sabato 2 gennaio 2010

Nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina


Ma Siddharta passeggiava pensieroso attraverso il boschetto. S’imbatté così in Gotama, il Sublime, e lo salutò rispettosamente e poiché lo sguardo del Buddha era pieno di bontà e di dolcezza, il giovane si fece animo e chiese al degno uomo il permesso di parlargli. Con un cenno silenzioso, il Sublime acconsentì.

Parlò Siddharta: «Ieri, o Sublime, mi fu dato di ascoltare la tua mirabile dottrina. Insieme col mio amico io venni da lontano per ascoltare la dottrina. E ora il mio amico rimarrà coi tuoi uomini, egli si rifugia in te. Ma io riprendo ancora il mio pellegrinaggio».

«Come ti piace» disse il degno uomo cortesemente.

«Troppo ardite son le mie parole,» continuò Siddharta «ma non vorrei lasciare il Sublime senza avergli esposto schiettamente il mio pensiero. Vuole il Venerabile prestarmi ascolto ancora un momento?».

Con un cenno silenzioso il Sublime assentì.

Disse Siddharta: «Una cosa, o Venerabilissimo, ho ammirato soprattutto nella tua dottrina. Tutto in essa è perfettamente chiaro e dimostrato; come una perfetta catena, mai in nessun luogo interrotta, tu mostri il mondo: una eterna catena, contesta di cause e di effetti. Mai ciò è stato visto con tanta chiarezza, né esposto in modo più irrefutabile; certamente più vivo deve battere il cuore in petto a ogni Brahmino quand’egli, guidato dalla tua dottrina, senza soluzioni di continuità, limpido come un cristallo, non dipendente dal caso, non dipende dagli dèi. Se esso sia buono o cattivo, se la vita in esso sia gioia o dolore, può forse rimanere oscuro (può anche essere che questo non sia la cosa essenziale); ma l’unità del mondo, la connessione di tutti gli avvenimenti, l’inclusione di ogni essere, grande e piccolo, nella stessa corrente, nella stessa legge delle cause ultime, del divenire e del morire, questo risplende chiaramente dalla tua sublime dottrina, o Perfettissimo. Ma ora, secondo la tua stessa dottrina, in un punto è interrotta questa unità e consequenzialità di tutte le cose, attraverso un piccolo varco irrompe in questo mondo unitario qualcosa che prima non era e che non può essere indicato né dimostrato: e questo varco è la dottrina del superamento del mondo, della liberazione. Ma con questo piccolo spiraglio, con questa piccola rottura viene di nuovo infranto e compromesso l’intero ordinamento del mondo unitario ed eterno. Voglimi perdonare, se ho osato proporti quest’obiezione».

Tranquillo e immobile l’aveva ascoltato Gotama. Quindi parlò a sua volta, il Perfetto: parlò con la sua voce benigna, con la sua voce chiara e cortese: «Tu hai udito la dottrina, o figlio di Brahmino, e torna a tuo onore di avervi riflettuto così profondamente. Tu vi hai trovato una frattura, un errore. Possa tu andar oltre col pensiero. Permetti solo ch’io ti metta in guardia, o tu che sei avido di sapere, contro la molteplicità delle opinioni e contro le contese puramente verbali. Le opinioni non contano niente, possono essere belle o odiose, intelligenti o stolte, ognuno può adottarle o respingerle. Ma la dottrina che hai udito da me, non è mia opinione, e il suo scopo non è di spiegare il mondo agli uomini avidi di sapere. Un altro è il suo scopo: la liberazione dal dolore. Questo è ciò che Gotama insegna, null’altro».

«Perdona il mio ardire, o Sublime» disse il giovane. «Non per avere una discussione con te, una discussione puramente terminologica, ti ho parlato poc’anzi in questo modo. In verità, hai ragione: contano poco le opinioni. Ma permettimi di dire ancora questo: non un minuto io ho dubitato di te. Non un minuto ho dubitato che tu sei Buddha, che tu hai raggiunto la meta, la somma meta verso la quale si affaticano tante migliaia di Brahmini e di figli di Brahmini. Tu hai trovato la liberazione dalla morte. Essa è venuta a te attraverso la tua ricchezza, ti è venuta incontro sulla tua stessa strada, attraverso il tuo pensiero, la concentrazione, la conoscenza, la rivelazione. Non ti è venuta attraverso la dottrina! E – tale è il mio pensiero, o Sublime – nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina! A nessuno, o Venerabile, tu potrai mai, con parole, e attraverso una dottrina, comunicare ciò che avvenne in te nell’ora della tua illuminazione! Molto contiene la dottrina del Buddha cui la rivelazione è stata largita: a molti insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo fra centinaia di migliaia. Questo è ciò di cui mi sono accorto, mentre ascoltavo la dottrina. Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un’altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n’è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire. Ma spesso ripenserò a questo giorno, o Sublime, e a questa ora, in cui i miei occhi videro un Santo».

Chetamente fissavano il suolo gli occhi del Buddha, chetamente raggiava in perfetta calma il suo viso imperscrutabile.

«Voglia il cielo che i tuoi pensieri non siano errori!» parlò lentamente il Venerabile. «Possa tu giungere alla meta! Ma dimmi, hai tu visto la schiera dei miei Samana, dei molti miei fratelli che si sono convertiti alla dottrina? E credi tu, o Samana forestiero, credi tu che per tutti costoro sarebbe meglio abbandonare la dottrina e rientrare nella vita del mondo e dei piaceri?».

«Lungi da me un tal pensiero!» gridò Siddharta. «Possano essi rimaner tutti fedeli alla dottrina, possano raggiungere la loro meta. Non tocca a me giudicare la vita di un altro. Solo per me, per me solo devo giudicare, devo scegliere, devo scartare. Liberazione dall’Io è quanto cerchiamo noi Samana, o Sublime. Se io diventassi ora uno dei tuoi discepoli, o Venerabile, mi avverrebbe – temo – che solo in apparenza, solo illusoriamente, il mio Io giungerebbe alla quiete e si estinguerebbe, ma in realtà, esso continuerebbe a vivere e a ingigantirsi, poiché lo materierei della dottrina, della mia devozione e del mio amore per te, della comunità con i monaci!».

Con un mezzo sorriso, con immutata e benigna serenità Gotama guardò lo straniero negli occhi e lo congedò con un gesto appena percettibile.

«Tu sei intelligente, o Samana» disse il Venerabile. «Sai parlare con intelligenza!».
Il Buddha s’allontanò, e il suo sguardo e il suo mezzo sorriso rimasero per sempre incisi nella memoria di Siddharta.

Mai ho visto un uomo guardare, sorridere, sedere, camminare a quel modo, egli pensava, così veramente desidero anch’io saper guardare, sorridere, sedere e camminare, così libero, venerabile, modesto, aperto, infantile e misterioso. Così veramente guarda e cammina soltanto l’uomo che è disceso nell’intimo di se stesso. Bene, cercherò anch’io di discendere nell’intimo di me stesso.

Ho visto un uomo, pensava Siddharta, un uomo unico, davanti al quale ho dovuto abbassare lo sguardo. Davanti a nessun altro voglio mai più abbassare lo sguardo: a nessun altro. Nessuna dottrina mi sedurrà mai più, poiché non m’ha sedotto la dottrina di quest’uomo.

Il Buddha m’ha derubato, pensava Siddharta, m’ha derubato, eppure è ben più prezioso ciò ch’egli mi ha donato. M’ha derubato del mio amico, di colui che credeva in me e che ora crede in lui, che era la mia ombra e che ora è l’ombra di Gotama. Ma mi ha donato Siddharta, mi ha fatto dono di me stesso.


– da “Siddharta” di Hermann Hesse


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