venerdì 25 giugno 2010

La gioia - Anthony De Mello


Una delle frasi più frequentemente ripetute nella letteratura cristiana è quella di Agostino: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.

Ogni volta che ascolto questa frase, mi ricordo di un’altra frase, che Kabir, uno dei migliori poeti mistici dell’India, ha reso famosa. Egli scrisse un bel poema che inizia con la seguente frase: “Risi quando mi dissero che un pesce in acqua ha sete”. Riflettete con attenzione a questa immagine: un pesce in acqua ha sete! Com’è possibile?

Noi, esseri umani, avvolti da Dio, non troviamo riposo! Osserva la creazione: alberi, uccelli, erba, animali... Sai una cosa? Tutta la creazione è colma di gioia. Tutta la creazione è felice! Si, lo so: c’è sofferenza, dolore, crescita, declino, vecchiaia e morte. Sì, tutto ciò sta nella creazione, ma se voi comprendeste cosa realmente significa felicità! Solo l’essere umano ha sete, solo il cuore umano è inquieto. Non è strano? Perché l’essere umano è infelice e cosa si può fare per trasformare questa tristezza in gioia? Perché gli uomini sono tristi? Perché hanno idee distorte e atteggiamenti sbagliati.

La prima idea distorta che gli uomini hanno è che gioia equivalga a euforia, sensazioni di piacere, divertimento. Con questa idea in testa gli uomini vanno in cerca di droghe e stimolanti, e finiscono con l’essere dei depressi. L’unica cosa con cui dobbiamo drogarci è la vita. È un tipo di droga leggero, ma con effetti duraturi. Questa è la prima idea distorta dalla quale ci dobbiamo liberare. Gioia non significa euforia; non necessariamente.

La seconda idea distorta consiste nel pensare che possiamo raggiungere la nostra felicità, che possiamo fare qualcosa per afferrarla. Qui quasi mi sto contraddicendo, perché in seguito esporrò cosa possiamo fare per ottenere la felicità. La felicità però non si può conseguire in se stessa. La felicità è sempre conseguenza di qualcosa.

La terza e forse più determinante idea distorta sulla felicità consiste nel ritenere che essa si trovi fuori di noi, nelle cose esterne, nelle altre persone. “Cambio lavoro, così forse sarò felice”; oppure: “Cambio casa, mi sposo con un’altra persona..., così forse sarò felice”, ecc. La felicità non ha nulla a che vedere con l’esterno. In genere si crede che i soldi, il potere, la rispettabilità possano rendere felici. Di fatto però non è così. I poveri possono essere felici.

Mi ricordo della storia di un prigioniero nazista. Il pover’uomo tutti i giorni veniva torturato. Un giorno lo cambiarono di cella. Nella nuova cella c’era un abbaino, da dove egli poteva vedere un pezzo di cielo azzurro durante il giorno, e alcune stelle la notte. Il prigioniero rimase così affascinato da questo spettacolo che inviò una lunga lettera a quelli di casa sua, descrivendo la sua grande fortuna.

Dopo aver letto questa storia, guardai dalla mia finestra.

Davanti a me si estendeva la natura in tutta la sua bellezza. Ero libero, non prigioniero, potevo andare dove volevo! E ritengo di aver provato solo una frazione della gioia di quel povero prigioniero.

Ricordo di aver letto un romanzo su un prigioniero in un campo di concentramento sovietico, in Siberia. Il pover’uomo veniva svegliato alle quattro del mattino e riceveva un pezzo di pane, come razione per tutto il giorno. Avrebbe mangiato ben volentieri subito tutto il pane, ma cominciò a pensare:

“È meglio che ne conservi una parte, perché posso averne bisogno questa notte, se non riuscirò a dormire per la fame. Se questa notte ho qualcosa da mangiare, forse riuscirò a dormire”. Dopo aver duramente lavorato tutto il giorno, si coricò e si coprì con la coperta, che a mala pena lo riscaldava, e cominciò a pensare: “Oggi è stata una buona giornata. Non ho dovuto lavorare nel vento gelato. E questa notte, se mi sveglio per la fame, posso mangiare un pezzo di pane e continuare a dormire”. Potete immaginare la gioia e la felicità di quell’uomo?

Una volta conobbi una paralitica, alla quale tutti chiedevano: “Dove trovi questa gioia che traspare sempre dal tuo volto?”. Ed ella rispondeva “Io ho tutto ciò che serve alla mia felicità. Posso fare le cose più belle della vita”.

Paralizzata, a letto, in un ospedale; eppure piena di gioia. Che donna straordinaria!

La gioia non si trova all’esterno. Liberatevi da questa nozione distorta, altrimenti non la troverete mai.


- da “Istruzioni di volo per aquile e polli” di Anthony De Mello -



http://www.pomodorozen.com/zen/la-gioia/

giovedì 17 giugno 2010

Vivere con consapevolezza e meditazione



Il fiore ha una forma, una personalità. La fragranza del fiore non ha forma, né personalità. C'è, esiste, ma non esiste in una forma fissa; esiste senza una forma. E proprio questo è dio, questa è la qualità del divino. L'esperienza di questa fragranza arriva tramite la meditazione. Non c'è altro modo, non c'è mai stato e non ci sarà mai.
La persona veramente religiosa ha solo una cosa da fare, diventare meditativa. Quando si usa la parola "meditazione" c'è la possibilità di andare nella direzione sbagliata, perché in inglese non esiste l'esatta traduzione di "dhyana"; meditazione è solo un'approssimazione.

L'inglese ha tre parole: concentrazione, contemplazione e meditazione. La concentrazione è della mente. Focalizzi la mente su un oggetto in particolare, escludendo tutto il resto; limiti la tua visione. Quindi nella concentrazione tutto può diventare una distrazione. Un cane abbaia, e tu ne vieni distratto, perché stavi escludendo tutto – ora il cane che abbaia si è intromesso. Quindi chi si concentra è sempre arrabbiato perché basta una piccola cosa – una zanzara – e la tua concentrazione viene disturbata. Qualsiasi cosa può distrarti perché ciò che fai è innaturale.

La concentrazione è innaturale. È un fenomeno forzato, frutto dell'irregimentazione. È una cosa quasi militare; il costringere la mente in modo violento a rimanere puntata su un solo oggetto. E invece la natura della mente è quella di un flusso costante, sempre in movimento. Per la mente è naturale muoversi – è un processo dinamico – mentre tu cerchi di rendere stagnante questo processo dinamico.

Proprio perché è una cosa contro natura, ogni scusa è buona perché la mente subito ne approfitti e cominci a muoversi. Anche se riesci a forzare la mente a essere quieta per lunghi periodi, sarai sempre seduto su un vulcano. È un po' quello che accade a un bambino. Puoi forzare il bambino dicendo: 'Oggi non ti darò nulla da mangiare. Stai seduto nell'angolo e zitto.' È in grado di farlo. Puoi dirgli: 'Chiudi gli occhi', e lui lo farà. Ma osserva: continua a muoversi e ad agitarsi, strizza gli occhi, perché ha paura di aprirli ma desidera farlo. Puoi vedere l'agitazione in cui è, anche se si sta trattenendo. È per lui un grosso problema. Questa è la situazione, quando ci si trova nel processo di concentrazione.

La meditazione non è concentrazione e non è neanche contemplazione. Contemplazione vuol dire che sei un po' più fluido, che fluisci un po' di più, ma devi comunque rimanere legato a un soggetto particolare. Nella concentrazione devi rimanere puntato su un argomento; nella contemplazione hai una corda un po' più lunga. Puoi girare un po' di più, ma sei sempre legato. Ad esempio, pensi all'amore. Puoi girarci un po' attorno, ma puoi pensare all'amore soltanto.

Certo, hai più libertà che nella concentrazione ma è una libertà limitata. Sei in una prigione un po' più grande, ecco tutto, ma sei sempre in prigione. E le distrazioni arriveranno lo stesso – meno che nella concentrazione, ma arriveranno.

In inglese persino la parola "meditazione" dà l'idea sbagliata; è come se dovessi meditare su qualcosa. Ma “dhyana” – la parola sanscrita da cui deriva la parola giapponese “zen” – vuol dire che non esistono né soggetto né oggetto, né concentrazione né contemplazione. Sei solo seduto in silenzio, osservando tutto ciò che è. Un cane abbaia, tu l'osservi - non è una distrazione. Una musica suona, tu l'ascolti - non è una distrazione perché non stai facendo alcuno sforzo per concentrarti. Sei omnicomprensivo, nulla viene escluso. La libertà è assoluta. L'unica cosa da ricordare è di non identificarsi con qualcosa. Ascolta la musica ma non diventare la musica, resta un osservatore.

Quindi la meditazione può essere definita come osservazione, come non diventare identificati. Ora questo è un fenomeno completamente diverso; non si tratta di concentrazione né di contemplazione.

Sei seduto sul ciglio della strada e osservi il traffico della mente; permetti alla mente di fare ciò che vuole senza paura, di andare dovunque voglia andare – a Timbuktu, a Toronto... dovunque voglia andare. Tu devi solo rimanere sveglio, consapevole, attento.

Allora accade il miracolo: inizi a diventare consapevole del divino che è presente in ogni cosa. Persino l'abbaiare di un cane ha la qualità del divino. Allora tutto inizia a trasmettere un nuovo messaggio, una nuova sensazione, un nuovo splendore.

Quando il tutto viene trasformato dal tuo testimoniare, diventa fragrante. Non ci sono fiori eppure c'è una fragranza fortissima. Sei entrato nell'invisibile.


Osho


lunedì 14 giugno 2010

Il paradiso è essere perfetti

Non sono limitato dal corpo, non sono limitato dallo spazio, non sono limitato dal tempo... Sono una perfetta espressione della libertà. Qui, adesso...




venerdì 11 giugno 2010

Il Maestro di se stesso

I Tarocchi Zen di Osho
22. Il Maestro


Al di là della mente esiste una consapevolezza intrinseca, che non ti è data dall'esterno, e non è un'idea. Finora nessun esperimento ha potuto scoprire un centro del cervello che corrisponde alla consapevolezza. Il lavoro della meditazione è proprio quello di renderti consapevole di tutto ciò che è "mente", e di disidentificarti da essa. Questa separazione è la più grande rivoluzione che possa accadere all'uomo.
Ora puoi muoverti e fare solo ciò che ti rende gioioso, contento, ciò che ti soddisfa, che fa diventare la tua vita una cosa bellissima, un'opera d'arte. Ma questo è possibile solo se il maestro in te si è risvegliato. In questo momento il maestro è profondamente addormentato. E la mente, che è il servitore, recita il ruolo del maestro. Il servitore viene formato dal mondo esterno; segue il mondo esterno e le sue leggi.
Quando la tua consapevolezza diventa una fiamma, può bruciare la schiavitù creata dalla mente. Non c'è benedizione più preziosa della libertà, dell'essere un maestro del proprio destino.

Osho From the False to the Truth Capitolo 7


Commento:

Nello Zen, il Maestro non è un maestro per gli altri, ma un Maestro di se stesso. Ogni suo gesto e ogni sua parola riflettono il suo essere illuminato. Non è un insegnante con una dottrina da impartire, né un messaggero soprannaturale con una linea diretta con Dio, ma solo uno che è diventato un esempio vivente delle potenzialità più alte racchiuse all'interno di ogni essere umano. Nei suoi occhi, i discepoli vedono riflessa la loro stessa verità, e nel silenzio della sua presenza si immergono più facilmente nel silenzio del loro essere. La comunità di ricercatori che si raccoglie intorno al Maestro diventa un campo d'energia che sostiene l'unicità di ogni individuo perché trovi la propria luce. Quando trova quella luce, il discepolo arriva a comprendere che il Maestro presente all'esterno era solo un catalizzatore, un espediente per provocare il risveglio dell'interiorità.

lunedì 7 giugno 2010

Il Sutra del Cuore




Prajñāpāramitā Hṛdaya Sūtra

Sutra del Cuore della Perfezione della Saggezza



Questo discorso Io ho udito una volta.

Il Bhagavan (Buddha) dimorava con una grande assemblea di monaci e una grande assemblea di Bodhisattva sul Picco dell'Avvoltoio vicino al paese di Rajagraha.

In quel tempo il Bhagavan era immerso in una particolare concentrazione chiamata la 'Visione Profonda'.

Nello stesso tempo, il Bodhisattva, il Grande Essere, il Nobile Avolokitesvara contemplava la pratica profonda della 'Perfezione della Saggezza'. Egli vide che i cinque costituenti psicofisici (Skandha) sono privi di una loro propria (inerente) natura.

Poi tramite il potere di Budda, il Venerabile Sariputra si accostò al Nobile Avalokitesvara e gli chiese:

«Come deve procedere il figlio o una figlia di un nobile lignaggio che desidera seguire la pratica della Perfezione della Saggezza?».

Il Venerabile Avalokitesvara rispose con queste parole al Venerabile figlio di Saradvati:

«O Sariputra, qualsiasi figlio o figlia di un nobile lignaggio che desideri seguire la pratica della «Perfezione della Saggezza» dovrebbe comprendere che i cinque costituenti psicofisici sono privi di una loro propria [inerente] natura.

La forma è vacua. La vacuità è forma. La vacuità non è altro che forma, e la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo, le sensazioni, le discriminazioni, gli elementi di formazione e la coscienza sono vacui. Similmente, Sariputra, tutti i fenomeni sono vacui. Sono privi di caratteristiche, non nascono, non muoiono; sebbene non siano contaminati non sono separati dalle contaminazioni; non diminuiscono né crescono.

Perciò, Sariputra, in termini di vacuità, non esistono sensazioni, né discriminazioni, né elementi di formazione, né coscienze; né occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo, né mente; né forme visive, né suoni, né odori, né sapori, né sensazioni tattili, né oggetti della coscienza mentale; non esistono elementi visivi, né elementi mentali, e nemmeno elementi della coscienza mentale. Non c'è ignoranza, né estinzione dell'ignoranza, non esiste il divenire vecchi, né la morte, né l'estinzione della vecchiaia né della morte.

Allo stesso modo, non vi è sofferenza, né origine di tutte le sofferenze, né il suo cessare, né il sentiero (che conduce alla Liberazione).

Non esiste né Saggezza primordiale, né realizzazioni, né mancanza di realizzazioni.

Perciò, o Sariputra, poiché i Bodhisattva non hanno realizzazioni essi vivono basandosi sulla «Perfezione della Saggezza»; poiché la loro mente è libera dalle ombre della nescienza essi sono senza paura. Trascendono l'errore e raggiungono il punto finale: il Nirvana.

Tutti i Buddha che si manifestano nei tre tempi si svegliano completamente nell'Illuminazione perfettamente piena seguendo la «Perfezione della Saggezza».

Perciò, il mantra della «Perfezione della Saggezza», il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra che non ha paragone, è un mantra che elimina tutte le sofferenze, non ti ingannerà, quindi conoscilo come vero!

Io proclamo il mantra della «Perfezione della Saggezza»:

Tadyata Gate Gate Paragate
Parasamgate Bodhi Svaha

0 Sariputra, questo è il modo in cui i grandi Bodhisattva si formano nella profonda «Perfezione della Saggezza».

In quel momento il Bhagavan riemergendo dalla concentrazione si rivolse al Nobile Avalokitesvara con queste parole:

«Ben detto! Ben detto! E' proprio così o figlio di nobile lignaggio, è proprio così. Si dovrebbe coltivare la «Perfezione della Saggezza» proprio come tu hai detto. Anche i Thathagata si rallegreranno di ciò»

Quando il Buddha ebbe parlato, il Venerabile Sariputra, il Nobile Bodhisattva Avalokitesvara e il suo seguito, e il mondo assieme ai suoi dei, uomini, semidei e Gandharva, si rallegrarono ed elogiarono ciò che il Bhagavan aveva proclamato.


mercoledì 2 giugno 2010

Rino




Rino Gaetano - Io scriverò


Io scriverò
se vuoi perché cerco un mondo diverso
con stelle al neon e un poco d'universo
e mi sento un eroe a tempo perso

Io scriverò
se vuoi perché non ho incontrato mai
veri mattatori e veri ombrellai
ma gente capace di chiederti solo come stai

Io scriverò
se vuoi perché ho amato tutti i sessi
ma posso garantirvi che io
non ho mai dato troppo peso al sesso mio

Ma con chiunque sappia divertirsi
mi salverò
che viva la vita senza troppo arricchirsi
mi salverò
che sappia amare e che conosca
Dio come le sue tasche

Io scriverò
perché ho vissuto anche d'espedienti
perché a volte ho mostrato anche i denti
perché non potevo vivere altrimenti

Io scriverò
sul mondo e sulle sue brutture
sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure
sul mio passato e sulle mie paure




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