”.
“Anche chi non crede è circondato da Dio. Come potrebbe essere diversamente?”. Lo guardò profondamente negli occhi. “Sprofonda in questo mistero, Socrate. Credi. Smetti di pensare di sapere che cosa deve essere e cosa non deve, e ritroverai la fede”.
Sergei scosse la testa. “Le vostre parole hanno il sapore della verità, ma non riesco ad afferrarne il significato profondo”.
“Una volta non riuscivi nemmeno ad afferrare la mia veste. Poi, con un po’ di pazienza, hai visto che cosa sei riuscito a fare?”.
“Con la pazienza e la pratica”.
“Sì, e forse è venuto per te il momento di praticare... in un altro modo”. Si interruppe, alla ricerca delle parole giuste. “La tua pratica ti ha fatto vedere i limiti della mente. L’intelletto è una meravigliosa scala per salire al cielo, ma si ferma alle porte del paradiso. Da quel punto in avanti, solo la saggezza del cuore può illuminare il cammino. L’antico filosofo che portava il tuo nome, Socrate, diceva ai giovani ateniesi che la saggezza inizia dalla meraviglia...”.
“Parole bellissime, padre Serafim. Ma in pratica, che cosa dovrei fare?”.
“Quello che dobbiamo fare tutti: mettere un piede davanti all’altro. Tu sei solo l’attore di una commedia che nessuno, salvo Dio, conosce. E a volte mi chiedo se anche Dio non ne ignora il senso!”, disse Serafim ridendo. “Possiamo recitare soltanto il ruolo che ci è stato assegnato, capisci? Tutte le persone che incontri nella vita, buone o cattive, ti sono mandate da Dio. Incontrale con un cuore in pace e uno spirito guerriero. Fallirai molte volte, ma fallendo imparerai, e imparando troverai la tua via. Nel frattempo, arrenditi a Dio e alla vita che ti viene data, momento per momento”.
“Ma come fare per conoscere il volere di Dio?”.
“La fede non si basa sulla conoscenza certa. Esige il coraggio di accettare che tutto ciò che accade, piacevole o doloroso, serve a uno scopo più alto”.
E con quelle parole ritornarono all’eremo.



– da “I viaggi di Socrate. La vera storia del Guerriero di Pace” di Dan Millman –





domenica 15 settembre 2019

Madre Meera: il potere del Divino lavora nel silenzio



L'intero scopo del mio lavoro è far scendere la Luce di Paramatman e aiutare le persone. Per questo sono venuta, per aprire i vostri cuori alla Luce.

Le persone sono troppo attive e raramente stanno sedute nella quiete. In silenzio si riceve di più perché tutte le attività si concentrano in un punto. Il mio insegnamento consiste nel dare solo l'essenza, il Divino, ciò che è necessario. Io do esattamente quello di cui ogni persona ha bisogno.

Paramatman è silenzio. Dio è silenzio. Tutto viene dal silenzio. Nel silenzio si realizza di più. La vera esperienza della beatitudine è senza parole. Io non parlo ma la mia forza cambia completamente le persone. Il potere del Divino lavora nel silenzio e cambierà le cose a seconda del tuo scopo e di cosa chiedi.

Japa è la ripetizione del nome di quello in cui crediamo. Japa è essenziale. Japa non è semplicemente delle parole – ogni nome divino è pieno di vibrazioni divine. Esse ci circondano e ci proteggono e penetrano i nostri corpi e il nostro intero essere interiore. Ricordare il nome divino dona pace e felicità immediate e ci fa volgere dal mondano al Divino.

- Madre Meera -



venerdì 19 gennaio 2018

Le nostre anime




T'incontro nella stessa galleria
dove ci siamo lasciati

T'incontro nella stessa galleria
dove ci siamo lasciati e persi di vista
come succede spesso nella vita
Mi ricordo che ti piaceva danzare
alla maniera classica
C'eravamo tanto amati
e non l'abbiamo capito
Forse eravamo troppo giovani
legati da storie di sesso
Non è strano che ci si trovi come un tempo
quando ci capivamo
guardandoci negli occhi

E' bello rivederti davvero
scendono inaspettatamente
lacrime
come pioggia
spontanee
d'allegria
Riprendiamo il sentiero
con lo stesso cammino
verso la stessa meta
nell'aria del mattino

Abbiamo attraversato una vita
piena di cambiamenti
Abbiamo imparato a contemplare
la natura e i desideri
Verso l'immaginazione
le visioni arriveranno
improvvise e impensabili

Riserviamo al cuore
una lode
Il sole tramonta
e nasconde il raggio
della sua conoscenza
Riprendiamo il sentiero
con lo stesso cammino
verso la stessa meta

Le nostre anime
cercano altri corpi
in altri mondi
dove non c'è dolore
ma solamente
pace
e amore
... Amore ...



mercoledì 22 novembre 2017

Il silenzio assoluto della mente (Sri Aurobindo e Satprem)



Quando ci si siede, con gli occhi chiusi – per fare il silenzio mentale – si è immediatamente invasi da un torrente di pensieri che sorgono da tutte le parti, in maniera confusa e aggressiva.

Non esiste un manuale con diversi metodi per venire a capo di questo baccano infernale; non c’è che da tentare e tentare ancora, pazientemente, ostinatamente. Soprattutto non c’è da commettere l’errore di lottare mentalmente contro la mente; bisogna spostare il centro.

Ciascuno di noi possiede al di là della mente o ancora più in profondità, un’aspirazione; quella stessa aspirazione che ci spinse verso il sentiero dello yoga. Un bisogno intimo dell’essere, come se fosse una parola d’ordine con virtù solamente per noi, per noi soli.

Aggrappandoci a questa aspirazione, il lavoro riuscirà più facile giacché passeremo da un’attitudine negativa ad un’attitudine positiva. Più ripeteremo la nostra parola d’ordine, più essa acquisterà potenza. Ma si può ricorrere anche ad un’immagine, come per esempio: quella di un mare immenso, senza una sola increspatura, sul quale ci abbandoniamo galleggiando fino a divenire parte di quella tranquilla immensità.

Ci si lascia andare, dolcemente, seguendo il moto ondoso fino a che, a poco a poco, si viene assorbiti da quella tranquilla pace. Avremo in tal modo non solo il silenzio, ma anche l’allargamento della coscienza.

Ognuno deve trovare il metodo che più gli si addice e quanto più completo sarà l’abbandono, più presto si riuscirà.

« Si può cominciare con qualsiasi sistema – che normalmente richiederebbe un lungo lavoro – ed essere afferrati fin dal principio da un rapido intervento o da una manifestazione del silenzio, e ottenere effetti assolutamente sproporzionati ai mezzi utilizzati. S’incomincia con un metodo, ma il lavoro è preso in mano da una grazia proveniente dall’alto, da ciò a cui si aspira o dall’irruzione delle immensità dello Spirito. In questo modo io stesso ho trovato il silenzio assoluto della mente, inimmaginabile per me prima di aver avuto l’esperienza concreta (Sri Aurobindo, On Himself, 1953 pag. 135). »

Abbiamo toccato qui un punto di singolare importanza, giacché saremmo indubbiamente tentati di pensare che queste esperienze yogiche sono veramente belle e interessanti, ma che in fondo sono ben lontane dalla nostra umanità ordinaria. Com’è possibile che noi – così come siamo – possiamo arrivare fin là? L’errore consiste nel fatto che si giudica con un “sé attuale” delle possibilità che appartengono ad un altro “se stesso”.

Infatti, per il solo fatto di essersi messi in cammino, lo yoga sveglia automaticamente una gamma di facoltà latenti e di forze invisibili che vanno molto al di là delle possibilità esteriori del nostro essere e che possono fare per noi quello che normalmente saremmo incapaci di compiere.

« È necessario chiarificare il passaggio tra mente esteriore ed essere interiore... perché la coscienza yogica e i suoi poteri sono già in voi (D. K. Roy, Sri Aurobindo Came to Me, 1952, pag.219) »

e il miglior sistema per “chiarificare” è quello di fare il silenzio mentale. Non sappiamo ancora chi siamo e nemmeno quello di cui siamo o non siamo capaci.

Ma gli esercizi di meditazione, a dire il vero, non sono la vera soluzione del problema – quantunque, al principio, la loro spinta sia necessaria per dare l’impulso – perché potremmo anche arrivare ad un relativo silenzio, ma... appena messo il piede fuori dalla nostra stanza o dal luogo di isolamento scelto per la meditazione, ricadremmo ancora una volta nella ressa abituale e continuerà l’eterna separazione del ‘di dentro’ dal ‘di fuori’, della ‘vita interiore’ dalla ‘vita mondana’.

Noi abbiamo bisogno di una vita completa, abbiamo bisogno di vivere la verità del nostro essere, tutti i giorni, in ogni momento, non solamente qualche volta oppure nella solitudine.

« Rischiamo di incrostarci nella nostra reclusione spirituale... e dopo, trovar difficile proiettarci al di fuori, vittoriosamente, per applicare alla vita quello che avremo conquistato nella Natura Superiore. Quando vorremo annettere questo regno dell’esterno alle nostre conquiste interne, ci troveremo troppo abituati ad un’attività puramente soggettiva e non potremo esercitare una pressione efficace sul piano materiale. Avremo gran difficoltà a trasformare la vita esteriore e il corpo. Oppure ci accorgeremo che la nostra azione non risponde alla luce che ci illumina interiormente, ma che obbedisce ancora ai vecchi imperfetti influssi; un abisso doloroso separerà ancora la Verità che è in noi, dal meccanismo ignorante della nostra natura esteriore... come se vivessimo in un altro mondo, più vasto e più sottile, ma senza presa divina, o può darsi senza presa di nessuna specie sull’esistenza materiale e terrestre (Sri Aurobindo, The Synthesis of Yoga, 1955 pag. 105). »

La sola possibile soluzione è quindi di praticare il silenzio mentale nell’ambiente e nel posto dove apparentemente sembra più difficile: in strada, in metropolitana, al lavoro e ovunque. Invece di passare quattro volte al giorno per il Boulevard Saint Michel come poveracci stanchi e obbligati a camminare svelti, si può passare le stesse quattro volte coscientemente, come ricercatori.

Invece di vivere in un modo qualsiasi, sperduto in una moltitudine di pensieri – non solamente privi di interesse, ma che esauriscono sfibrando l’essere – si possono riunire i fili sparsi della coscienza e lavorare, lavorare su se stessi ad ogni istante. Allora la vita comincerà a prendere interesse, un interesse assolutamente inaspettato, perché le minime circostanze diventeranno l’occasione di una vittoria su se stessi.

Avremo allora un orientamento, sapremo dove andare invece di camminare alla cieca. Lo yoga non è una maniera di fare, ma una maniera di essere.


- da "Sri Aurobindo. L’avventura della coscienza" di Satprem -


http://www.innernet.it/il-silenzio-mentale-secondo-aurobindo/


venerdì 17 novembre 2017

Le prove della vita - Paramahansa Yogananda



Attraverso le prove noi impariamo le lezioni della vita. Le prove non sono fatte per distruggerci: sono fatte per sviluppare il nostro potere. Esse fanno parte della naturale legge dell’evoluzione e sono necessarie per noi per avanzare da un livello più basso ad uno superiore. Tu sei molto più forte di tutte le tue prove. Se non lo capisci adesso, dovrai capirlo più tardi.

Dio ti ha dato il potere di controllare la tua mente e il tuo corpo e così liberarti dai dolori e dai dispiaceri. Non dire mai “sono finito”. Non inquinare la tua mente pensando che se cammini un po’ di più ti sforzerai troppo o che se non puoi avere un certo tipo di cibo soffrirai, e così via.

Non permettere mai alla tua mente di ospitare pensieri di malattia o di limitazione: vedrai che il tuo corpo cambierà in meglio.

Ricorda che la mente è il potere che governa questo corpo, quindi se la mente è debole anche il corpo diventa debole. Non intrististi o preoccuparti di nulla. Se rafforzi la tua mente non sentirai sofferenze fisiche. Non importa cosa succede, devi essere assolutamente libero nella tua mente.

Come in un sogno puoi pensare che stai male e svegliandoti di colpo vedi che non è vero, così nello stato di veglia devi sapere che la vita non è altro che un sogno.

La mente non ha alcun legame con il corpo se non quello che tu gli dai. Quando la mente potrà rimanere distaccata dal corpo a tuo piacimento, tu sarai libero. Ricorda che sei immortale. Per poter superare le prove della vita avrai bisogno di ringiovanire sia il corpo che la mente. Dovrai sviluppare l’elasticità mentale. Se non puoi fare fronte alle prove della vita, sarai indifeso quando i problemi e le tribolazioni arriveranno.

A volte la vita sembra un gioco crudele. La sola giustificazione per questo è che la realtà è solo un sogno. Hai avuto molte esperienze attraverso molte incarnazioni e ne avrai altre in futuro, ma non dovrebbero impaurirti. Devi recitare tutte le parti in questo film della vita, dicendo a te stesso “Io sono Spirito”.

Questa è la grande consolazione che la saggezza ci dà. Realizza la presenza dell’infinito. Guarda Dio, tuo Padre, il tuo Spirito, dietro le ombre. Nel profondo del tuo essere realizza questo, indipendentemente da ciò che i tuoi pensieri comandano.

Non lasciare sedere nessuno sul trono del tuo cuore se non Dio. Se ami la creazione di Dio più di Dio stesso, sarai deluso. Dio deve essere il primo e l’ultimo, sempre. Non seguire i dettami dei tuoi sogni terreni, perché qualche volta i sogni si trasformano in incubi. Distruggi queste illusioni risvegliandoti in Dio e sarai salvo per sempre.


(da "Inner Culture", aprile 1941)


https://www.pomodorozen.com/zen/le-prove-della-vita/



lunedì 10 aprile 2017

Il Cuore è la sede della Coscienza (Ramana Maharshi)


Hridayam - Il Cuore

di Ramana Maharshi


In breve, il pensiero ‘io’ è la radice di tutti i pensieri. La sorgente del pensiero ‘io’ è il cuore.

Il cuore non è l’organo della circolazione sanguigna. Hridayam significa ‘questo è il centro’. Perciò è un sinonimo del Sé.

Il cuore è situato nella parte destra del petto, non a sinistra. La luce della coscienza sale dal cuore attraverso il canale della sushumna fino al sahasrara.

Dal sahasrara la coscienza si effonde in tutto il corpo, e così corse l’esperienza del mondo. Considerandosi diversi dalla coscienza, gli esseri umani restano imprigionati nel ciclo delle nascite e delle morti.

L’intero universo è nel corpo, e l’intero corpo è nel cuore. Perciò l’universo è contenuto nel cuore.

Il cuore è per il corpo ciò che il sole è per il mondo.

Come il sole illumina la luna, il cuore illumina la mente.

Il mortale che è assente al suo cuore vede solo la mente, così come di notte, quando il sole è tramontato, si vede solo la luce della luna.

La mente del conoscitore che dimora nel cuore è fusa con la coscienza del cuore come la luce della luna nella luce del giorno.

Anche se il significato letterale della parola prajnana è intelligenza, mente, i saggi sanno che in realtà indica il cuore. Il Supremo è solo nel cuore.

La distinzione tra il vedente e il visto è solo nella mente. Per coloro che dimorano nel cuore, la percezione è unitaria.

Questa fusione è inconscia, e la persona non ne è consapevole. Se invece si entra consciamente nel cuore, è detta samadhi. Perciò si chiama diversamente.

Nel centro della caverna del cuore risplende il solo Brahman. E’ la sensazione del Sé sperimentato direttamente come ‘io-Io’. Entra nel cuore attraverso la ricerca del Sé, la fusione o il controllo del respiro, e prendi radici come Quello.

Nessuno nega che l’organo fisico sia a sinistra, ma il cuore di cui parlo è a destra. Questa è la mia esperienza, e non devo appoggiarmi a nessuna autorità. Potete trovarne conferma in un testo ayurvedico in lingua malayalam e nella Sita Upanishad.

Tu cerchi la vera coscienza. Dove la puoi trovare? Puoi forse trovarla al di fuori di te? Devi trovarla dentro di te. Perciò rivolgiti all’interno. Il cuore è la sede della coscienza, o la coscienza stessa.

Quando la stanza è buia devi avere una lampada per illuminarla, ma quando sorge il sole la lampada non serve più. Gli oggetti sono visti senza bisogno di lampade. Anche per vedere il sole non serve una lampada, perché è autorisplendente. La stessa cosa per la mente. La luce riflessa della mente è necessaria per percepire gli oggetti, ma per vedere il cuore è sufficiente che la mente si volga verso di esso. Allora la mente si perde nel cuore, e il cuore risplende.

Il cuore è il centro dell’esperienza spirituale, come testimoniano i saggi. Il centro spirituale del cuore non è l’organo fisico. Tutto ciò che si può dire è che esso è il nucleo del vostro essere, ciò a cui siete identici da svegli, nel sonno e nel sogno, sia che stiate lavorando o siate immersi nel samadhi.

Chi domanda sulla collocazione del cuore ammette la propria esistenza corporea. E’ solo da questo punto di vista che si può fare un riferimento a un corpo fisico. Ciò che indico è la posizione del cuore rispetto alla nostra vera identità.

Quando uno scolaro dice: “Il calcolo che ho fatto è giusto”, o si offre dicendo: “Vado io a prendere il libro”, indica forse la testa che ha eseguito il calcolo correttamente o le gambe che correranno a prendere il libro? No. In entrambi i casi il suo dito sarà spontaneamente puntato contro il lato destro del petto, esprimendo inconsapevolmente la profonda verità che la sorgente della sua identità è nel petto. E’ un’infallibile intuizione che gli fa indicare se stesso indicando il cuore.

Solo la verità su se stessi merita di essere esaminata minuziosamente e conosciuta. Concentrando su di essa la propria attenzione, va conosciuta appassionatamente nel cuore. La conoscenza di se stessi si rivelerà solo alla coscienza silenziosa, sgombra e libera dalle attività della mente inquieta e sofferente.
Riconosci la coscienza che splende ininterrottamente nel cuore come il Sé privo di forma, l’Io. La si conosce rimanendo in silenzio, senza classificare niente come esistente o non esistente.

Il satsanga fa sprofondare la mente nel cuore.

Se la concentrazione è fatta con il cervello, avrete sensazioni di calore e mal di testa. La concentrazione va fatta con il cuore, il quale è fresco e ristora.

Praticando la ricerca del Sé raggiungerai il cuore che è il Sé.

Vai direttamente alla sorgente, e non dipendere da espedienti presi a prestito. La sorgente è il cuore, il Sé.



Tratto da:
Sayings of Sri Ramana Maharshi



http://lacavernadelcuore.blogspot.it/2013/10/il-cuore.html



martedì 7 marzo 2017

Quando me ne sarò andato, soltanto l'Amore potrà prendere il mio posto



«Quando me ne sarò andato, soltanto l'amore potrà prendere il mio posto. Il mio corpo passerà, ma la mia opera andrà avanti e il mio spirito continuerà a vivere. Nella morte, come nella vita, vi amerò sempre, attraverso infiniti cicli di tempo, incondizionatamente, senza alcun desiderio se non la vostra felicità, per sempre, in Dio!»


Quando farò il voto del silenzio
per rimanere racchiuso col mio Amato
fra le braccia della Sua onnipresenza,
resterò intento ad ascoltare la Sua sinfonia
dei gioiosi canti del creato
e a contemplare meravigliose visioni nascoste.
Ma non scorderò tutti voi.
In silenzio vi osserverò
camminare su di me nell'erba fresca
e scoprire la mia viva presenza nelle foglie.
Vi guarderò con tenerezza materna
da ogni fiore vermiglio
che s'imporpora d'amore per darvi gioia.
Vi accarezzerò con la brezza sinuosa
per alleviare i vostri affanni e le vostre paure;
e vi avvolgerò nel calore del sole
quando il freddo della solitudine illusoria
si smarrirà nel vostro cuore.
Quando contemplerete l'oceano
guarderete me
fuso col mio Amato sull'altare dell'orizzonte,
sotto la volta di raggi d'argento
dell'azzurro, ondoso, vago santuario.
Non parlerò, se non con la vostra ragione,
non vi ammonirò,
se non con la vostra coscienza.
Vi convincerò solo col vostro amore
e col desiderio del vostro cuore
di cercare soltanto l'Amato.
Vi tenterò, ma con la sola tentazione
di assaporare unicamente l'amore dell'Amato.
Dimenticate me, se volete, ma non il mio Amato!
Ricordando Lui, non potrete dimenticare me.


Vengo a voi per dirvi di Lui
e della via per chiuderlo nel vostro cuore
e della disciplina che porta la Sua grazia.
Per mezzo della mia mente che in silenzio vi parla,
io comunico con voi che mi avete chiesto di guidarvi
alla presenza del mio Amato
o vi parlo con un dolce sguardo espressivo
o con amore vi dico parole sommesse
o, in modo chiaro, vi induco a non allontanarvi da Lui.
Ma quando non sarò più che un ricordo
o un'immagine mentale, o una voce silente,
quando nessun richiamo terreno potrà mai rivelare
la mia dimora nello spazio inesplorato,
quando né lievi implorazioni, né duri,
possenti comandi vi porteranno la mia risposta,
sorriderò nella vostra mente quando sarete nel giusto
e quando avrete torto piangerò coi miei occhi
osservandovi nell'oscurità,
e piangerò coi vostri occhi, forse;
e, sussurrando, parlerò nella vostra coscienza
e ragionerò con voi attraverso il vostro amore.
Quando non potrete più parlare con me,
leggete i miei 'Sussurri dall'Eternità';
attraverso di essi vi parlerò eternamente.
Sconosciuto camminerò al vostro fianco
e vi proteggerò con braccia invisibili.
E non appena conoscerete il mio Amato
e udrete la Sua voce nel silenzio
voi conoscerete anche me in un modo tangibile,
più di quanto mi abbiate conosciuto
su questo piano terrestre.
E, inoltre, quando non sarò più che un sogno per voi
verrò a ricordarvi che anche voi non siete altro
che un sogno del mio Celeste Amato,
e quando anche voi saprete di essere un sogno,
come lo so io ora,
saremo tutti per sempre desti in Lui.



- Paramahansa Yogananda -








sabato 18 febbraio 2017

Il messaggio di tutte le religioni: Dio è Amore

Un bellissimo video tratto dalla serie tv "Le avventure del giovane Indiana Jones", andata in onda in Italia nei primi anni '90.
Qui un Indiana Jones bambino incontra Jiddu Krishnamurti ancora adolescente, ma già saggio e spiritualmente elevato (all'epoca era stato scelto come futuro Maestro del mondo dalla Società Teosofica, da cui poi si distaccò).
Parlano della meditazione, dell'anima, della sofferenza, di Dio... e dell'unità di tutte le religioni, che hanno lo stesso insegnamento spirituale di fondo: Dio è Amore.
Jiddu accompagna il piccolo Indiana nei luoghi sacri delle varie religioni e gliele spiega, facendogli fare un viaggio non solo attraverso le varie tradizioni spirituali, ma anche dentro se stesso, e dandogli un grande insegnamento.






giovedì 2 febbraio 2017

"Alla ricerca di Dio. Dalla religione ai maestri contemporanei" di Paolo Franceschetti



Ogni religione del mondo e ogni maestro spirituale, ha sempre riconosciuto che non esiste una religione migliore delle altre, ma che tutte costituiscono delle strade diverse, per arrivare alla medesima meta.

Il libro è quindi concepito come una panoramica delle varie religioni dal punto di vista spirituale, ma allo stesso tempo come un cammino spirituale che ciascuno può effettuare per capire e meditare sui concetti di Dio, anima, reincarnazione, e sul perché esiste il male nel mondo. In secondo luogo questo libro nasce per far capire non tanto le differenze tra le varie religioni, ma l’unità di fondo di esse.

Il messaggio di fondo dei mistici di tutte le religioni e di tutte le forme di spiritualità, è sempre lo stesso: siamo fatti di spirito, non di materia, e per vivere felici occorre vivere in armonia con il divino, che è ovunque. La verità, se esiste, non può essere varia, ma una sola, e questa verità può essere solo intuita, mai spiegata completamente a parole.


“Alla Ricerca di Dio.
Dalla Religione ai Maestri Contemporanei”


di Paolo Franceschetti

edito da Risveglio Edizioni



Acquistabile in libreria e online:

http://www.risvegliocomune.com/product-page/alla-ricerca-di-dio

https://www.ibs.it/alla-ricerca-di-dio-dalla-libro-paolo-franceschetti/e/9788899009236


Disponibile anche in versione e-book:

https://play.google.com/store/books/details/Paolo_Franceschetti_Alla_Ricerca_di_Dio?id=7YGKDQAAQBAJ



giovedì 19 gennaio 2017

Noi siamo l'Esistenza (Ambra Guerrucci)



Il Samādhi è l'Illuminazione. Quando la vita che scorre nel praticante, ossia la Kuṇḍalinī, sale fino a raggiungere il Settimo Chakra, in quello stesso “luogo” ed istante avviene l'unione con Dio. Non si tratta di un'idea mentale e raggiungibile attraverso un condizionamento, un programma: è nell'assenza totale dei programmi che si può riconoscerla. Non è nemmeno possibile associarla ad un vero e proprio corpo Sottile, perché è un portale per l'esistenza intera nella sua purezza essenziale. Si trova all'apice della Super-coscienza, esattamente dove la spontaneità dell'energia suprema si unisce alla consapevolezza oceanica.
Spiegare a parole questo stato dell'essere è impossibile e non ci sono esercizi che provochino direttamente questo stato, si può solo lavorare sui meccanismi e meditare per preparare il terreno. Per questo motivo non ti proporremo esercizi su questo Chakra, non ce n'è affatto bisogno, in quanto non ha blocchi intrinsechi e dinamiche che li alimentano: sono quelli dei centri inferiori ad impedire all'energia di arrivare fin qui, poiché molto prima di arrivarvi viene deviata e incanalata nei “circuiti alternativi”, ossia i meccanismi. Le affermazioni, i convincimenti, l'autoipnosi, non aiutano affatto ai fini dell'illuminazione, piuttosto costituiscono ulteriori ostacoli e schemi da ripulire.
Tutti i giochi sono illusione, così come lo è l'esperienza della schiavitù, mentre la Realtà eterna siamo noi: la vita che fa le esperienze, ossia lo spazio di consapevolezza in cui tutto avviene.


Proiezione e Morte

Tutto questo non accade solo “fuori” di noi, ma poiché la distanza tra interno ed esterno è del tutto irreale, le stesse dinamiche avvengono interiormente. Le cose che percepiamo come esterne non sono che la materiale manifestazione del nostro inconscio e le nostre reazioni incarnano la proiezione del meccanismo che chiamiamo “io”, costituito dall'insieme delle identificazioni.
Forse anche tu credi di essere libero quando ti arrabbi perché non ti concedono le ferie, ma in realtà hai solo scelto la forma della tua schiavitù. Questa è la vera morte, rimanere fermi, intrappolati nell'identificazione con la spazzatura che abbiamo accumulato, fatta di etichette, classificazioni, giudizi, auto-giudizi e convinzioni. La morte fisica non è che un cambio di forma, ma viene percepito come una fine perché la filtriamo attraverso la morte che sperimentiamo tutti i giorni: il meccanico stato inconscio. Non sei cosciente qui e ora, ecco perché vedi la morte come uno stato di sonno, ma in realtà nell'ignoto immaginiamo sempre ciò che abbiamo adesso.
Ciò che sfugge alla comprensione intellettuale per la Mente è un vuoto, dove è lei stessa a proiettare paure, fantasie, desideri e stati che vive senza averne consapevolezza. Per questo motivo la morte sembra una cosa crudele, brutta, triste, ma tale immagine che ne abbiamo è data da ciò che esiste nel nostro inconscio in questo preciso momento. Lasciare il corpo significa cambiare forma, trasformarsi, ma ciò che perdiamo non era reale, concreto ed eterno. Nel momento in cui il corpo viene abbandonato è come cambiare abito: è solo la forma a mutare, ma l'essenza rimane la stessa. L'esistenza persiste e se ci si identifica con essa, con ciò che è eterno, non esiste più meccanismo, paura, morte e dolore; fino a quando invece investiremo tutte le nostre risorse energetiche e temporali su cose destinate a cambiare, sviluppando ad esse attaccamento, la sofferenza sarà la nostra ombra.


Siamo la Stessa Vita

Vivere tra luce ed ombra è difficile, ci porta a lottare sempre contro parti di noi, anche quando apparentemente ce l'abbiamo con qualcuno di esterno. Non esiste una reale separazione tra noi e le altre persone: siamo forme dello stesso oceano, fiumi dello stesso mare di vita che respiriamo in ogni attimo. Pensaci un attimo: adesso stai respirando lo stesso Prana che scorre nelle Nadi di ogni uomo, è una sola vita che entra nelle forme, le sostiene e nutre facendone esperienza, per poi trascenderle e tornare parte indistinta della vita pura e senza forma.
L'esperienza dell'onda avviene sempre nell'oceano, in quanto la forma divide solo in apparenza, soltanto perché in quel frangente la vita ci si identifica. Assapora questa frase, è così piena di significato da straripare di energia viva e vibrante! Respiriamo la stessa aria, lo stesso Prana sostiene tutte le forme ed al tempo stesso le unisce e trascende. I corpi fisici sono solo fenomeni immersi nell'eterno, ma la vita che li anima cade nella dimenticanza e fa esperienza della materia e della soggettività, fino al momento in cui non trascende queste illusioni.
Spesso sei troppo impegnato a compiere azioni per sentire chi le fa, ossia gustare intensamente e totalmente quell'essenza vitale che compie le esperienze, la pura esistenza che sta dentro ed oltre ogni forma. Molta gente dà più importanza al fare che all'essere, non si chiedono mai chi sono veramente e se ciò che loro chiamano “io” sia quello vero, reale, eterno, oppure una semplice maschera, un ruolo o un'etichetta impermanente. Invece è molto importante concedersi di essere e sentire intensamente questa pura esistenza, perché si tratta dell'unica realtà eterna e contiene in sé ogni cosa abbiamo sempre desiderato, ma che fino a ora abbiamo cercato nel mondo fenomenico e illusorio.
Sentiti in questo istante, non aspettare né rimandare, perché l'unica certezza è il presente: è l'unico “tempo” in cui è possibile vivere, mentre nel passato e nel futuro possiamo solo far esperienza della “non vita”. Adesso tu sei qui, stai leggendo queste parole, ma chi sei? Chi sta leggendo? Eri così impegnato nell'azione che ti sei totalmente dimenticato di esistere e questo avviene costantemente. Porta tutta la tua attenzione e sensibilità a chi guarda dai tuoi occhi, concedendoti di percepire l'essenza immobile, che in genere rimane nascosta dietro a tutte le etichette, le convinzioni e le azioni.
Quando si sente questa vita, la si osserva come testimoni, alla fine sarà naturale tornare con essa un tutt'uno e nel momento in cui la spontaneità si fonde al testimone, ecco che l'onda torna all'oceano: questa è l'illuminazione. Sentiti sempre più intensamente e non lasciare che le azioni ed i sensi ti attraggano di nuovo nel subconscio, con i suoi drammi e meccanismi. Svegliati ora. Sii vivo ora. Rimani immobile e lascia che ogni cosa crolli, trascendendo il peso del passato che ti impedisce di vivere pienamente. Rinasci al presente ed ogni cosa, per te, sarà una rinascita. Non trattenere o respingere il cambiamento, lasciati andare e godi questo fluire: ti condurrà a perdere ogni limite, fino a raggiungere l'eterno.


Realizzazione della Verità

Quando la vita raggiunge il Settimo Chakra si comprende in modo chiaro e semplice che cosa sono l'uomo e l'Universo. Si tratta di un tipo di comprensione realizzante, un'intuizione che si accende e non si spegne mai più: non viene persa di vista, piuttosto la sentiamo sempre e intensamente, al punto che ogni gesto, parola e azione, da essa scaturisce. Non è per niente simile ad una nozione mentale, che ricordi solo se ci pensi: è qualcosa di sempre presente ed al tempo stesso è impossibile darlo per scontato.
Nella sua immensità riusciamo ad aver sempre presente questa realizzazione, perché è come arrivare sulla cima di una montagna e stabilirvisi, ossia raggiungere un punto di vista così vasto che include quelli soggettivi in un'organicità perfetta; di conseguenza tutto acquista un senso molto profondo. Ogni altro punto di vista qui si sublima, integrandosi nell'essenza della realtà, che viene prima e dopo di ogni cosa. A questo punto la dualità è totalmente annullata, nel senso che comprendiamo che effettivamente non esiste un “fuori” e un “dentro”: noi siamo l'esistenza.
Per noi non ci sono più inferni e paradisi, cose giuste o sbagliate, luci ed ombre, ogni cosa ha così tante sfumature da non essere classificabile, perché si tratta di un pezzo di un intero ed è impossibile comprenderlo pienamente al di fuori della visione globale. Se ne possono vedere solo alcuni aspetti alla volta, dalla prospettiva razionale, perché, per analizzare, la Mente Schematica ha bisogno di dividere, sezionare; così avviene la frammentazione. Con la realizzazione diventa chiaro che tutto questo è un gioco della Mente, che ci fa credere esista un “dentro e un fuori da noi”, mentre in realtà sono la stessa cosa ed è per questo che ciò che è “dentro” di noi si materializza anche “fuori”. In realtà non sono la stessa cosa che si ripete, non sono distinte, ma la stessa esatta cosa che possiamo vedere da punti di vista differenti.
Il nostro apparato sottile e l'Universo non sono affatto distinti. La pura esistenza è la vita, Kuṇḍalinī, che si muove polarizzata tra Primo e Settimo Chakra. Il Primo centro è la dimensione materiale, la più bassa dell'inconscio, istintiva e calamitante verso il basso. Questo è l'apice dell'illusione, che cattura la spontaneità nei meccanismi della soggettività, addormentandola nel turbine delle illusioni. È oscuro, nascosto, non illuminato dalla luce della coscienza, ma è soltanto un'illusione: quando lo illuminiamo di coscienza scompare. Il Settimo centro energetico è invece la parte più alta, pura ed elevata, che calamita l'energia verso l'alto portandoci all'evoluzione.



- da “La via della saggezza indiana” di Ambra Guerrucci -










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