martedì 26 giugno 2012

Ashtavakra Gita



Capitolo I ~ Ricerca della Realizzazione del Sé

  1. Raja Janaka disse:
    Maestro, come può essere raggiunta la Conoscenza, acquisito il distacco e ottenuta la liberazione?

  2. Ashtavakra rispose:
    Se tu desideri ottenere la liberazione, abbandona le passioni come fossero veleno.
    Cerca il perdono, la semplicità, la compassione, la soddisfazione e la verità come fossero un nettare.

  3. Tu non sei né la terra, né l’acqua, né il fuoco, né l’aria o lo spazio.
    Per liberarti, sappi essere il testimone di tutti questi elementi come Sé Consapevole.

  4. Se tu distacchi te stesso dal corpo e ti abbandoni allo stato di pura consapevolezza, tu diverrai contento, pacifico e libero da ogni legame immediatamente.

  5. La tua anima non appartiene ai Brahmani e a nessun altra casta, non si classifica per età o secondo una qualche idea derivata dai sensi.
    La tua anima dimora nella felicità, quando è senza attaccamenti, non presenta alcuna forma apparente ed è testimone di tutto.

  6. Rettitudine e disonestà, piacere e dolore sono connessi con la mente e non con il tuo Sé interiore.
    Tu non sei colui che agisce e nemmeno colui che gode dei frutti delle azioni.
    Tu sei sempre libero.

  7. Se sei il testimone di tutto allora sarai completamente libero; la schiavitù è essere qualcosa diverso dal testimone.

  8. Credere che “Io sono colui che fa” è come il morso di un velenoso serpente.
    Realizzare invece che “Io non faccio niente” è il delizioso nettare della felicità.

  9. La sola comprensione di essere solo Pura Consapevolezza brucia la foresta dell’ignoranza.
    Sii oltre le illusioni e sarai felice.

  10. Senti l’estasi, la suprema beatitudine nel momento in cui realizzi questo mondo essere irreale proprio come quando scopri che quello che credevi un serpente è in realtà una semplice corda; sappi questo e sii felice.

  11. Se tu pensi di essere libero, allora sei libero. Se tu pensi di essere vincolato, allora sei vincolato. E’ giustamente detto: tu diventi quello che pensi.

  12. Il Sé è il solitario testimone, onnipervadente e perfetto; è calmo perché è libero da pensieri, da attaccamenti, da attività e da desideri: è solo il pensiero a farci credere che sia come un qualsiasi oggetto del mondo.

  13. Medita sul Sé che è immutabile, consapevole e non-duale.
    Liberati dall’illusione che ci sia separazione fra ciò che dentro e fuori di te.

  14. Mio caro, a lungo ti sei identificato con il tuo Ego.
    Fa che il tuo Sé neutralizzi questa falsa identificazione con la spada della Pura Conoscenza.
    Così sarai felice.

  15. Tu sei ora e per sempre libero, luminoso, trasparente, fermo.
    Il tuo unico impedimento è che stai ancora cercando di placare la tua mente.

  16. Questo mondo viene da te ed in te si insinua.
    In realtà, tu sei una consapevolezza superiore: non confinarla in un pensiero limitato.

  17. Tu sei incondizionato, immutabile, senza forma.
    Tu sei solido, imperscrutabile, imperturbabile.
    Fa sì che il tuo intelletto non sia turbato da desideri inadeguati che ti arrivano dal mondo.

  18. Se riconosci che l’apparente è non reale e l’immanifesto è perpetuo, eviterai di ricadere nell’illusione di nuovo.

  19. Così come un’immagine esiste sia fuori che dentro di uno specchio, così Dio si trova dentro e fuori il corpo.

  20. Così come lo stesso spazio esiste fuori e dentro una tazza, allo stesso modo l’eterno e onnipresente Brahma esiste fuori e dentro tutti gli elementi naturali.



Il testo completo dell'Ashtavakra Gita:

http://www.sahajayogabenessere.com/ashtavakra-gita/



venerdì 15 giugno 2012

Il sufismo è il miglioramento di se stessi



Giungiamo ora a quella che è una delle accuse più comuni rivolte al sufismo: l’uso che fanno i sufi di una fraseologia simbolica ed oscura, l’uso di un linguaggio ermetico, del genere di quelli che certe moderne società segrete usano... a volte per nascondere il vuoto o la nullità dei loro concetti.

I sufi infatti manipolano a loro grado il linguaggio, le comunicazioni, il materiale didattico. Ciò ha molta importanza, ed è dovuto a più di un fattore.

Shams adDîn Muhammad alLâhijî († 1506), fondatore dell’Ordine Lahjâniy/ya, disse: «Noi non viviamo a Est o a Ovest; non studiamo a Nord o insegnamo a Sud. Non siamo così limitati, tuttavia possiamo talvolta essere costretti a parlare entro questi limiti». I sufi considerano che il linguaggio è una limitazione, ma una limitazione necessaria; ed essa è “limitata” in rapporto ai limiti di chi ascolta.

Con questa sua riflessione Jalal adDîn Rûmî (1207 - 1273) indicò verità ben più profonde di quanto non lasci intendere a prima vista: «Le parole in se stesse non sono importanti. Eppure se trattate bene un visitatore e lo gratificate con parole amabili, eccolo felice; ed un altro che riceverete con parole ingiuriose ne rimarrà ferito. Qualche parola può significare realmente felicità o tristezza? Sono solo fattori secondari, non effettività reali. Colpiscono solo i deboli».

Vediamo così che già nel XIII secolo i sufi parlavano dell’efficacia psicologica del linguaggio. E infatti il valore delle parole – l’abbiamo visto con la novelletta dei quadrupedi – è tale che una larga branchia della psicoanalisi si è volta in Germania allo studio diretto della semantica e indaga “l’apprendimento errato dei significati verbali” come “frattura esistenziale tra il conoscimento del significato esatto e quello sbagliato”.

Rûmî in altro luogo dimostra che l’umanità usualmente non è in grado di intendere il giusto significato delle “cose comunicate” (che non si limitano alle sole parole) perché non compenetra il significato finale: «Due mendicanti giunsero a una porta. Ad uno venne dato un grosso pane, e quegli se ne andò soddisfatto. L’altro venne fatto attendere non poco; e se ne dispiaceva, non sapendo che – essendo preferito al primo – stavano aspettando che il nuovo pane finisse di cuocere, per dargliene uno fresco anziché uno raffermo».

Sul tema del significato finale vi è poi nel Corano la vicenda dell’angelo del Signore e di Mosè che lo riconobbe (XVIII 65-82); per cui il musulmano è già edotto sul significato di “non giudicate dalle apparenze, né le azioni che siano tolte dal loro contesto generale”, e dovrebbe collocare ogni azione nel suo contesto, o attendere il compimento dell’azione, o aspettare che ne nasca la dimostrazione del suo scopo finale. Tanto più una persona si avvia verso la Realizzazione del Sé, tanto più capisce il significato di questo “astenersi dal giudicare ciò che è parziale”; ma tutti gli altri emettono spesso giudizi aprioristici e quasi sempre a sproposito.

Per il sufi si rende così necessario anzitutto decodificare l’usuale simbologia dei vocaboli, per fare acquisir loro una serie di significati superiori, in mancanza di vocaboli nuovi. Il conio continuo di termini nuovi può condurre alla confusione, però i significati usuali sono troppo limitati.

Anche il materiale disponibile nella vasta letteratura sufica va opportunamente selezionato e vagliato dal maestro. «Quest’uso del materiale – scrive il contemporaneo Idris ibn Ashraf – differenzia nettamente l’ideologia sufica dalle altre. Questo atteggiamento ha permesso al vero sufismo di non cristallizzarsi in gerarchie dogmatiche e nel tradizionalismo. Nei gruppi di origine sufica in cui invece questa fossilizzazione è avvenuta, il loro mero fissarsi sulla ripetizione pura del materiale di repertorio costituisce per l’aspirante avveduto l’avvertimento che tale organizzazione “si è inserita nel mondo” […] Anche dando informazioni obiettive sul sufismo si può recar danno a chi domanda, nel caso in cui la sua possibilità di comprensione sia difettosa o erroneamente addestrata. Ad esempio: vi pongono la domanda e voi rispondete: “Il sufismo è il miglioramento di se stessi”. Ma che intendono gli altri per miglioramento e per se stessi? Vi sarà chi interpreta secondo il proprio desiderio di cambiare sul piano materiale la posizione sociale. Se dite: “Il sufismo è ricchezza inesprimibile”, gli avidi vi vedranno un tesoro da carpire e gli ignoranti il conseguimento di un potere segreto. Non lasciatevi indurre nell’errore di disporre la risposta in forma religiosa o filosofica, poiché il religioso o il filosofo potranno commettere lo stesso sbaglio di avidità, interpretando secondo il proprio concetto quel che viene detto».

D’altronde è pressoché inutile cercare il sufismo nei libri dei sufi, se non si sa che cosa cercare e che cosa scartare. Nei libri le verità esoteriche non sono descritte, e se a volte lo sono, lo sono in modo celato. Si assiste anzi al fatto, apparentemente bizzarro, che le raccolte di aneddoti mistici relativi a maestri sufi (ad esempio quelle di Farîd adDîn al ’attâr, di Ghazâlî, di Muhammad ibn Monawwar) non vengono lette dagli Ordini, bensì solo dal popolo. In esse troviamo azioni di sufi, ma non una tecnica per diventare sufi, né una spiegazione del sufismo. O là dove se ne parla, son frammenti, lampi, e anche poco chiari.

Ad una prima analisi possiamo dire allora che il sufismo è una risposta valida per colui che – insoddisfatto della propria vita e del proprio stato, sia in pensieri che azioni – avverte la necessità di un cambiamento, di un miglioramento, d’un mutamento anche totale di questo suo permanere nel chiuso della insoddisfazione. Per chi avverte l’urgenza di conoscere la Verità, anziché ciò che gli viene imposto per un fine (palese o segreto) di indottrinamento formale; chi avverte l’ansia di una pace universale in nome solo della propria intima libertà naturale; e tuttavia capisce che gli strumenti da lui usati o studiati non sono in grado di giungervi. Per chi infine non ama i falsi sorrisi, le convenzioni opportunistiche, i preconcetti limitativi, i tornaconti, le invidie, le calunnie, il malanimo, le inimicizie, le invidie.

Ma chi avverte di là dalle limitazioni della forma, dei nomi, delle tradizioni e dei preconcetti l’unione universale dell’Essere, chi intende il “qui e ora” come solo momento terreno, ma momento terreno eguale all’infinito, all’eterno; e avverte tutte le sostanze come distinzione momentanea di una sola energia, superando i termini usuali di Dio per una illuminazione del Sé che chiarifichi l’essere delle cose, questi è già sulla Via.

Quale è questa Via? Mi pare che vi siano due distinzioni essenziali anche nell’azione sufica: l’operare del sufi su di sé per sé, e ciò che l’opera dei sufi ingenera nell’ambiente in cui essi vivono. Anche nell’insegnamento stesso vi è una realtà esoterica ed una essoterica, una azione interna ed una esterna, una verità per la folla e la Verità. Del pari nella semantica ogni vocabolo viene suddiviso nel suo significato e nel suo significante, il primo essendo l’opinione generalizzata e il secondo l’opinione individuale. Il sufi penetra di là dai significati e dalle significanze, di modo che, superate le apparenze, giunge al Vero.


– da “Il sufismo vertice della piramide esoterica”
di Gabriele Mandel



domenica 3 giugno 2012

Primi passi verso il risveglio



FELICITÀ INCONDIZIONATA

Spiritualità significa risveglio. La maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate. Sono nate dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, allevano i figli dormendo, muoiono dormendo senza mai svegliarsi. Non arrivano mai a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamiamo esistenza umana.
Sapete, tutti i mistici – cattolici, cristiani, non cristiani, quale che sia la loro teologia, la loro religione – concordano su una cosa: che tutto va bene, tutto va bene. Sebbene regni il caos, tutto va bene.
Certo, è uno strano paradosso.
Purtroppo, però, la maggior parte della gente non arriva mai a capire che tutto va bene, perché è immersa nel sonno.
Svegliarsi è spiacevole, sapete. Uno se ne sta lì nel letto, bello comodo. È irritante essere svegliato. Per questo il saggio guru non tenta di svegliare la gente.

Se davvero intendete svegliarvi, la prima cosa che dovete capire è che non volete svegliarvi. Il primo passo verso il risveglio è essere sufficientemente sinceri da ammettere di fronte a se stessi che non è piacevole.
Noi non desideriamo essere felici. Vogliamo altre cose. O meglio: noi non vogliamo essere felici incondizionatamente. Sono pronto a essere felice a condizione che abbia questo e questo e quest’altro.
Ma ciò equivale a dire al nostro amico o al nostro Dio o a chiunque: «Tu sei la mia felicità. Se non ho te, rifiuto di essere felice».
È davvero importante capire questo meccanismo. Non riusciamo a immaginare di essere felici a prescindere da tali condizioni. È esattamente così.
Non riusciamo a poter concepire di essere felici senza di esse. Ci è stato insegnato a situare in esse la nostra felicità.
Dunque, questa è la prima cosa da fare se vogliamo svegliarci, il che equivale a dire: se vogliamo amare, se vogliamo la libertà, se vogliamo la gioia, la pace e la spiritualità.
In questo senso, la spiritualità è la cosa più pratica di questo mondo.
Sfido chiunque a pensare a qualcosa di più pratico della spiritualità per come l’ho definita – né pietà, né devozione, né religione, né adorazione, ma spiritualità – il risveglio, il risveglio!
Osservate l’angoscia che regna ovunque, osservate la solitudine, la paura, la confusione, il conflitto nel cuore delle persone, conflitto interno, conflitto esterno. Immaginate che qualcuno vi dia la possibilità di liberarvi di tutto ciò.
Immaginate che qualcuno vi dia la possibilità di fermare quel terribile dispendio di energia, di salute, di emozioni che deriva da tali conflitti e da tale confusione. Vi piacerebbe?
Immaginate che qualcuno ci mostri la strada attraverso la quale potremmo giungere ad amarci davvero gli uni gli altri, essere in pace, essere immersi nell’amore. Riuscite a pensare a qualcosa di più pratico di tutto ciò? E invece c’è gente che ritiene che i grandi affari siano più pratici, che la politica sia più pratica, che la scienza sia più pratica.


IL FOLLE E IL MISTICO

La psicologia è più pratica della spiritualità? Niente è più pratico della spiritualità.
Cosa può fare il povero psicologo? Può solo allentare la tensione.
Sono anch’io psicologo, e pratico la psicoterapia, e quando mi capita di dover scegliere tra psicologia e spiritualità dentro di me sorge un grande conflitto. Mi chiedo se qualcuno, qui, capisce cosa intendo. Io stesso l’ho capito solo dopo molti anni.
Cercherò di spiegarmi.
Per molti anni non ho capito questo fatto, finché un giorno, all’improvviso, ho scoperto che la gente deve soffrire a sufficienza in una relazione per poter essere disillusa nei confronti di tutte le relazioni. Non è forse una cosa terribile? Le persone devono soffrire abbastanza in una relazione prima di svegliarsi e dire: «Sono stufo! Ci dev’essere un modo migliore di vivere, un modo che non comporti dipendenza da un altro essere umano».
E cosa facevo io, come psicoterapeuta? La gente veniva da me per sottopormi i propri problemi relazionali, comunicativi, e così via, e talvolta quel che facevo era di qualche aiuto. Ma purtroppo devo dire che in altre occasioni non serviva a niente, perché lasciava che le persone continuassero a dormire. Forse quelle persone avrebbero dovuto soffrire un po’ di più. Forse avrebbero dovuto toccare il fondo e dire: «Sono stufo di tutto». È solo quando si è stufi di essere stufi che se ne esce.
La maggior parte della gente va dallo psichiatra o dallo psicologo per ottenere un sollievo, non per uscire dalla situazione in cui si trova.

I poveri psicologi fanno bene il loro lavoro, davvero, e ci sono casi in cui la psicoterapia costituisce un aiuto insostituibile. Ma quando ci si trova sull’orlo della follia, della pazzia più completa, a quel punto si rischia di diventare o psicotici o mistici. Il mistico è proprio questo: l’opposto del folle.
Sapete qual è il segnale del risveglio? È il momento in cui ci si chiede: «Sono io il pazzo, o lo sono tutti gli altri?».
Davvero, è così. Perché noi siamo pazzi. Il mondo intero è pazzo. Folli certificabili in piena regola! L’unico motivo per cui non siamo tutti rinchiusi è che siamo troppi.
Dunque siamo pazzi. Viviamo basandoci su idee pazze riguardo all’amore, ai rapporti con gli altri, alla felicità, alla gioia, a tutto quanto. Sono giunto a credere che siamo pazzi al punto che, se tutti sono d’accordo su qualcosa, quella cosa è sicuramente sbagliata!
Ogni nuova idea, ogni grande idea, al suo inizio, era partita da una minoranza costituita da una sola persona. Quell’uomo di nome Gesù Cristo – minoranza costituita da una sola persona. Tutti dicevano qualcosa di diverso da quel che diceva lui. Buddha – minoranza costituita da una sola persona. Tutti dicevano qualcosa di diverso da quel che diceva lui. Credo che sia stato Bertrand Russell a dire: «Ogni grande idea, ai suoi inizi, è blasfema». Mi sembra una spiegazione esatta e precisa.
In questi giorni ascolterete una lunga serie di affermazioni blasfeme. «Egli ha bestemmiato!». Perché la gente è pazza, folle, e prima lo capirete meglio sarà per la vostra salute mentale e spirituale. Non fidatevi. Non fidatevi dei vostri migliori amici. Siate scettici nei confronti dei vostri migliori amici. Sono molto abili, così come lo siete anche voi nei vostri rapporti con tutti gli altri, anche se probabilmente non lo sapete. Oh, siete così astuti, abili e scaltri. Siete dei grandi attori.
Non vi sto lusingando troppo, vero? Ma ripeto: voi non volete svegliarvi. State recitando, e nemmeno lo sapete. Pensate di essere tanto affettuosi. Ah! Nei confronti di chi? Persino il sacrificio di sé fa sentire bene, non è vero? «Mi sto sacrificando! Vivo in armonia con i miei ideali». Ma riceverete qualcosa in cambio, giusto?
Si riceve sempre qualcosa in cambio per quel che si fa, fino al momento in cui ci si sveglia.
E dunque eccoci qui: primo passo. Ammettere che non volete svegliarvi. È davvero difficile svegliarsi quando si è stati costretti, attraverso l’ipnosi, a pensare che un pezzo di cartastraccia sia un assegno da un milione di dollari. Com’è difficile strapparsi da quel pezzo di cartastraccia!


ASCOLTARE E DISIMPARARE

Alcuni di noi vengono svegliati dall’aspra realtà della vita. Soffriamo a tal punto da svegliarci. Ma la gente non fa che andare a sbattere contro la vita, un giorno dopo l’altro. Continua a vagare in uno stato di sonnambulismo. Non si sveglia mai. Purtroppo, non le viene mai in mente che potrebbe esistere un altro modo di vivere. Non le viene in mente che potrebbe esistere un modo migliore di vivere. Ma se non si è ancora stati bastonati a sufficienza dalla vita, e se non si è sofferto abbastanza, esiste un altro modo per svegliarsi: ascoltare. Ciò non significa che dovete essere d’accordo con quello che dico. Non è questo che intendo per “ascolto”.
Credetemi, in realtà non ha alcuna importanza che voi siate d’accordo o meno con quel che sto dicendo, perché l’accordo o il disaccordo riguardano le parole, i concetti e le teorie, mentre non hanno niente a che vedere con la verità. La verità non è mai espressa in parole. La verità si intravvede all’improvviso, e deriva da un certo tipo di atteggiamento. Dunque, voi potreste essere in disaccordo con me e tuttavia intravvedere la verità. Ci vuole però un atteggiamento di apertura, la volontà di scoprire qualcosa di nuovo. Questa è la cosa importante, mentre non è importante che voi siate o meno d’accordo con me.
Dopo tutto, la maggior parte di quel che vi dico è teoria, e nessuna teoria copre la realtà in modo adeguato. Dunque io non posso parlarvi della verità, ma di quelli che sono gli ostacoli alla verità. Questi li posso descrivere, la verità no. Nessuno può farlo. Quel che posso fare è fornirvi una descrizione delle vostre falsità, affinché voi possiate abbandonarle. Non posso far altro, per voi, che mettere in discussione le vostre convinzioni e il sistema di convinzioni che vi rende infelici. Non posso far altro che aiutarvi a disimparare. Quando entra in gioco la spiritualità, l’unica cosa da imparare è proprio questa: disimparare, disimparare, disimparare quasi tutto ciò che vi è stato insegnato. La volontà di disimparare, di ascoltare.
State forse ascoltando, come fa la maggior parte delle persone, al fine di confermare quel che pensate già? Osservate le vostre reazioni, mentre parlo. Spesso vi accorgerete di essere stupiti, shockati, scandalizzati, o irritati, disturbati, frustrati. Oppure direte: «Splendido!».
Ma state ascoltando solo ciò che vi conferma quel che già pensate? O state ascoltando per scoprire qualcosa di nuovo? È molto importante. Risulta difficile, alle persone addormentate. Gesù ha portato la buona novella, eppure è stato respinto. Non perché fosse buona, ma perché era nuova. Tutti noi odiamo il nuovo. Lo odiamo davvero! E prima affrontiamo questo fatto, meglio sarà. Non vogliamo le novità, soprattutto quando ci disturbano, soprattutto quando comportano un cambiamento. E in modo particolare se comportano l’ammissione: «Avevo torto».
Ricordo un incontro con un gesuita di ottantasette anni, in Spagna: era stato mio professore, in India, trenta o quarant’anni prima. Aveva partecipato a un seminario come questo. «Avrei dovuto sentirti parlare sessant’anni fa» mi disse alla fine. «Sai una cosa? Ho avuto torto per tutta la vita».
Dio, sentirsi dire una cosa del genere! È come vedere una delle meraviglie del mondo. Quella, signore e signori, è fede! L’apertura verso la verità, quali che siano le conseguenze, dovunque ci porti, senza sapere nemmeno dove ci porterà. Questa è la fede. Non una convinzione, ma la fede. Le convinzioni danno molta sicurezza, la fede è insicurezza. Non si sa dove si andrà a finire. Si è pronti a seguire e si è aperti, aperti a tutto! Si è pronti ad ascoltare.
E guardate che essere aperti non significa essere ingenui, non significa abboccare a tutto ciò che l’oratore vi dice. Assolutamente no: dovete mettere in discussione tutto quello che dico. Metterlo in discussione, però, partendo da un atteggiamento d’apertura, non di caparbietà. E mettere in discussione tutto.
Ricordate quelle splendide parole di Buddha: «I monaci e i discepoli non devono accettare le mie parole per rispetto, ma devono analizzarle come un orefice analizza l’oro, tagliando, limando, levigando, fondendo».
Quando vi comportate in questo modo, significa che state ascoltando. Avete fatto, allora, un altro grosso passo avanti verso il risveglio. Il primo passo, come ho già detto, era essere pronti ad ammettere che non volete svegliarvi, che non volete essere felici. Dentro di voi ci sono resistenze di tutti i tipi.
Il secondo passo consiste nell’essere pronti a capire, ad ascoltare, a mettere in discussione il vostro intero sistema di convinzioni. Non solo le convinzioni religiose, le convinzioni politiche, le convinzioni sociali, le convinzioni psicologiche, ma tutte. Essere pronti a rivalutarle tutte, nella metafora di Buddha. E qui, vi darò un gran numero di opportunità per farlo.



– da “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”
di Anthony De Mello



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