sabato 28 maggio 2011

Le ferite del passato sono pronte ad essere guarite

I Tarocchi Zen di Osho
27. Guarigione


Ti porti dietro la tua ferita. Se è presente l'ego, tutto il tuo essere è una ferita. E tu te la porti dietro. Nessuno è interessato a ferirti, nessuno vuole intenzionalmente ferirti. Tutti sono impegnati a salvaguardare la propria ferita, chi ha energia ulteriore? Eppure accade, poiché tu sei così pronto a essere ferito, così ben disposto, sei semplicemente in attesa, ti aspetti qualsiasi cosa.

Non puoi toccare un uomo del Tao. Come mai? Poiché non c'è nessuno da toccare, non c'è alcuna ferita; egli è sano, guarito, integro. Il termine "whole" ("integro", in inglese n.d.t.) è bellissimo. La parola "heal" ("guarire', in inglese n.d.t.) deriva da "whole", come pure "holy" ("santo"): quell'uomo è integro, guarito, santo.

Stai attento alla tua ferita. Non aiutarla a crescere, lasciala guarire; e guarirà solo allorché ti avvicinerai alle radici. Meno testa e maggior guarigione: senza mente non c'è alcuna ferita. Vivi una vita spensierata. Agisci come un essere globale e accetta ogni cosa.

Provaci soltanto per ventiquattr'ore: totale accettazione di qualsiasi cosa accada. Qualcuno t'insulta, non reagire, accettalo e guarda cosa accade. All'improvviso sentirai fluire in te un'energia che non hai mai percepito in passato.

Osho The Empty Boat Chapter 10


Commento:

È un tempo in cui le ferite del passato, profondamente occultate, tornano a riaffiorare, pronte e disponibili a essere guarite.

La figura di questa carta è nuda, vulnerabile, aperta al tocco amorevole dell'esistenza. L'aura intorno al suo corpo è colma di luce, e le qualità di rilassamento, attenzione e amore che la circondano dissolvono la sua lotta e la sua sofferenza. Fiori di loto luminosi appaiono sul suo corpo fisico, e intorno ai corpi energetici sottili che i guaritori dicono circondare ognuno di noi. In ognuno di questi strati sottili prende forma un cristallo o uno schema di guarigione.

Quando ci troviamo sotto l'influenza guaritrice del Re d'Acqua, non ci nascondiamo più agli altri. In questa attitudine d'apertura e d'accettazione possiamo essere guariti, e al tempo stesso aiutare anche gli altri ad essere sani e integri.


lunedì 16 maggio 2011

La rosa di Paracelso



di Jorge Luis Borges


Nel suo laboratorio, che comprendeva le due stanze dello scantinato, Paracelso chiese al suo Dio, al suo indeterminato Dio, a qualunque Dio, di inviargli un discepolo.
Imbruniva. Il magro fuoco del camino proiettava ombre irregolari. Alzarsi per accendere la lanterna di ferro avrebbe richiesto uno sforzo eccessivo. Paracelso, distratto dalla fatica, dimenticò la sua preghiera. La notte aveva cancellato l’athanor e i polverosi alambicchi quando bussarono alla porta. Insonnolito, l’uomo si alzò, salì faticosamente la breve scala a chiocciola e socchiuse un battente. Uno sconosciuto entrò. Anch’egli era molto stanco. Paracelso gli indicò una panca; l’altro sedette e attese. Per un certo tempo non scambiarono tra loro nemmeno una parola.
Il maestro fu il primo a parlare. “Ricordo volti d’Occidente e volti d’Oriente”, disse, non senza una certa enfasi. “Non ricordo il tuo. Chi sei tu e che vuoi da me?”
“Il mio nome non ha importanza”, replicò l’altro. “Ho camminato per tre giorni e tre notti per entrare in casa tua. Voglio diventare tuo discepolo. Ti ho portato tutti i miei beni.”
Tirò fuori una borsa e la rovesciò sulla tavola. Le monete erano molte, e d’oro. Lo fece con la mano destra.
Paracelso, per accendere la lanterna, aveva dovuto voltargli le spalle. Quando tornò, notò nella sua mano sinistra una rosa. La rosa lo inquietò.
Si chinò, giunse le estremità delle dita, e disse: “Tu mi credi capace di elaborare la pietra che trasmuta gli elementi in oro e mi offri oro. Non è l’oro ciò che cerco, e se è l’oro che ti interessa, tu non sarai mai mio discepolo.”
“L’oro non mi interessa”, rispose l’altro. “Queste monete non sono altro che una prova del mio desiderio di apprendere. Voglio che tu mi insegni l’Arte. Voglio percorrere al tuo fianco la via che conduce alla Pietra.”
Paracelso disse lentamente: “La via è la Pietra. Il punto di partenza è la Pietra. Se non comprendi queste parole, non hai ancora cominciato a comprendere. Ogni passo che farai è la meta.”
L’altro lo guardò con aria diffidente. Disse, con voce chiara: “Ma, esiste una meta?”
Paracelso si mise a ridere. “I miei detrattori, che non sono meno numerosi che stupidi, sostengono il contrario, e mi accusano di essere un impostore. Non do loro ragione, ma non è possibile che io sia un illuso. So che esiste una via.”
Vi fu una pausa, e l’altro disse: “Sono pronto a percorrerla con te, anche se dovessimo viaggiare per molti anni. Lasciami attraversare il deserto. Lasciami intravedere almeno da lontano la terra promessa, anche se gli astri me ne vieteranno l’accesso. Ma prima di intraprendere il viaggio, io voglio una prova.”
“Quando?” disse Paracelso, con inquietudine.
“Subito”, rispose il discepolo con brusca determinazione.
Avevano iniziato la conversazione in latino, ora parlavano in tedesco.
Il giovane levò in alto la rosa. “Affermano”, disse, “che tu puoi bruciare una rosa e farla rinascere dalle ceneri, per opera della tua arte. Lascia che io sia testimone di questo prodigio. Ecco ciò che ti chiedo; poi la mia vita sarà tua.”
“Sei molto credulo”, disse il maestro. “Non so che farmene della credulità; esigo la fede.”
L’altro insistette. “È proprio perché non sono credulo che voglio vedere coi miei occhi l’annientamento e la resurrezione della rosa.”
Paracelso l’aveva presa in mano, e parlando giocherellava con essa. “Sei credulo”, disse. “Tu dici che io sono capace di distruggerla?”
“Nessuno è incapace di distruggerla”, rispose il discepolo.
“Ti sbagli. Credi forse che qualcosa possa esser reso al nulla? Credi che il primo Adamo nel Paradiso abbia potuto distruggere un solo fiore, un solo filo d’erba?”
“Non siamo nel Paradiso”, disse ostinato il giovane; “qui, sotto la luna, tutto è mortale.”
Paracelso si era alzato in piedi. “E in quale altro luogo siamo? Credi che la divinità possa creare un luogo che non sia il Paradiso? Credi che la caduta sia altro dall’ignorare che siamo nel Paradiso?”
“Una rosa può bruciare”, disse il discepolo in tono di sfida.
“V’è ancora del fuoco nel camino”, rispose Paracelso. “Se tu gettassi questa rosa fra le braci, crederesti che le fiamme l’abbiano consumata, e che sia la cenere a essere reale. Io ti dico che la rosa è eterna e che solo la sua apparenza può cambiare. Mi basterebbe una parola perché tu la potessi vedere di nuovo.”
“Una parola?” disse stupefatto il discepolo. “L’athanor è spento, gli alambicchi sono coperti di polvere. Che farai per farla rinascere?”
Paracelso lo guardò con tristezza. “L’athanor è spento”, ripeté, “e gli alambicchi sono coperti di polvere. In questo tratto della mia lunga giornata uso altri strumenti.”
“Non oso domandare quali”, disse l’altro con malizia o con umiltà.
“Parlo di quello che usò la divinità per creare il cielo e la terra e l’invisibile Paradiso in cui ci troviamo e che ci è nascosto dal peccato originale. Parlo della Parola che insegna la scienza della Cabala.”
Il discepolo disse freddamente: “Ti chiedo la grazia di mostrarmi la scomparsa e la ricomparsa della rosa. Poco m’importa che tu operi per mezzo del Verbo o degli alambicchi.”
Paracelso rifletté. Infine disse: “Se lo facessi, tu diresti che si tratta di un’apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Dunque lascia stare la rosa.”
Sempre diffidente, il discepolo lo guardò. Il maestro alzò la voce e gli disse: “E inoltre, chi sei tu per introdurti nella dimora di un maestro ed esigere da lui un prodigio? Che hai fatto per meritare simile dono?”
L’altro replicò, tremando: “So bene che non ho fatto nulla. Ti chiedo, in nome dei molti anni in cui studierò alla tua ombra, di lasciarmi vedere la cenere e poi la rosa. Non ti chiederò altro. Crederò alla testimonianza dei miei occhi.”
Bruscamente, afferrò la rosa rossa che Paracelso aveva lasciato sul leggìo e la gettò tra le fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po’ di cenere. Per un istante infinito egli attese le parole e il miracolo.
Paracelso era rimasto impassibile. Disse con strana semplicità: “Tutti i medici e tutti gli speziali di Basilea affermano che io sono un mistificatore. Forse essi sono nel vero. Qui riposa la cenere che fu rosa e che non lo sarà.”
Il giovane si sentì pieno di vergogna. Paracelso era un ciarlatano o un semplice visionario, e lui, un intruso, aveva varcato la sua porta e ora lo costringeva a confessare che le sue famose arti magiche erano vane.
Si inginocchiò, e disse: “Ho agito imperdonabilmente. Mi è mancata la fede che il Signore esigeva dai credenti. Lasciami ancora guardare la cenere. Tornerò quando sarò più forte e sarò tuo discepolo e in fondo al cammino vedrò la rosa.”
Parlava con passione autentica, ma quella passione era la pietà che gli ispirava il vecchio maestro, tanto venerato, tanto attaccato, tanto insigne e perciò tanto vuoto.
Chi era lui, Johannes Grisebach, per scoprire con mano sacrilega che dietro la maschera non c’era nessuno?
Lasciare le monete d’oro sarebbe stata un’elemosina. Le riprese uscendo.
Paracelso l’accompagnò ai piedi della scala e gli disse che sarebbe sempre stato il benvenuto.
Entrambi sapevano che non si sarebbero rivisti mai più.
Paracelso rimase solo. Prima di spegnere la lanterna e di sedersi nella poltrona consumata, raccolse nell’incavo della mano il piccolo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce. La rosa risorse.


domenica 1 maggio 2011

L'uomo è libertà - Osho



I filosofi hanno sempre creduto che l’essenza preceda l’esistenza, che un uomo sia già determinato all’atto della nascita. Egli contiene l’intero programma di ciò che sarà, come un seme: adesso bisogna solo portarlo alla luce. Non esiste libertà. Questa è stata la posizione di tutti i filosofi del passato: l’uomo ha un fato, un destino. Diventerà un’entità prefissata, perché tutto è già stato scritto. Il fatto che tu non ne sia consapevole è un’altra questione: qualunque cosa tu stia facendo non la stai facendo tu; viene fatta attraverso di te da forze naturali e inconsce, oppure da Dio.

Questa è la posizione dei deterministi, dei fatalisti. A causa di questa posizione l’intera umanità ha sofferto tantissimo, perché ciò implica l’impossibilità di qualsiasi cambiamento radicale. Rispetto alla trasformazione dell’uomo non si può fare alcunché: tutto accadrà come dovrà accadere. L’Oriente ha sofferto moltissimo a causa di questo atteggiamento. Se non è possibile fare nulla, si comincia ad accettare tutto: schiavitù, povertà, brutture... bisogna accettarle.

Questa non è né comprensione né consapevolezza, non è ciò che il Buddha definisce la realtà, lo stato di fatto delle cose, tathata; è semplice disperazione che si nasconde dietro belle parole, ma le conseguenze di tutto ciò sono disastrose. Le puoi vedere nella forma più acuta in India: la povertà, i mendicanti, le malattie, gli storpi, i ciechi... e nessuno se ne accorge, perché la vita è sempre stata, è e sarà sempre così. Un senso di letargia è filtrato fin dentro l’anima.

Questo intero approccio è fondamentalmente sbagliato. È una consolazione, non una scoperta che deriva dall’aver guardato dentro la realtà. Serve a coprire in qualche modo le ferite: è una razionalizzazione. E ogni volta che le razionalizzazioni cominciano a nascondere la tua realtà, sei condannato a scendere in oscurità sempre maggiori.

Io vorrei dirti che l’essenza non precede l’esistenza; al contrario, l’esistenza precede l’essenza. L’uomo è l’unico essere sulla Terra a possedere la libertà. Un cane nasce, vive e muore come un cane: non ha libertà. Una rosa resterà una rosa, non è possibile alcuna trasformazione, non può diventare un fiore di loto. Ogni possibilità di scelta è fuori discussione, non c’è libertà. È qui che l’uomo è completamente diverso; queste sono la sua dignità, la sua specificità e la sua unicità nell’esistenza.

Ecco perché sostengo che Charles Darwin ha torto, perché parte classificando l’uomo insieme agli altri animali, non ha neppure preso in considerazione questa differenza fondamentale. La differenza fondamentale è che tutti gli animali nascono con un programma, a eccezione dell’uomo. L’uomo nasce come una tabula rasa, una lavagna vuota; su di essa non c’è scritto nulla. Tu devi scriverci tutto ciò che desideri: sarà la tua creazione.

L’uomo non è soltanto libero, vorrei affermare che l’uomo è libertà. Questo è il suo nucleo fondamentale, la sua stessa anima. Non appena neghi la libertà all’uomo, hai negato il suo tesoro più prezioso, il suo stesso regno. A quel punto egli è un mendicante, ma in una situazione molto peggiore degli altri animali, perché almeno essi possiedono un programma specifico. L’uomo è semplicemente perduto.

Una volta compreso questo – che l’uomo nasce in quanto libertà – tutte le dimensioni sono disponibili, si può crescere in tutte le dimensioni. A quel punto dipende da te cosa diventare e cosa no: sarà la tua creazione. La vita diventa un’avventura; non il venire alla luce di un seme, ma un’avventura, un’esplorazione, una scoperta. La verità non ti è già data: devi crearla. Da un certo punto di vista, in ogni istante ti stai creando.

Anche accettare la teoria del fato è una decisione sulla tua vita. Accettando il fatalismo hai scelto la vita di uno schiavo: è una tua scelta! Hai scelto di entrare in una prigione e di essere incatenato, ma si tratta sempre di una tua scelta. Puoi uscire dalla prigione.

Naturalmente la gente ha paura di essere libera, perché la libertà è rischiosa. Non si sa mai cosa si sta facendo, dove si sta andando e quale sarà il risultato finale. Se non sei un essere prefabbricato, la responsabilità ricade interamente su di te; non puoi scaricarla sulle spalle di qualcun altro. Alla fin fine, sarai di fronte all’esistenza completamente responsabile di te stesso. Qualunque cosa tu sia, chiunque tu sia, non puoi evitarlo, non puoi tirarti indietro: questa è la paura. A causa di questa paura la gente ha assunto ogni sorta di posizione determinista.

Ed è strano: tanto le persone religiose quanto quelle non religiose sono d’accordo su un solo punto, cioè che non esiste libertà. Su qualsiasi altro argomento sono in disaccordo, ma la loro intesa su un punto è sospetta. I comunisti dicono di essere atei e antireligiosi, ma sostengono che l’uomo è determinato dalla situazione sociale, economica e politica. Egli non è libero, la sua consapevolezza è determinata da forze esterne. È la stessa logica! Puoi chiamare quella forza esterna “la struttura economica”. Hegel la definisce “Storia” – con la “S” maiuscola, nota bene – mentre le persone di religione la chiamano “Dio”, di nuovo una parola con una maiuscola. Dio, la Storia, l’Economia, la Politica, la Società... tutte forze esterne, ma tutti concordano su un punto: non sei libero. Io ti dico: tu sei assolutamente e incondizionatamente libero. Non evitare la responsabilità, non sarebbe d’aiuto. Prima l’accetti e meglio è, perché puoi cominciare a creare immediatamente te stesso. E nell’istante in cui crei te stesso nasce una grande gioia, e quando ti sei completato nel modo in cui tu volevi, l’appagamento è immenso. È proprio come quando un pittore dà l’ultimo tocco a un quadro: nel suo cuore sorge una profonda soddisfazione. Un lavoro ben fatto porta una grande pace. Si ha la sensazione di aver partecipato al Tutto.

L’unica preghiera è essere creativi, perché solo tramite la creatività partecipi al Tutto; non esiste altro modo. Non bisogna pensare a Dio, devi partecipare in qualche modo. Non puoi essere un osservatore, ma solo un partecipante; solo allora ne assaporerai il mistero. Creare un quadro, una poesia o una musica non è nulla in confronto alla creazione di te stesso, della tua consapevolezza, del tuo essere.

Ma la gente ha paura, e ci sono dei motivi. Innanzitutto, si tratta di qualcosa di rischioso, perché solo tu sei responsabile. Secondo, è possibile fare cattivo uso della libertà, perché puoi scegliere la cosa sbagliata. “Libertà” vuol dire che puoi scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; se sei libero di scegliere solo ciò che è giusto, non è libertà. Sarebbe come quando Ford creò le sue prime macchine: erano tutte nere. E lui portava i clienti nella sala vendite e diceva: “Potete scegliere qualsiasi colore, basta che sia nero!”.

Che razza di libertà è questa? “Basta che sia giusto”, “Basta che segua i Dieci Comandamenti”, “Basta che segua la Gita, il Corano, il Buddha, Mahavira, Zarathustra”: non sarebbe affatto libertà! “Libertà” vuol dire intrinsecamente, fondamentalmente, che sei libero di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

E il pericolo è che la via sbagliata è sempre più facile: da qui la paura. La via sbagliata è una strada in discesa, quella giusta è una strada in salita. Andare in salita è difficile, faticoso, e più arrivi in alto più diventa arduo. Ma andare in discesa è facilissimo. Non devi fare nulla, la gravità provvede a tutto. Puoi semplicemente rotolare come una roccia dalla cima della collina e arrivare fino al fondo: non c’è nulla che tu debba fare. Ma se vuoi innalzare la tua consapevolezza, se vuoi salire al mondo della bellezza, della verità, della beatitudine, stai aspirando alle vette più elevate che esistano, e questo è veramente difficile.

Secondo: più arrivi in alto maggiore è il pericolo di cadere, perché il sentiero si fa stretto e sei circondato da oscure valli. Basta un passo falso e cadrai, svanirai nell’abisso. È più comodo e sicuro camminare in pianura, senza pensare alle vette.

La libertà ti dona l’opportunità di cadere al di sotto degli animali o di innalzarti al di sopra degli angeli. La libertà è una scala: un’estremità raggiunge l’inferno, l’altra tocca il paradiso. È la stessa scala; la scelta è tua, la direzione è stata voluta da te.

E per me, se non sei libero, non puoi fare un cattivo uso della tua mancanza di libertà, è impossibile. Il prigioniero non può fare un cattivo uso della propria situazione: è in catene, non è libero di fare alcunché. E questa è la situazione di tutti gli altri animali, a eccezione dell’uomo: non sono liberi. Nascono per essere un certo tipo di animali e realizzeranno quel destino. In realtà è la natura stessa a realizzarlo, essi non devono fare nulla. La loro vita è priva di sfide. Solo l’uomo deve affrontare la sfida, la grande sfida. E pochissime persone hanno scelto di rischiare, di andare verso le vette, di scoprire le proprie cime estreme. Sono ben pochi: il Buddha, Cristo... è possibile contarli sulle dita delle mani.

Perché l’intera umanità non ha scelto di raggiungere lo stesso stato di beatitudine del Buddha, di amore di Cristo, di celebrazione di Krishna? Come mai? Per il semplice motivo che è pericoloso persino aspirare a quelle altezze. È meglio non pensarci, e il modo migliore per farlo è accettare il fatto che la libertà non esiste: sei già predeterminato. Prima della tua nascita ti è stato dato un certo copione, ora devi solo recitarlo.

È possibile fare un cattivo uso solo della libertà, non della schiavitù. Ecco perché al giorno d’oggi scorgi tanto caos nel mondo. Prima non era mai successo, per la semplice ragione che l’uomo non era altrettanto libero. Vedi più caos in America per la semplice ragione che là si gode della più grande libertà che sia mai esistita al mondo, in qualsiasi tempo e luogo. Ogni volta che c’è libertà, esplode il caos. Ma quel caos è prezioso, perché solo da esso nascono le stelle.

Io non ti sto dando alcuna disciplina, perché ogni disciplina è una sottile forma di schiavitù. Non ti sto dando alcun comandamento, perché qualsiasi comandamento proveniente da una persona esterna ti imprigionerà e ti renderà schiavo. Ti sto solo insegnando a essere libero e poi ti lascio a te stesso: puoi fare quello che vuoi con la tua libertà. Se vuoi cadere al di sotto degli animali, è una tua scelta e sei perfettamente libero di farlo, perché è la tua vita. Se decidi in tal modo, è una tua prerogativa. Ma se comprendi la libertà e il suo valore, non comincerai a cadere; non scenderai al di sotto degli animali, bensì ti innalzerai al di sopra degli angeli.

L’uomo non è un’entità, ma un ponte tra due entità: l’animale e il divino, l’inconscio e il conscio. Cresci in consapevolezza e cresci in libertà. Fa’ di ogni passo una tua scelta. Crea te stesso e assumitene l’intera responsabilità.


– da “Con te e senza di te” di Osho


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