giovedì 15 dicembre 2011

Una strada con un cuore



DON JUAN: «Para mi solo recorrer los caminos que tienen corazon, cualquier camino que tenga corazon. Por ahi yo recorro, y la unica prueba que vale es atravesar todo su largo. Y por ahi yo recorro mirando, mirando, sin aliento.» TRADUZIONE: «Per me c'è solo il viaggio su strade che hanno un cuore, qualsiasi strada abbia un cuore. Là io viaggio, e l'unica sfida che valga è attraversarla in tutta la sua lunghezza. Là io viaggio guardando, guardando, senza fiato.»

DON JUAN: «Tutto è solo una strada tra tantissime possibili. Devi sempre tenere a mente che una strada è solo una strada; se senti che non dovresti seguirla, non devi restare con essa a nessuna condizione. Per raggiungere una chiarezza del genere devi condurre una vita disciplinata. Solo allora saprai che qualsiasi strada è solo una strada e che non c'è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nel lasciarla andare se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare. Ma il tuo desiderio di insistere sulla strada o di abbandonarla deve essere libero dalla paura o dall'ambizione.»

«Ti avverto. Guarda ogni strada attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda. Questa è una domanda posta solo da un uomo molto vecchio. Il mio benefattore me l'ha detta una volta quando ero giovane, e il mio sangue era troppo vigoroso perché la comprendessi. Ora la comprendo. Ti dirò che cosa è: "Questa strada ha un cuore?" Tutte le strade sono uguali; non portano da alcuna parte. Sono strade che passano attraverso la boscaglia o che vanno nella boscaglia. Nella mia vita posso dire di aver percorso strade lunghe, molto lunghe, ma io non sono da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha adesso un significato."Questa strada ha un cuore?" Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha non serve a niente. Entrambe le strade non portano da alcuna parte, ma una ha un cuore e l'altra no. Una porta un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L'altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l'altra ti indebolisce.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come si fa a sapere quando un sentiero non ha un cuore, don Juan?»

DON JUAN: «Prima di inoltrarti in esso poniti la seguente domanda: "Questa strada ha un cuore?" Se la risposta è no, lo saprai, e allora dovrai scegliere un altro sentiero.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come faccio a capirlo?»

DON JUAN: «E' una cosa che si sente. Il problema è che nessuno si pone questa domanda, e quando un uomo si accorge di aver intrapreso una strada senza cuore, essa è pronta per ucciderlo. Arrivati a quel punto, sono pochi quelli che si fermano a riflettere e abbandonano la strada.»

CARLOS CASTANEDA: «Cosa devo fare per formulare la domanda nel modo giusto, don Juan?»

DON JUAN: «Fallo e basta.»

CARLOS CASTANEDA: «Quello che vorrei sapere è se esiste un metodo per non mentire a se stessi credendo che la risposta sia positiva quando in realtà non lo è.»

DON JUAN: «Perché dovresti mentire?»

CARLOS CASTANEDA: «Forse perché in quel momento la strada sembra piacevole e divertente.»

DON JUAN: «Sciocchezze. Una strada senza cuore non è mai piacevole. Devi lavorare duramente anche per intraprenderla. D'altra parte è facile seguire una strada che ha un cuore, perché amarla non ti costa fatica.»



- da "Gli insegnamenti di don Juan (A scuola dallo stregone)"
di Carlos Castaneda -



http://www.carloscastaneda.it/Libri-Castaneda/Citazioni-Gli-insegnamenti-di-don-Juan/3-Strada-con-un-Cuore.htm


sabato 3 dicembre 2011

La scienza del kriya yoga



di Paramahansa Yogananda


La scienza del kriya yoga, a cui si fa così spesso riferimento in queste pagine, ha avuto larga diffusione nell’India moderna grazie a Lahiri Mahasaya, il guru del mio guru. La radice sanscrita di ʻkriyaʼ è kri, ʻfare, agire reagireʼ; la stessa radice si trova nella parola ʻkarmaʼ, il principio naturale di causa ed effetto. Kriya yoga significa quindi ʻunione (yoga) con l’Infinito mediante una certa azione o rito (kriya)ʼ. Uno yogi che pratichi con impegno e costanza questa tecnica viene gradualmente liberato dal karma, la legge dell’equilibrio creato dalle concatenazioni di causa ed effetto.

In obbedienza ad alcune antiche ingiunzioni yogiche, non mi è possibile fornire una spiegazione dettagliata del kriya yoga in un libro destinato al grande pubblico. La tecnica vera e propria deve essere insegnata da un kriyaban (kriya yogi) autorizzato dalla Self-Realization Fellowship (Yogoda Satsanga Society of India). Qui sarà sufficiente trattare l’argomento a grandi linee.

Il kriya yoga è un semplice metodo psicofisiologico che permette di purificare il sangue dall’anidride carbonica e di arricchirlo di ossigeno. Gli atomi di questo ossigeno supplementare vengono trasformati in corrente vitale, che rigenera il cervello e i centri spinali. Arrestando l’accumularsi di sangue venoso, lo yogi può ridurre o prevenire il deterioramento dei tessuti. Lo yogi evoluto trasforma le cellule del proprio corpo in energia. Elia, Gesù, Kabir e altri profeti furono un tempo maestri nella pratica del kriya o di una tecnica simile, grazie alla quale potevano materializzare o smaterializzare il proprio corpo a loro discrezione.

Il kriya yoga è una scienza antica. Lahiri Mahasaya l’apprese dal suo grande guru Babaji. La conoscenza della tecnica era andata perduta nelle età oscure; Babaji la riscoprì, la semplificò e la chiamò semplicemente kriya yoga.

“Il kriya yoga che per tuo tramite io dono al mondo in questo diciannovesimo secolo”, disse Babaji a Lahiri Mahasaya, “è la stessa scienza che Krishna insegnò millenni or sono ad Arjuna, e che in seguito appresero anche Patanjali e Cristo, come pure san Giovanni, san Paolo e altri discepoli”.

Il Signore Krishna, il più grande profeta dell’India, menziona il kriya yoga in due versetti della Bhagavad Gita. Nel primo si legge: “Nel consacrare il respiro che entra in quello che esce e il respiro che esce in quello che entra, lo yogi neutralizza entrambi i tipi di respiro; egli libera così il prana dal cuore e ottiene il controllo della forza vitale”. Questo passo si interpreta nel modo seguente: “Calmando l’attività dei polmoni e del cuore, lo yogi ottiene una riserva aggiuntiva di prana (forza vitale), che gli permette di arrestare il deterioramento dei tessuti del corpo; mediante il controllo di apana (la corrente dell’eliminazione), egli arresta nel corpo anche le alterazioni causate dai processi di crescita. Annullando in questo modo i processi di deterioramento e di sviluppo, lo yogi impara a controllare la forza vitale”.

Un altro versetto della Gita afferma: “Diviene libero per l’eternità quell’esperto nella meditazione (muni) che, cercando la mèta suprema, riesce a isolarsi dai fenomeni esteriori fissando lo sguardo nel punto centrale fra le sopracciglia e neutralizzando le due correnti uniformi di prana e di apana [che scorrono] nelle narici e nei polmoni; e riesce a dominare le facoltà sensoriali e l’intelletto, e a ripudiare il desiderio, la paura e la collera”.

Krishna inoltre ci dice che fu lui, in un’incarnazione precedente, a comunicare questi imperituri insegnamenti yoga all’illuminato Vivasvat, vissuto in tempi remoti, il quale li trasmise a Manu, il grande legislatore. Questi a sua volta istruì Ikshwaku, fondatore della dinastia solare dei guerrieri. Trasmessa così dall’uno all’altro, la conoscenza dello yoga regale fu preservata dai rishi fino al sorgere delle ere del materialismo. Da quel momento in poi la sacra scienza fu sempre meno nota, fino a diventare inaccessibile, a causa della prassi della segretezza invalsa in ambito ecclesiastico e dell’indifferenza degli uomini.

Il kriya yoga è menzionato due volte dall’antico saggio Patanjali, massimo esponente dello yoga, il quale ha scritto: “Il kriya yoga comprende la disciplina del corpo, il controllo della mente e la meditazione sull’Aum”. In questo passo Patanjali identifica Dio con il suono cosmico di Aum che si si ode nella meditazione. Aum è la Parola o il Verbo della creazione, il rombo del motore vibratorio, il testimone della presenza divina. Anche lo yogi principiante può percepire be presto il suono meraviglioso di Aum. Questo sublime incoraggiamento spirituale gli dà la certezza di essere in comunione con i regni celesti.

Patanjali si riferisce nuovamente alla tecnica kriya, ovvero al controllo della forza vitale, quando afferma: “Si può raggiungere la liberazione mediante quel pranayama che si ottiene separando il fluire dell’inspirazione e dell’espirazione”.

San Paolo conosceva il kriya yoga o una tecnica simile, che gli consentiva di inviare le correnti vitali nei sensi o di ritirarle da essi. Per questo poteva dire: “Io dichiaro per la nostra gioia che ho in Cristo, io muoio ogni giorno”. Grazie a un metodo che permette di concentrare interiormente tutta la forza vitale (che di solito è rivolta solo all’esterno, verso il mondo dei sensi, e così facendo attribuisce alla materia la sua apparente veridicità), san Paolo viveva ogni giorno una vera unione yogica con la ʻgioiaʼ (la beatitudine) della coscienza cristica. In questo stato di felicità egli era consapevole di essere ʻmortoʼ per il mondo di maya, ossia liberato dall’illusione dei sensi.

Nello stato iniziale di comunione con Dio (sabikalpa samadhi), la coscienza del devoto si fonde con lo Spirito cosmico; la forza vitale si ritira dal corpo, che appare come ʻmortoʼ, cioè immobile e rigido. Lo yogi è pienamente consapevole dello stato di animazione sospesa in cui si trova il suo corpo. Progredendo verso gli stati spirituali più elevati (nirbikalpa samadhi), egli tuttavia riesce a entrare in comunione con Dio senza alcune rigidità corporea, nel normale stato di veglia della coscienza, e persino mentre continua a svolgere impegnative mansioni terrene.

“Il kriya yoga è uno strumento che permette di accelerare l’evoluzione umana”, spiegava Sri Yukteswar ai suoi allievi. “Nell’antichità, gli yogi scoprirono che il segreto della coscienza cosmica è intimamente legato al controllo del respiro. Questo è l’impareggiabile e immortale contributo con cui l’India ha arricchito il patrimonio di conoscenza dell’umanità. La forza vitale, che normalmente è impegnata a sostenere l’azione del cuore, deve essere liberata dalle sue funzioni inferiori per svolgere attività più elevate, grazie a un metodo che rallenta e infine arresta le incessanti sollecitazioni del respiro”.

Il kriya yogi dirige mentalmente la propria energia vitale, facendola ruotare verso l’alto e verso il basso, attorno ai sei centri spinali (i plessi midollare, cervicale, dorsale, lombare, sacrale e coccigeo) che corrispondono ai dodici segni astrali dello zodiaco, il simbolico uomo cosmico. Mezzo minuto di rotazione dell’energia intorno al sensibile midollo spinale dell’uomo determina un sottile progresso nella sua evoluzione; mezzo minuto di kriya equivale a un anno di sviluppo spirituale naturale.

L’organismo astrale dell’essere umano, con sei costellazioni interiori (dodici per polarità) che ruotano intorno al sole dell’onnisciente occhio spirituale, è in correlazione con il sole fisico e con i dodici segni dello zodiaco. Tutti gli esseri umani subiscono così l’influenza di un universo interiore e di uno esteriore. Gli antichi rishi scoprirono che sia l’ambiente terreno sia quello celeste fanno progredire l’uomo sul suo sentiero naturale, in cicli di dodici anni. Secondo le scritture è necessario un milione di anni di normale evoluzione esente da malattie perché l’uomo possieda un cervello che ha pienamente sviluppato le sue potenzialità e possa raggiungere la coscienza cosmica.

Mille kriya eseguiti in otto ore e mezza equivalgono a mille anni di evoluzione naturale, che lo yogi raggiunge in un solo giorno; 365.000 anni di evoluzione in un anno. In tre anni, un kriya yogi può così ottenere, in virtù del proprio impegno volontario e consapevole, lo stesso risultato che la natura permette di conseguire in un milione di anni. Beninteso, solo gli yogi altamente progrediti possono seguire questa scorciatoia del kriya. Sotto la guida di un guru, essi hanno accuratamente preparato il corpo e la mente a sopportare l’energia generata da una pratica intensiva.

Il principiante esegue la tecnica kriya solo da quattordici a ventiquattro volte, due volte al giorno. Più di uno yogi giunge alla liberazione in sei, dodici, ventiquattro o quarantotto anni. Lo yogi che muore prima di aver ottenuto la completa realizzazione porta con sé il buon karma creato dall’impegno con cui ha praticato il kriya. Nella nuova vita sarà naturalmente sospinto verso la sua
mèta infinita.

Il corpo dell’uomo comune è come una lampadina da cinquanta watt, che non può sostenere l’energia di miliardi di watt generati da una pratica estrema del kriya. Seguendo il semplice e infallibile metodo del kriya e intensificando la pratica della tecnica in modo graduale e regolare, il corpo umano subisce giorno per giorno una trasformazione astrale, e alla fine sarà in grado di manifestare le potenzialità infinite dell’energia cosmica, che costituisce la prima espressione dell’azione dello Spirito nel mondo materiale.

Il kriya yoga non ha nulla in comune con quegli esercizi di respirazione privi di fondamento scientifico che sono insegnati da tanti fanatici malinformati. I tentativi di trattenere a forza il respiro nei polmoni sono innaturali e decisamente spiacevoli. La pratica del kriya, invece, è accompagnata fin dall’inizio da un sentimento di pace e da sensazioni di benessere, suscitate dall’effetto rigenerante del kriya sulla spina dorsale.

Questa antica tecnica yoga trasforma il respiro in sostanza mentale. L’evoluzione spirituale consente di percepire il respiro come un concetto mentale, un atto della mente: un respiro di sogno.

Esiste un rapporto matematico fra il ritmo con cui l’uomo respira e le variazioni dei suoi stati di coscienza; sono molti gli esempi che si potrebbero portare a riguardo. Quando una persona è completamente concentrata su qualcosa, ad esempio quando cerca di seguire una complicata argomentazione intellettuale o di compiere un’attività fisica che richiede accuratezza o impegno, il suo respiro rallenta automaticamente. Per riuscire a concentrarci dobbiamo respirare lentamente; a una respirazione rigida o irregolare si accompagnano inevitabilmente stati emotivi dannosi, come la paura, la concupiscenza, la collera. La scimmia, solitamente irrequieta, in un minuto respira trentadue volte, a differenza dell’uomo che in media respira diciotto volte. L’elefante, la tartaruga, il serpente e altre creature note per la loro longevità, hanno un ritmo respiratorio più lento di quello umano. Per esempio, la tartaruga gigante, che può vivere fino a 300 anni, respira solo quattro volte
al minuto.

Gli effetti rigeneranti del sonno sono dovuti al fatto che l’uomo in quel lasso di tempo non è consapevole del corpo e del respiro. Quando dorme, l’uomo diventa uno yogi; ogni notte compie inconsciamente il rito yogico di liberarsi dall’identificazione con il corpo e di fondere la forza vitale con le correnti risanatrici della regione cerebrale, che è la dinamo principale, e delle sei dinamo ausiliarie dei centri spinali. Inconsapevolmente, mentre dorme, si ricarica dell’energia cosmica che sostiene ogni forma di vita.

Durante la sua pratica, lo yogi attua consciamente questo processo semplice e naturale, e non inconsciamente come colui che nel sonno rallenta i processi fisiologici. Il kriya yogi usa la sua tecnica per saturare e nutrire di luce imperitura tutte le cellule del corpo, mantenendole così in uno stato di magnetizzazione spirituale. Egli rende superfluo il respiro in modo scientifico, senza tuttavia entrare (durante l’esecuzione della tecnica) negli stati negativi del sonno, dell’incoscienza o della morte.

Negli uomini soggetti a maya, o legge naturale, il flusso dell’energia vitale è diretto verso il mondo esterno; accade così che le correnti si consumano e si sprecano nell’attività sensoriale. La pratica inverte la loro direzione; la forza vitale viene mentalmente guidata verso l’universo interiore, dove si riunisce alle sottili energie spinali. Con questo potenziamento della forza vitale, il corpo e le cellule cerebrali dello yogi sono rinnovati da un elisir spirituale.

Grazie al cibo adatto, alla luce del sole e all’armonia della mente, coloro che si lasciano guidare unicamente dalla natura e dal suo disegno divino potranno raggiungere la realizzazione del Sé in un milione di anni. Occorro dodici anni di una vita normale e sana per realizzare anche un lieve miglioramento nella struttura cerebrale, ed è necessario un milione di cicli solari per purificare la dimora del cervello tanto da renderlo capace di manifestare la coscienza cosmica. Il kriya yogi, tuttavia, potendo avvalersi di una scienza spirituale, è in grado di sottrarsi per un lungo periodo alla necessità di osservare scrupolosamente le leggi naturali.

Liberando l’anima dal legame del respiro che la tiene avvinta al corpo, il kriya permette di prolungare la vita e di espandere la coscienza nell’infinito. Questa tecnica yoga pone fine all’eterno conflitto fra la mente e i sensi assoggettati alla materia, e fa sì che il devoto sia libero di rientrare in possesso del suo regno eterno. Egli comprende allora che la sua vera natura non dipende né dall’involucro fisico né dal respiro, questo simbolo della schiavitù dell’essere umano all’aria e alle coercizioni degli elementi della natura.

Ormai padrone del corpo e della mente, il kriya yogi riporta infine la vittoria sull’ʻultimo nemicoʼ, la morte.

Così ti nutrirai di morte, che degli uomini si nutre:
E, morta la morte, non vi sarà più il morire.
(W. Shakespeare, sonetto 146)

L’introspezione, ossia il ʻraccoglimento nel silenzioʼ, è un metodo privo di rigore scientifico per tentare di separare la mente dai sensi, legati insieme dalla forza vitale. La mente contemplativa che cerca di riunirsi alla divinità viene continuamente ricondotta verso i sensi dalle correnti vitali. Il kriya, che controlla la mente direttamente attraverso la forza vitale, è la via più facile, più efficace e più scientifica per raggiungere l’Infinito. A differenza del sentiero della teologia, paragonabile a un lento e incerto ʻcarro a buoiʼ, il kriya yoga può essere giustamente chiamato la ʻvia aereaʼ verso Dio.

La scienza dello yoga si fonda sulla sperimentazione di ogni tipo di tecnica di concentrazione e di meditazione. Lo yoga permette al devoto di attivare o disattivare a suo piacimento la corrente vitale dei sensi, i cinque ʻtelefoniʼ della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto e del tatto. Per lo yogi che ha acquisito questa facoltà di disattivazione sensoriale, è semplice unire la mente, a sua scelta, ai reami divini oppure al mondo della materia. Non è più costretto dalla sua forza vitale a ritornare suo malgrado nella sfera terrena delle sensazioni turbolente e dei pensieri irrequieti.

La vita di un kriya yogi evoluto non subisce l’influenza delle azioni compiute nel passato, ma si fa guidare soltanto dai dettami dell’anima. In questo modo il devoto si sottrae ai consigli e agli ammonimenti impartiti da una lenta evoluzione naturale, che opera attraverso le azioni egoistiche, buone o cattive, dell’esistenza comune: un cammino, questo, troppo tortuoso e lento, degno di una lumaca, per chi invece possiede un cuore d’aquila.

Questo modo spiritualmente elevato di condurre la propria vita rende lo yogi libero; uscendo dalla prigione dell’ego, egli assapora l’aria purissima dell’onnipresenza. La schiavitù della vita naturale impone invece un ritmo umiliante. Conformando la propria vita unicamente all’ordine evolutivo, l’uomo non può pretendere che la natura gli concede di accelerare il suo cammino. Pur vivendo senza contravvenire alle leggi che governano il suo corpo e la sua mente, dovrà comunque indossare le molteplice maschere delle incarnazioni per un milione di anni, prima di raggiungere l’emancipazione finale.

Coloro che guardano con orrore alla prospettiva di attendere un milione di anni dovrebbero quindi adottare i lungimiranti metodi dello yogi, che si libera dall’identificazione con il corpo e con la mente per diventare una cosa sola con l’anima. Il numero di anni di attesa cresce ulteriormente per l’uomo comune, che non vive in armonia neanche con la natura, oltre che con la propria anima, e va invece in cerca di complicazioni innaturali, turbando con la mente e con il corpo i delicati equilibri della natura. Per lui due milioni di anni saranno appena sufficienti per raggiungere la liberazione.

La persona materialista si rende conto raramente, o forse mai, che il suo corpo è un regno governato dall’anima sovrana, che siede sul trono del cervello, coadiuvata dai reggenti ausiliari, i sei centri spinali o sfere di coscienza. Questa teocrazia governa una moltitudine di sudditi ubbidienti: ventisettemila miliardi di cellule (che sono dotate di indubbia, per quanto apparentemente involontaria, intelligenza, mediante la quale assolvono a tutte le funzioni dell’organismo, ossia lo sviluppo, la trasformazione e la dissoluzione) e un substrato di cinquanta milioni di pensieri, emozioni e stati di coscienza variabili, soggetti a fasi alterne durante una vita media di sessant’anni.

Ogni apparente insurrezione del corpo o della mente contro l’anima sovrana, che si manifesti sotto forma di malattia o di irrazionalità, non è dovuta alla slealtà degli umili sudditi, ma all’uso improprio che l’uomo ha fatto, nel passato o nel presente, della propria individualità, ovvero del libero arbitrio, dono inalienabile ricevuto nel momento stesso in cui fu dotato di un’anima.

Identificandosi con un ego superficiale, l’uomo dà per scontato di essere lui a pensare, volere, sentire, digerire e mantenersi in vita, senza mai riconoscere (anche se gli basterebbe solo un momento di riflessione) che nella sua vita di ogni giorno non è che un burattino manovrato dalle azioni compiute nel passato (karma), dalla natura o dall’ambiente. In ogni uomo, i processi cognitivi, i sentimenti, gli stati d’animo e le abitudini sono semplicemente effetti di cause da ricercare nel passato, in questa vita o in una precedente. La sua anima regale rimane tuttavia ben al di sopra di tali influenze. Disdegnando le verità e le libertà effimere, il kriya yogi oltrepassa lo stadio della disillusione per raggiungere l’assoluta libertà del proprio essere. L’uomo, dichiarano le scritture di tutto il mondo, non è un corpo corruttibile, ma un’anima vivente; nel kriya yoga egli trova un metodo che permette di dimostrare quanto affermano le scritture.

“I riti esteriori non possono sconfiggere l’ignoranza, perché non c’è incompatibilità fra gli uni e l’altra”, disse Shankara nel suo famoso Century of Verses. “Soltanto la vera conoscenza può sconfiggere l’ignoranza... La conoscenza non si può acquisire se non ponendosi degli interrogativi. ʻChi sono io? Com’è nato l’universo? Chi lo ha creato? Qual è la sua causa materiale?ʼ. Questo è il genere di domande cui mi riferisco”. L’intelletto non trova risposte a tali domande; per questo motivo i rishi hanno elaborato la tecnica di ricerca spirituale dello yoga.

Il vero yogi, che richiama a sé i pensieri, la volontà e i sentimenti impedendone la falsa identificazione con i desideri del corpo, e unisce la mente alle forze supercoscienti dei santuari spinali, vive nel mondo in armonia con il disegno divino; egli non subisce né le costrizioni degli impulsi provenienti dal passato né quelle imposte dai nuovi bisogni generati dalla stoltezza umana. Avendo esaudito il supremo desiderio, è ormai salvo nel porto finale dell’inesauribile beatitudine dello Spirito.

Riferendosi all’efficacia sicura e sistematica dello yoga, Krishna elogia lo yogi che pratica le tecniche con queste parole: “Lo yogi è più grande degli asceti che disciplinano il corpo, più grande persino di coloro che seguono il sentiero della saggezza (jnana yoga) o il sentiero dell’azione (karma yoga); sii tu, mio discepolo Arjuna, uno yogi!”.

Il kriya yoga è il vero ʻrito del fuocoʼ spesso esaltato nella Gita. Lo yogi getta i suoi desideri terreni in un monoteistico rogo consacrato al Dio incomparabile. Questa è la vera cerimonia yogica del fuoco, in cui tutti i desideri presenti e passati sono il combustibile che, consumandosi, fa ardere la fiamma dell’amore divino. L’ultima fiamma accoglie in sacrificio tutta l’umana folla, liberando finalmente l’uomo da ogni impurità. Con le ossa ormai metaforicamente spoglie della carne e dei suoi desideri, con lo scheletro karmico esposto al sole della saggezza, che lo rende candido, purgato da ogni contaminazione, non più in grado di offendere né l’uomo né il Creatore, egli è finalmente puro.


– da “Autobiografia di uno Yogi” di Paramahansa Yogananda


martedì 29 novembre 2011

La luce interiore: tributo a George Harrison





The Beatles - Within You Without You (traduzione)

Dentro di te, Senza di te


Parlavamo delle distanze tra noi tutti
E della gente che si nasconde dietro un muro di illusione
Non intravede mai la verità
Poi è troppo tardi, quando muoiono

Parlavamo dell'amore che noi tutti potremmo condividere
Quando lo troviamo, dobbiamo fare del nostro meglio per tenerlo lì
Con il nostro amore, con il nostro amore potremmo salvare il mondo
Se solo sapessero

Cerca di capire che è tutto dentro di te
Nessun altro ti può far cambiare
E a vedere che sei davvero molto piccolo
E la vita scorre dentro di te e senza di te

Parlavamo dell'amore che è diventato così freddo
E della gente che conquista il mondo e perde la propria anima
Non sanno, non vedono
Sei uno di loro?

Quando vedi oltre te stesso
Puoi trovare la pace della mente lì che ti aspetta
E verrà il tempo in cui capirai che siamo tutti uno
E la vita scorre dentro di te e senza di te



The Beatles - The Inner Light (traduzione)

La luce interiore


Senza uscire di casa
Posso conoscere tutte le cose della Terra
Senza guardar fuori dalla finestra
Potrei conoscere le vie del Cielo

Più lontano si viaggia
Meno si conosce
Meno si conosce veramente

Senza uscire di casa
Potete conoscere tutte le cose della Terra
Senza guardar fuori dalla finestra
Potreste conoscere le vie del Cielo

Più lontano si viaggia
Meno si conosce
Meno si conosce veramente

Arriva senza viaggiare
Vedi tutto senza guardare
Fai tutto senza fare


sabato 19 novembre 2011

La vera essenza del sufismo



Quanti si accostano alle espressioni del sufismo o alle esposizioni che ne sono state fatte, possono trovarsi di fronte a due forme del tutto differenti fra di loro, corrispondenti alle due correnti determinate dai modi di sentire il sufismo stesso.

La prima corrente che potremmo definire “informale”, di natura esoterica e iniziatica con tendenza trascendentale, considera della massima importanza l’evoluzione psichica del Sé a prescindere dai mezzi con i quali la si può ottenere. È pertanto libera da schemi e da limitazioni specifiche, quali l’appartenenza dell’allievo alla religione musulmana, la conoscenza obbligatoria della lingua araba, il rigorismo formale dell’organizzazione in Ordini riconosciuti. Perciò ingloba tutte le vie per l’evoluzione dal Molteplice all’Uno, considerandone le varietà come necessari adattamenti ambientali. Ogni individuo, a prescindere da razza e religione, può avviarsi sul cammino dell’illuminazione liberandosi da qualsiasi limitazione. Pertanto il sufismo stesso non potrà venir confinato nel cerchio di una tradizionalità legittimante, o nell’ambito di una cultura e di un periodo storico. Le citazioni che traggo, ad esempio, da testi di Idries Shah, riguardano questo aspetto del sufismo.

La seconda corrente è ortodossa e storicistica. Per essa la forma esteriore e la programmazione tradizionale sono inalienabili. È sufi solamente colui che viene iniziato in un Ordine regolare; e il sufismo viene considerato il “midollo della religione islamica”. Annovera fra gli adepti anche dei fanatici, e fra questi non pochi persianofili. A volte però serve ad equilibrare il pericolo di una eccessiva libertà in cui può incorrere la corrente precedente (molti europei che hanno studiato il sufismo, hanno considerato solo l’aspetto proposto da questa corrente). Le citazioni che traggo, ad esempio da Seyyd Hossein Nasr si riferiscono a questo secondo modo di vedere.

[...]

Parrebbe così che vi possano essere due sufismi (e ognuno avrebbe a sua volta due aspetti): uno tradizionale, la cui storia è descrivibile rintracciandone le fonti, cui in generale si attengono quanti non hanno in realtà compenetrato il messaggio sufico; e uno di fuori dalla realtà storica e dalla tradizione, ed è forse ciò che l’umanità va cercando da sempre.

[...]

A ben guardare, tutto ciò divide: confraternite legittime e non legittime, d’Oriente e d’Occidente, settarismi e disposizioni classiste ed elitarie. Eppure l’essenza del sufismo mira a far capire che non debbono sussistere suddivisioni o differenze tra spirito in cammino e altri spirito in cammino, dal momento che tutti – presto o tardi – giungeranno ad una medesima meta. Nessuna costrizione a regole, che sempre si rivelano effimere!

E allora? Allora le fazioni sono l’aspetto esteriore. Una specie di frontiera oltre la quale transitano gli adepti validi; alla quale si fermano i “falsi maestri”, gli “allievi non realizzati”, quanti insomma si limitano ai formalismi esteriori e non hanno ancora afferrato la vera essenza del sufismo. È anche questa una prova, uno dei molti modi per vagliare le possibilità del postulante.

Per altro chi è sulla Via è in marcia, ma chi potrà mai dire d’essere arrivato?

Rimane comunque il fatto che l’essenza del sufismo non è un’etichetta, un atteggiamento; bensì uno stato dell’essere, un modo di vivere alla ricerca dell’Evoluzione del sé verso l’infinito essenziale. Entrambe le correnti precitate concordano nel definire il sufismo come “l’unità trascendente delle religioni”, intendendo con il termine di “religione” non un sottobosco di prevaricazioni, politicizzazioni, atti in violento contrasto morale e materiale con i princìpi stessi della fede. Poche persone sono in grado di pensare in termini di “fede”, di accettare che il prossimo creda con espressioni di fede differenti dalle proprie. Non sono poche le sétte religiose che si arrogano il diritto di avere il monopolio esclusivo di Dio. Ogni essere umano che non fa parte della loro sétta, sia egli anche uno spiritualista eminente, non viene accettato, e in altri tempi non veniva nemmeno lasciato vivere.

A questo proposito il sufi racconta una novelletta, che troverete in molti manuali d’Oriente variamente narrata:

Cinque uomini che compivano il pellegrinaggio alla Mecca s’erano incontrati strada facendo, percorreva insieme il cammino. Ad un certo momento trovarono per terra una moneta d’oro, e decisero di comperare qualcosa da mangiare.
«Io penserei a dell’angur», disse il persiano.
«No, prendiamo dell’uzum», replicò il turco.
«Io voglio dell’inab», tranciò l’arabo.
«Macché – soggiunse il greco – noi faremmo bene a comperare dello stafil».
«Niente! O prendiamo dello shvakh o me ne vado», urlò il mongolo.
Ne sorse una disputa, che degenerò presto in una lite. In quel mentre passava di lì un vecchio saggio, e i cinque si appellarono a lui. Gli spiegarono l’origine del contrasto, e quegli disse:
«Venite con me da un fruttivendolo, e io accontenterò tutti voi». Infatti comperò dell’uva, e i pellegrini allegramente lo ringraziarono. Infatti tutti e cinque volevano la stessa cosa, ma la chiamavano con i termini della propria lingua.

Così è necessario che colui che desidera giungere alla piena Realizzazione del Sé capisca anzitutto che i concetti di base sono tutti unici, e che non v’è differenziazione nelle varie razze, culture, religioni. Deve cioè sentirsi libero da etichette, settarismi, schemi, pretesti (consci o inconsci) politici e religiosi con i quali tende a dar libero sfogo alle proprie negatività. Deve essere libero da desideri, paure, ansie, superstizioni, angosce... Libero da limiti e costrizioni. Libero, vivendo però la vita d’ogni giorno, non rifugiandosi asceticamente in un mondo di rinuncia fobica o psicotica.

Così i sufi operano nel mondo, pur essendone ormai del tutto staccati; ed a questo mondo forniscono una carica vitale utile in molti e molti campi, dalla medicina all’arte, dalla ricerca al misticismo.

Allora – mi si dirà – i sufi sono semplicemente quei santi, scienziati, legislatori, artisti o governanti, che godono della stima universale. No!: pochi sufi sono stati applauditi in vita, né l’hanno voluto; alcuni anzi sono stati osteggiati, accusati, condannati alla tortura o alla morte; e in effetti a nessun vero maestro importò mai l’opinione dei contemporanei, nonché ogni altro ciarpame transitorio del mondo. Un maestro sufi, uno dei maggiori anche, può vestire abiti dimessi o ricchi, può essere tanto un eminente scienziato quanto un ignoto artigiano. Non è ciò che si vede quel che conta. Chi è davvero ricco non ha bisogno di dimostrarlo; ma chi è saggio sa anche che è saggio non dimostrarlo. Non sempre d’altronde si opera bene insegnando la Conoscenza a tutti. Nizâm adDîn Awliyâ’ († 1323), una delle figure più importanti della Chishtiyya, disse: «I re possono nascondere i loro tesori in due posti. Il primo, ovvio, è la camera del tesoro, robusta sì, ma che, oggetto delle mire altrui, può venire in molti modi depredata. Il secondo, più sicuro, è sotto una catapecchia in rovina, dove a nessuno verrebbe mai in mente di cercarlo».

Così, se chiederete a un sufi perché – pur vivendo in una società e quindi profittandone – non svela tutti i misteri che è giunto a penetrare; perché non li divulga in modo semplice o non semplifica il proprio modo di insegnare, probabilmente vi sentirete raccontare, a mo’ di risposta, la storielletta di Nasruddin che, sorpreso dai suoi compaesani a gettare del denaro in uno stagno, rispose loro: «Faccio così perché ieri stavo quasi per essere buttato in acqua dal mio asino che stava scivolando, quando le rane, con il loro improvviso gracidio, lo spaventarono, sicché per la paura si rimise in piedi, e io fui salvo. Perciò ricompenso le rane gettando loro del denaro».

Appunto: che se ne fanno le rane del denaro? Per questo il sufi nasconde piuttosto il suo tesoro, e non si lascia scegliere come maestro da chi vuole diventare suo allievo, ma è lui che sceglie l’allievo. E non perché si considera “superiore”, bensì perché è differente da quanti operano secondo condizionamenti appresi.


– da “Il sufismo vertice della piramide esoterica”
di Gabriele Mandel



domenica 6 novembre 2011

La maturità è una rinascita spirituale



Maturità vuol dire riconquistare la tua intelligenza perduta, rivendicare il tuo paradiso, tornare a essere un bambino. Naturalmente non allo stesso modo, perché il bambino comune è destinato a corrompersi: quando recuperi la tua infanzia, diventi incorruttibile. Nessuno può corromperti, perché ora sei diventato intelligente: sai ciò che ti ha fatto la società, e sarai attento e consapevole che la cosa non si ripeta, non lo permetterai più.

La maturità è una rinascita, una rinascita spirituale. Torni a essere un bambino, cominci a guardare l’esistenza con occhi freschi; ti avvicini alla vita con l’amore nel cuore; penetri nel tuo centro più profondo con silenzio e innocenza. Non sei più confinato alla testa, ora è al tuo servizio, la usi. Come prima cosa diventi il cuore, poi trascendi anche quello. Andare oltre i pensieri e i sentimenti, e diventare pura entità, è maturità. La maturità è la fioritura suprema della meditazione.

Una volta Gesù si trovava sulla piazza del mercato e qualcuno gli chiese: “Chi è degno di entrare nel Regno di Dio?”.

Si guardò intorno: c’era un rabbino, che si deve essere fatto un po’ avanti pensando di essere il prescelto, ma così non fu. C’era l’uomo più virtuoso della città, il moralista, il puritano; si fece un po’ avanti sperando di venire indicato, ma così non fu.

Si guardò intorno: vide un piccolo bambino che non si era mosso di un centimetro, perché non si aspettava di venir chiamato. Era inimmaginabile che fosse chiamato; stava semplicemente godendosi la scena, ascoltando Gesù che parlava alla gente.

Gesù chiamò il bambino, lo prese in braccio e disse alla folla: “Solo chi è come questo bambino è degno di entrare nel Regno di Dio”.

Ricorda, disse: “Solo chi è come questo bambino...”. Non: “Chi è un bambino...”; la differenza è enorme. Non ha detto: “Questo bambino entrerà nel Regno di Dio”, perché è inevitabile che tutti i bambini si perdano e si corrompano. È inevitabile che ogni Adamo e ogni Eva siano cacciati dal giardino dell’Eden e si perdano. L’unico modo di riconquistare la vera infanzia è perderla. È molto strano, ma è così che funziona la vita; è paradossale, ma la vita è un paradosso. Per conoscere la bellezza autentica della tua infanzia la devi prima perdere, altrimenti non la conoscerai mai.

Il pesce ignora completamente dove sia il mare, a meno che tu non lo tiri fuori dall’acqua e lo metti sulla sabbia, al sole rovente. Lì egli saprà dov’è il mare. Lo desidererà, farà ogni sforzo per tornarvi, salterà nell’acqua. È lo stesso pesce e al tempo stesso non lo è più. È lo stesso mare e al tempo stesso non lo è più, perché il pesce ha imparato una nuova lezione. Adesso è consapevole: “Questo è il mare e questa è la mia vita. Senza di esso io non esisto più, poiché sono una sua parte”.

Tutti i bambini devono perdere la propria innocenza e riconquistarla. Perderla è solo metà del processo. Molti l’hanno persa, ma pochissimi l’hanno riconquistata. Questa è una sfortuna enorme, un’autentica disgrazia. Tutti la perdono, ma raramente un Buddha, uno Zarathustra, un Krishna o un Gesù la riconquistano.

Gesù non è altri che Adamo che torna a casa. Maddalena non è altri che Eva che torna a casa. Sono usciti dal mare e hanno conosciuto la miseria e la stupidità. Hanno visto che non c’è felicità fuori dal mare.

Quando diventi consapevole che appartenere a una religione, a una cultura o a una società vuol dire restare infelici e prigionieri, in quello stesso giorno cominci a sciogliere le tue catene. La maturità sta arrivando; stai recuperando la tua innocenza.

I bambini non sono santi, ma i santi – quelli veri – sono bambini. Il bambino possiede la stessa qualità, ma ne è inconsapevole. E che senso ha avere qualcosa se non ne sei consapevole? Potresti essere proprietario di un grande tesoro e non saperlo: sarebbe come se non lo avessi. Averlo o non averlo non farebbe differenza.

Un uomo ricchissimo era molto confuso perché per tutta la vita si era sforzato di diventare ricco e finalmente ce l’aveva fatta. Era diventato l’uomo più ricco del pianeta, ma non era felice. Pensava che bastasse diventare ricchi per essere felici, e si sentiva molto frustrato, com’è destino di tutte le persone di successo: allora cominciò ad andare in giro alla ricerca di un saggio che lo aiutasse a raggiungere la felicità.

Qualcuno gli suggerì un Maestro sufi. Egli si recò da lui su uno splendido cavallo e con una borsa carica di diamanti, forse i più preziosi del mondo. Disse al Maestro: “Possiedo tutti questi brillanti, ma non una goccia di felicità. Come posso ottenerla? Puoi aiutarmi?”.

Il Maestro fece un balzo, afferrò la borsa e scappò via: il ricco non credeva ai propri occhi. Lo inseguì piangendo e urlando: “Sono stato derubato! Mi hanno ingannato! Quest’uomo non è un Maestro, ma un ladro! Prendetelo!”.

Il Maestro conosceva a perfezione le strade, le vie e i vicoli di quel villaggio, e riuscì a seminare il ricco, che, non avendo mai inseguito nessuno, si trovava in difficoltà. Una folla cominciò ad andargli dietro: conoscevano il Maestro sufi e i suoi strani metodi.

Alla fine fecero ritorno all’albero sotto il quale il ricco aveva trovato seduto il Maestro: vi ritrovarono il Maestro, insieme alla borsa. Il ricco si fece avanti e il Maestro gliela ridiede; l’uomo se la portò al cuore, dicendo: “Sono così felice di aver ritrovato il mio tesoro perduto!”.

Il Maestro disse: “Hai avuto un assaggio della felicità? Se non la perdi non puoi sentirne il sapore. Io te l’ho fatta perdere... questo è il modo di assaporare la beatitudine: perdere qualcosa”.

Se riesci a perdere il tuo ego, otterrai te stesso, ciò che il Buddha chiama il non-sé. Lo chiama non-sé per la semplice ragione che non è più il tuo ego: non ne conserva neppure l’ombra. Perdi l’ego e otterrai il Sé, o non-sé; perdi la mente e otterrai la consapevolezza; muori al passato e rinasci la presente: così otterrai la maturità.

Maturità è vivere nel presente, pienamente vigile e consapevole della bellezza e dello splendore dell’esistenza.


– da “La via del cuore” di Osho


lunedì 31 ottobre 2011

Voglio vederti danzare




Voglio vederti danzare - Franco Battiato


Voglio vederti danzare
come le zingare del deserto
con candelabri in testa
o come le balinesi nei giorni di festa

Voglio vederti danzare
come i Dervisches Tourneurs
che girano sulle spine dorsali
o al suono di cavigliere del Kathakali

E gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza, danza
e gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza

E Radio Tirana trasmette
musiche balcaniche, mentre
danzatori bulgari
a piedi nudi sui braceri ardenti

Nell'Irlanda del nord
nelle balere estive
coppie di anziani che ballano
al ritmo di sette ottavi

E gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza, danza
E gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza

Nei ritmi ossessivi la chiave
dei riti tribali
regni di sciamani
e suonatori zingari ribelli

Nella Bassa Padana
nelle balere estive
coppie di anziani che ballano
vecchi valzer viennesi


giovedì 20 ottobre 2011

Conoscenza di sé e meditazione



Jiddu Krishnamurti


L’altro giorno, quando ci siamo incontrati qui, parlavamo della necessità di una rivoluzione totale – una rivoluzione che fosse insieme interiore ed esteriore. Dicevamo che l’ordine è essen­ziale per avere la pace nel mondo; ordine non solo esteriore ma soprattutto interiore. Tale ordine non è mera routine. L’ordine è una entità vivente che non può determinarsi mediante la mera intellezione, mediante le ideologie, con svariate forme di comportamento coercitivo. Dicevamo anche che il pensiero, che è stato il vecchio, non può funzionare senza il modello che ha instaurato nel passato. Il pensiero è sempre il vecchio. Il pensiero non può assolutamente fare ordine, perché l’ordine, come dicevamo, è una entità vivente. Ed è il pensiero che ha arrecato disordine nel mondo.

L’abbiamo approfondito, credo, a sufficienza l’altro giorno. Dicevamo che dobbiamo considerare non che cosa è l’ordine, ma piuttosto che cosa arreca disordine. Perché nel momento in cui siamo in grado di capire che cos’è il disordine, di perce­pirlo davvero e di vedere, non solo intellettualmente ma effet­tivamente, l’intera struttura del disordine, allora, nella com­prensione totale di quel disordine, verrà l’ordine.

Penso sia importante comprendere questo punto. Poiché la maggior parte di noi ritiene che l’ordine possa essere determi­nato con la ripetizione e che, se potete recarvi in ufficio per i prossimi quarant’anni, essere un ingegnere o uno scienziato che opera nell’ambito di una routine, state apportando l’ordi­ne. Ma la routine non è ordine: la routine ha generato il disor­dine. Abbiamo disordine sia esternamente sia internamente. Penso non ci siano dubbi al riguardo. C’è un caos generale, sia all’esterno, sia all’interno. L’uomo brancola nella ricerca di una via d’uscita da questo caos, chiedendo, domandando, ri­cercando nuovi capi; e se riesce a trovare un nuovo leader, po­litico o religioso, lo seguirà. Vale a dire che l’uomo è disposto a seguire una routine instauratasi meccanicamente, uno scopo, un sistema.

Ma quando si osserva il modo in cui questo disordine si è ori­ginato, si vede che dovunque ci sia stata autorità, specialmente autorità interiore, il disordine è inevitabile. Si accetta l’autorità interiore di un altro, di un insegnante, di un guru, di un libro, e via dicendo. Vale a dire che, seguendo un altro – i suoi precetti, i suoi detti, i suoi comandi e la sua autorità – si spera di determinare l’ordine entro di sé in modo meccanico. Per avere la pace, l’ordine è necessario. Ma l’ordine che noi creiamo nel ricercare o nel seguire un’autorità genera il disordine. Potete osservare ciò che sta avvenendo nel mondo, in special modo in questo paese, dove regna ancora l’autorità, dove l’autorità interna, l’esigenza, l’impulso di seguire qualcuno è fortissimo e fa parte della tradizione, della cultura. Ecco perché vi sono tanti àsrama, grandi o piccoli, che sono veri e propri campi di concentramento. Poiché lì vi si dice esattamente cosa fare. C’è l’autorità dei cosiddetti leader spirituali. E come in tutti i campi di concentramento, cercano di distruggervi, di modellarvi in un nuovo stampo. I comunisti in Russia, i regimi dittatoriali, creano dei campi di concentramento per mutare l’opinione, il modo di pensare, per forzare la gente. Ed è esattamente ciò che sta accadendo. Più c’è caos nel mondo più sorgono i co­siddetti àsrama, che sono sostanzialmente campi di concentramento per raggirare le persone, per plasmarle, per costringerle entro certi modelli, promettendo loro un futuro meraviglioso. E gli stolti lo accettano. Accettano perché in tal modo hanno una sicurezza psicologica. Il capo, il commissario, il guru, l’au­torità dice loro esattamente cosa fare; ed essi lo faranno di buon grado, perché è stato loro promesso il paradiso, o chec­chessia e, nel frattempo, ne ricavano una sicurezza fisica. Que­sto tipo di obbedienza meccanica – qualsiasi obbedienza è meccanica – provoca un grande disordine, come si deduce dalla storia e dai casi quotidiani della vita.

Così, per la comprensione del disordine, vanno comprese le cause del disordine. La causa primaria del disordine è il perse­guimento o la ricerca di una realtà che qualcun altro promette. Dato che la maggior parte di noi si trova nella confusione, nell’agitazione, preferiamo seguire meccanicamente qualcuno che ci assicurerà una comoda vita spirituale. E una delle cose più singolari è che, politicamente, ci si opponga alla tirannia, alla dittatura. Più la gente è liberale, civilizzata, libera e più aborre, detesta la tirannia, politicamente ed economicamente; tuttavia, interiormente accetterebbe l’autorità, la tirannia altrui. Vale a dire, distorciamo le nostre menti, i nostri pensieri e il nostro modo di vivere, per adattarci a un certo modello stabilito da qualcuno come la via che conduce alla realtà. Quando lo faccia­mo, stiamo distruggendo la chiarezza, perché la chiarezza o la luce deve essere scoperta da sé, non per mezzo di qualcun altro, non attraverso un libro, non grazie a qualche santo. Per lo più, i santi sono esseri umani contorti. Poiché essi conducono la cosiddetta vita semplice, gli altri ne restano fortemente impressio­nati; ma le loro menti sono distorte e creano ciò che ritengono sia la realtà.

Ma per comprendere davvero il disordine, si deve comprendere per intero la struttura dell’autorità, non solo interiormente, ma anche esteriormente. Non si può negare l’autorità esterna. È necessaria. È essenziale per ogni società civilizzata. Ma ciò che stiamo dicendo riguarda l’autorità altrui, inclusa quella di chi parla. Può esserci ordine solo quando comprendiamo il disordine che ciascuno di noi apporta, poiché facciamo parte della società; abbiamo creato la struttura della società, e in quella società siamo intrappolati. Noi, come esseri umani che hanno ereditato gli istinti animali, dobbiamo trovare, quali esseri umani, luce e ordine. E non possiamo trovare quella luce e quell’ordine, o quella comprensione, per mezzo di qualcun al­tro – non importa di chi si tratti – perché le esperienze altrui possono essere false. Ogni esperienza va messa in dubbio, che sia la propria o quella di qualcun altro. L’esperienza è la conti­nuazione di un fascio di memorie, che traduce la risposta a una provocazione sulla base del proprio condizionamento. In altre parole, l’esperienza è – non è vero? – rispondere a una provocazione, e quell’esperienza può rispondere solo confor­memente al proprio retroterra culturale. Se sei un hindú, o un musulmano, o un cristiano, sei condizionato dalla tua cultura, dalla tua religione, e quel retroterra si proietta in ogni forma di esperienza. E più sei intelligente nell’interpretare quell’espe­rienza, maggiormente vieni rispettato, è ovvio, con tutto ciò che ne consegue, tutto il circo.

Dobbiamo, quindi, mettere in discussione, dobbiamo dubitare, non solo dell’esperienza altrui, ma anche della nostra pro­pria esperienza. Ricercare ulteriore esperienza attraverso l’espansione della coscienza, cosa che viene fatta per mezzo di svariate forme di droghe psichedeliche, si situa ancora nell’am­bito della coscienza ed è, dunque, molto limitato. Così, una persona che sia in cerca di una qualsiasi forma di esperienza – in special modo la cosiddetta esperienza religiosa, spirituale – deve non solo metterla in discussione, dubitarne, bensì accan­tonarla del tutto. Una mente limpidissima, una mente piena d’attenzione e di amore, una simile mente perché dovrebbe necessitare ancora di una qualche esperienza?

Il vero non può essere sollecitato. Potete praticare tutta la preghiera, tutto il controllo del respiro che volete, e tutti quegli stratagemmi che gli esseri umani mettono in atto al fine di sco­prire qualche realtà, qualche esperienza, ma la verità non può essere sollecitata. Può scaturirne ciò che è misurabile, ma non l’incommensurabile. E un uomo che persegua ciò che non può essere compreso da una mente condizionata, genera disordine, non solo all’esterno ma anche all’interno.

L’autorità va, dunque, messa completamente da parte, e si tratta di una delle cose più difficili a farsi. A partire dall’infan­zia, veniamo guidati dall’autorità – l’autorità della famiglia, della madre, del padre, l’autorità della scuola, dell’insegnante, e così via. È necessario che ci sia l’autorità di uno scienziato, di un tecnologo. Ma la cosiddetta autorità spirituale è una cosa dannosa ed è una delle maggiori cause di disordine, perché è ciò che ha diviso il mondo in varie forme di religioni, in varie forme di ideologie.

Quindi, per liberare la mente da ogni autorità, ci si deve cono­scere; deve esserci, cioè, la conoscenza di sé. Non intendo il sé supremo o l’Atman, che sono invenzioni della mente, inven­zioni del pensiero, invenzioni scaturite dalla paura. Stiamo parlando di conoscenza di sé: conoscere se stessi realmente come si è, non come si dovrebbe essere; vedere che si è stupidi, paurosi, ambiziosi, crudeli, violenti, avidi; vedere i moventi dietro il proprio pensiero, i moventi dietro la propria azione – cosa che è il primo stadio del conoscersi. Se non conoscete voi stessi, come opera la struttura della vostra mente, come perce­pite, che cosa pensate, quali sono i vostri moventi, perché fate certe cose e ne evitate altre, in che modo perseguite il piacere; a meno che non capiate essenzialmente tutto questo, siete capaci di ingannarvi, di far del male, non solo a voi stessi, ma anche agli altri. E senza questa basilare conoscenza di sé, non può esserci meditazione, della quale parlerò tra poco.

Sapete, i giovani in ogni parte del mondo stanno rifiutando, si stanno ribellando contro l’ordine costituito – un ordine che ha reso il mondo brutto, mostruoso, caotico. Ci sono state guerre e, per un lavoro, ci sono migliaia di persone. La società è stata costruita dalla generazione passata, con le sue ambizioni, la sua avidità, la sua violenza, le sue ideologie. La gente, specialmente i giovani, rifiuta tutte le ideologie – forse non in questo paese, perché non siamo abbastanza progrediti, abbastanza ci­vilizzati per rifiutare ogni autorità, ogni ideologia. Ma, nel ri­fiutare le ideologie, stanno creando il loro proprio modello di ideologia: capelli lunghi, e tutto il resto.

La mera rivolta, dunque, non dà una risposta al problema. Ciò che risponde al problema è fare ordine in se stessi, un ordine vivente, non una routine. La routine è mortale. Entrate in un ufficio non appena uscite dalla scuola secondaria – se ottenete un lavoro. Poi, per i successivi quaranta, cinquant’anni vi recate ogni giorno in ufficio. Sapete che accade a una mente del genere? Avete instaurato una routine, e la ripetete; e incorag­giate vostro figlio a ripeterla. Qualunque uomo al mondo deve ribellarsi contro di essa. Ma voi direte: «Ho una responsabi­lità; nella situazione in cui mi trovo, non posso abbandonarla, anche se mi piacerebbe farlo». E così il mondo va avanti, ripetendo la monotonia, il tedio della vita, la sua totale vacuità. A tutto ciò l’intelligenza si ribella.

Deve esserci, così, un nuovo ordine, un nuovo modo di vivere. Per realizzare quel nuovo ordine, quel nuovo modo di vivere, dobbiamo comprendere il disordine. È soltanto per mezzo della negazione che comprendete il positivo, non con il perseguimento del positivo. Capite, signori? Quando rifiutate, accantonate ciò che è negativo; quando comprendete per intero il disordine sociologico e interiore che gli esseri umani hanno creato; quando capite che finché ciascun essere umano è ambi­zioso, avido, invidioso, competitivo, in cerca di posizione, pote­re, autorità, crea il disordine; e quando comprendete la struttu­ra del disordine – proprio quella comprensione determina la disciplina, una disciplina che non è repressione, né imitazione. Dalla negazione scaturisce la corretta disciplina, che è ordine.

Comprendere se stessi, quindi, è l’inizio della saggezza. La sag­gezza non si trova nei libri, né nell’esperienza, né nel seguire qualcun altro, né nel ripetere una quantità di banalità. La sag­gezza perviene a una mente che comprende se stessa, che com­prende come è nato il pensiero. Avete mai esaminato o chiesto: qual è l’inizio del pensiero, come si origina il pensiero? Si trat­ta di una cosa importantissima da capire. Perché se siete in grado di comprendere l’inizio del pensiero, allora forse potete ritrovare una mente che non è oppressa dal pensiero in forma di ripetizione di ciò che è stato. Come dicevamo, il pensiero è sempre vecchio, il pensiero non è mai nuovo. A meno che non scopriate da voi – non ripetere ciò che qualcuno dice, chiunque esso sia – a meno che non scopriate da soli l’inizio del pensiero, come un seme che produce una foglia verde, non vi è possibile trascendere le limitazioni di ieri.

E per scoprire l’inizio del pensiero deve esserci la comprensio­ne di se stessi, ma non mediante l’analisi. L’analisi richiede tempo, come togliere gli strati a una cipolla a poco a poco. Pensiamo di poter comprendere mediante l’analisi, mediante l’introspezione, mediante il perseguimento di una particolare idea che è sorta ed esaminandone la causa – e tutto ciò richie­de tempo. Ora, quando usate il tempo come un mezzo di com­prensione, il tempo provoca disordine. Quindi, il tempo è dolore. Capite? Se vi prendete tempo per sbarazzarvi della violenza che è in voi, avete stabilito come meta, come ideolo­gia, che dovete liberarvi di essa e che, per raggiungere tale me­ta vi occorre del tempo e vi tocca coprire lo spazio tra la vio­lenza e quello stato in cui non c’è violenza. Quando avete tempo per sbarazzarvi della violenza, continuate a spargere i semi della violenza – il che è un fatto evidente. Se dite a voi stessi: «Non sarò ambizioso quando avrò raggiunto il massi­mo», nel frattempo, state spargendo i semi della crudeltà di un uomo ambizioso. La comprensione di se stessi, quindi, non dipende dal tempo, dev’essere istantanea. L’approfondiremo an­cora un po’.

Stiamo dicendo che il mondo, com’è oggi, è nel caos. Ci sono guerre, attività ripetitive, la faccenda delle chiese – tutto ciò ha provocato molto danno nel mondo, il cui perpetuarsi è disor­dine. Per determinare l’ordine, dobbiamo capire la struttura del disordine. E una delle principali strutture di tale disordine è l’autorità. Seguite l’autorità a causa della paura. Dite: «Io non so; tu sai; per favore, dimmi tu che fare». Non c’è nessuno che ve lo possa dire. Quando ve ne rendete conto, e quando vi accorgete di dover scoprire proprio tutto da soli, interiormen­te, psicologicamente, allora non c’è leader, non c’è guru, non c’è filosofo, non c’è santo che vi aiuterà, perché essi operano ancora al livello del pensiero. Il pensiero è sempre vecchio; il pensiero non è una guida.

Scopriremo, così, l’origine, l’inizio del pensiero; e questo è im­portante. Per favore, prestate ascolto, non meramente alle parole. Sapete che cosa vuol dire ascoltare? Che voi ascoltate non al fine di apprendere. Non ascoltate per apprendere, ma fatelo con abnegazione, in modo da vedere da soli il vero o il falso. Ciò significa che non dovete né accettare né rifiutare. Il che non vuol dire che dobbiate avere una testa bucata, nella quale si possa versare tutto e nulla venga trattenuto. Al contrario, poiché state ascoltando, siete estremamente sensibili e, quindi, assai critici. Ma il vostro giudizio critico non si baserà sulla vostra opinione in quanto opposta a un’altra opinione, il che è il processo del pensiero. Per favore, ascoltate come se ascoltaste quei corvi, senza simpatia o antipatia; ascoltate soltanto il rumore di quel ragazzo che sta martellando qualcosa, senza irritarvi, senza perdere l’attenzione. Quando ascolterete in un modo così completo, scoprirete di non aver nient’altro da fare. Solo l’uomo che sta sulle rive del fiume specula sulla bellezza della corrente. Quando ha abbandonato la riva ed è nella corrente, non c’è alcuna speculazione, alcun pensiero; c’è soltanto movimento.

Per comprendere ciò in cui ci addentreremo – che è l’origine, il principio del pensiero – ci si deve comprendere, ossia, si deve apprendere su se stessi. Acquisire conoscenza su di sé e ap­prendere su di sé sono due cose diverse. Potete accumulare conoscenza su di voi osservandovi, esaminandovi. E da quel che avete imparato, dall’accumulazione, cominciate ad agire; quindi, in quell’azione state acquisendo ulteriormente. Capite? Quel che avete imparato, quel che avete accumulato è già nel passato. Ogni accumulazione è nel passato, e dal passato cominciate a osservare e ad accumulare ancora. Mentre l’ap­prendimento non è accumulazione. Apprendimento significa che come vedete, vi mettete ad agire; quindi, non c’è residuo nel vostro apprendimento, ma apprendimento continuo. L’apprendimento è un presente-attivo della parola, non il presente-passato. Apprenderemo, ma non da ciò che è stato accumulato. Nell’imparare una lingua, dovete accumulare. Dovete conoscere le parole, dovete apprendere i vari verbi, e così via; e dopo averli imparati, cominciate a usarli. Qui non è affatto così. Il vedere un pericolo determina un’azione immediata. Quando vedete un pericolo, un precipizio per esempio, c’è un’azione immediata.

Ciò che faremo, dunque, è scoprire, comprendere l’inizio, l’origine del pensare. E per farlo, dovete ascoltare e lasciarvi andare, il che significa che dovete prestare attenzione. L’atten­zione è possibile solo quando state indagando a fondo – vale a dire, quando siete realmente liberi di indagare e non siete vincolati a ciò che la gente ha detto, e così via.

Ora, tutta la vita è energia, è un movimento incessante. E quell’energia nel suo movimento crea un modello che si basa sull’autodifesa e sulla sicurezza – ossia, sulla sopravvivenza. L’energia, il movimento, il restare presi in un modello di so­pravvivenza, e la ripetizione di quel modello: questo è il prin­cipio del pensiero. Il pensiero è mente. L’energia è movimento, quel movimento che resta invischiato nel modello di sopravvivenza, ed è la ripetizione della sopravvivenza nel sen­so di piacere, di paura – tale è l’inizio del pensiero.

Il pensiero è la risposta della memoria accumulata, del cumulo di modelli – vale a dire di ciò che fate come hindú, musulmani, parsi, cristiani, comunisti, socialisti, e via dicendo. Il nostro modo di operare si basa su qualche modello, e la ripetizione di quel modello è la ripetizione del pensiero, un ripetersi che av­viene più volte. Il che è ciò che fate come hindú, come musul­mani o come parsi – il modello instaurato con la ripetizione quale sopravvivenza, nella struttura di una cultura che è hindú, musulmana o parsi. Questo è quanto sta realmente accadendo in ognuno. Il pensiero ha sempre instaurato un mo­dello, e se quello vecchio non è adeguato, ne instaura un altro. Se il capitalismo non funziona, allora funziona il comunismo, che è un nuovo modello. Oppure, se l’induismo o il cristianesi­mo non vanno bene, voi strutturate un nuovo modello.

Quindi, la ripetizione di quel modello condiziona le stesse cel­lule cerebrali, che sono materia. Il pensiero è materia. Lo si può scoprire per conto proprio. Lo dovete scoprire, e non perché chi parla ve lo sta dicendo – il che non avrebbe il benché minimo valore. Sarebbe simile al caso di un uomo affamato a cui si dicesse quant’è meraviglioso il cibo, e che venisse nutrito di teorie. È quanto sta avvenendo in questo paese; siete nutriti di teorie e ideologie – l’ideologia buddhista, l’ideologia hindú, quella di ankaràcàrya, e così via. Le vostre menti, quindi, sono vuote. Vi cibate di parole; ecco il perché del disordine. Ec­co perché tutto ciò va scartato, affinché possiamo ricominciare. Per ricominciare occorre capire per intero tale struttura del pensiero. Ora, capite tale struttura del pensiero solo quando cominciate a comprendere voi stessi in quanto movimento vi­vente – non «comprendere per aggiungere», nel qual caso si tratterebbe di una cosa morta. Siete delle creature viventi nell’ambito della struttura di una cultura, e quella cultura, quella tradizione, quell’autorità vi ha in pugno. E nell’ambito di quella struttura di coscienza risiede il disordine. Compren­dere tutto questo processo e andar assai oltre – il che è quanto faremo adesso – è meditazione.

La meditazione non è la formula ripetitiva dei mantra, del respirare con regolarità, del sedere in una qualche postura, pra­ticando la consapevolezza, l’attenzione – tutto ciò è del tutto meccanico. Stiamo parlando di una cosa viva. E voi avete pra­ticato queste cose meccaniche per secoli. Quelli che le hanno praticate sono morti, e le loro visioni sono proiezioni dal loro proprio passato, dal loro proprio condizionamento. Ma noi stiamo parlando di una meditazione viva, non di una meditazione meccanica, ripetitiva, disciplinare. Se non sapete che cos’è la meditazione – come se non sapete cos’è la morte – non c’è nessuna cultura nuova, non nasce nulla di nuovo.

Sapete, la cultura è una delle cose più meravigliose, ma non la cultura morta della quale parlate continuamente – la cultura indiana, la cultura hindú – perché quella è sepolta, andata, fi­nita. La cultura viva è ciò che sta accadendo realmente adesso. Vedere la confusione, lo sporco, la terribile miseria, e da ciò crescere e fiorire – quella è cultura, non retrocedere ai vostri progenitori morti.

Scopriremo insieme e insieme intraprenderemo un viaggio all’interno di ciò che è la meditazione. Potete porre questa domanda soltanto quando abbiate realizzato la conoscenza di voi stessi. Non potete domandare: «Che cos’è la meditazione?» se non vi conoscete, se non avete una comprensione di voi stessi, se non vi siete presi in esame il più possibile. Come dicevo, «il prendersi in esame» è istantaneo; la totalità di voi stessi è rivelata all’istante, non nel tempo. Potete effettivamente vedere con i vostri occhi un albero, un fiore, un essere umano accanto a voi. Non potete vedere la totalità di quell’albero o dell’essere umano accanto a voi se avete di essi un’immagine. È evidente. È solo quando non c’è l’immagine che potete vedere comple­tamente. L’immagine è l’osservatore, è il centro da cui osservate. Quando c’è un centro da cui voi osservate, c’è uno spazio tra l’osservatore e l’osservato. Non dovete prestare un’atten­zione esagerata a quanto viene detto; non avete che da osser­varlo voi stessi. Fintanto che c’è un’immagine di vostra moglie, di vostro marito, di un albero, di qualche cosa, è l’immagine il centro che sta guardando. C’è, così, una frattura tra l’osservatore e l’osservato. È importante comprenderlo. L’approfondi­remo subito.

Innanzitutto, liberiamoci delle idee errate sulla concentrazio­ne. Una delle asserzioni preferite di colui che medita o del maestro che pratica o insegna la meditazione è che la gente debba imparare la concentrazione – ossia, concentrarsi su un pensiero, scacciare tutti gli altri e fissare la propria mente soltanto su quell’unico pensiero. Questa è una cosa veramente stupida. Perché, quando lo fate, state meramente opponendo resistenza, state ingaggiando una battaglia tra la pretesa di concentrarvi su una cosa e il vagare della mente a ogni altro genere di cosa. Mentre dovete prestare attenzione non solo all’unico pensiero ma anche a dove divaga la mente, totalmen­te attenti a ogni movimento della mente. Ciò è possibile solo quando non respingete un qualche movimento, quando non dite: «La mia mente divaga, la mia mente è distratta». Non c’è niente come la distrazione. Perché il divagare della mente è indice del suo essere interessata a qualcos’altro.

Va così compresa l’intera faccenda del controllo. Ma, sfortuna­tamente, non possiamo addentrarci in essa questa sera, dato che non ne abbiamo il tempo. Noi esseri umani siamo così controllati, siamo delle entità morte. Ciò non vuol dire che dobbiamo lanciarci a fare ciò che vogliamo – cosa che faccia­mo in ogni caso, di nascosto. Ma, con l’amore, giunge una di­sciplina. Approfondirò ciò molto rapidamente.

La meditazione non è il controllo del pensiero. La meditazio­ne, quando il pensiero viene controllato, genera nella mente soltanto conflitto. Ma quando comprendete la struttura del pensiero e la sua origine, allora il pensiero non interferirà, come vi ho appena spiegato. Vedrete, perciò, che il pensiero ha il suo posto – ossia, dovete andare in ufficio, dovete recarvi a casa, parlare una lingua: in tal caso il pensiero deve essere all’opera. Ma quando abbiate compreso l’intera struttura del pensare, quella stessa comprensione è disciplina, e non è imi­tazione, non ha nulla a che fare con la repressione.

Le cellule del cervello sono state condizionate a sopravvivere all’interno di un dato modello, come hindu, musulmano, parsi, cristiano, cattolico o comunista. Poiché per secoli e secoli il cervello è stato condizionato a sopravvivere, ha il modello della ripetizione; così, il cervello stesso diventa il principale fattore di un’indagine senza tregua. Ve ne renderete conto da soli quando l’approfondirete.

Il problema, quindi, è provocare una quiete assoluta nelle cellu­le cerebrali stesse, il che significa assenza della ricerca di impor­tanza e di permanenza del sé. Capite? Dobbiamo sopravvivere a livello fisico e morire a livello psicologico. È solo quando a livello psicologico avviene la morte dei mille ieri che le cellule ce­rebrali sono quiete. E ciò non può realizzarsi con nessuna forma di manipolazione del pensiero, di ripetizione di mantra – cosa che è immatura. Ma giunge solo quando comprendete l’in­tero movimento del pensiero, ossia voi stessi. Le cellule cere­brali si fanno, dunque, straordinariamente quiete, prive di qual­siasi movimento che non sia rispondere alle reazioni esterne.

Essendo, dunque, quieto il cervello stesso, la totalità della mente è del tutto silenziosa, e quel silenzio è una cosa viva. Non è il prodotto di nessun guru, di nessun libro, di nessun àsrama, di nessun leader, di nessuna autorità, di nessuna dro­ga. Potete assumere una droga, una sostanza chimica, per acquietare la vostra mente, oppure ipnotizzarvi al fine di essere quieti. Ma ciò non è la calma viva di una mente che si è adden­trata a fondo in se stessa e che è, dunque, tremendamente attenta, estremamente sensibile. È solo una mente simile che può comprendere che cos’è l’amore. L’amore non è desiderio o piacere. Tutto ciò che abbiamo e che chiamiamo amore è de­siderio e piacere. «Amo mia moglie, amo il mio Dio», e via dicendo – tutto ciò si basa su paura, piacere e sensazione.

Un uomo che abbia, quindi, compreso e che si sia addentrato davvero in ciò, farà sì che ci sia ordine per prima cosa in se stesso. Se c’è ordine dentro gli uomini, c’è ordine nel mondo. Se ciascuno di voi farà veramente ordine in se stesso, avrete un ordine vivo, una nuova società, una nuova vita. Ma per farlo dovete distruggere i vecchi modelli di vita. I vecchi modelli di vita non possono essere spezzati se non con la comprensione di voi stessi, e da quella comprensione giunge l’amore.

Sapete, l’uomo ha parlato all’infinito dell’amore: ama il tuo prossimo, ama Dio, sii benevolo. Ma attualmente, voi non sie­te né benevoli, né generosi. Siete talmente concentrati su voi stessi che non avete amore. E senza amore c’è solamente dolore. Non è un semplice aforisma da ripetere, a vostra disposi­zione. Dovete trovarlo, vi dovete imbattere in esso. A tal fine dovete lavorare duramente. Dovete lavorare con la compren­sione di voi stessi, senza sosta, con passione. La passione non è lussuria; un uomo che non sappia che cos’è la passione non co­noscerà mai l’amore. L’amore si origina solo quando c’è ab­bandono totale del sé. E solo l’amore può far sorgere l’ordine, una nuova cultura, un nuovo modo di vita.



– tratto dal libro "Verso la liberazione interiore" –


http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/krishnamurti/consemed.htm


domenica 9 ottobre 2011

La tua guida interiore è nascosta dentro di te

I Tarocchi Zen di Osho
70. La guida


Cerchi una guida all'esterno, perché non sai che la tua Guida interiore è nascosta dentro di te. Devi trovare la tua Guida interiore, ed è questo che io definisco "il testimone". Questo è ciò che chiamo "il dharma", "il tuo buddha intrinseco". Risveglia quel buddha, e la tua vita verrà inondata d'estasi, di benedizioni. La tua vita diventerà radiosa, colma di bene, divina più di quanto tu possa immaginare. La luce opera in modo molto simile. La tua stanza è buia - porta una luce. Basterà una piccola candela per far scomparire tutta quell'oscurità. E, una volta che hai una candela, saprai dov'è la porta. Non dovrai pensarci - solo i ciechi pensano a dove sia la porta. Le persone che hanno gli occhi e sono provviste di una luce, non ci pensano. Ci hai mai pensato? Semplicemente, ti alzi ed esci. Non pensi mai a dove sia la porta; non la cerchi a tentoni, né pesti la testa contro il muro. La vedi, senza che in te si muova il benché minimo pensiero, ed esci, semplicemente.

Osho God is Dead: Now Zen is the Only Living Truth Chapter 7


Commento:

La figura angelica di questa carta, con ali d'arcobaleno, rappresenta la Guida che ognuno di noi porta dentro di sé. Come la seconda figura che appare sullo sfondo, anche noi a volte possiamo essere un po' riluttanti ad aver fiducia in questa Guida allorché ci si presenta davanti, perché siamo abituati a cogliere i segnali provenienti dall'esterno, e non dall'interno. La verità del tuo essere più profondo sta cercando di mostrarti dove andare; quando questa carta compare significa che puoi fidarti della guida interiore che ti viene data. Essa ci parla bisbigliando, e a volte possiamo esitare, non sapendo se abbiamo compreso correttamente. Ma le indicazioni sono chiare: seguendo la guida interiore ti sentirai più completo, più integro, avrai la sensazione di muoverti verso l'esterno partendo dal centro stesso del tuo essere. Se lo segui, questo fascio di luce ti porterà esattamente là dove hai bisogno di andare.


venerdì 30 settembre 2011

Il risveglio - Eckhart Tolle



Il risveglio è un cambiamento nella coscienza, nel quale il pensiero e la consapevolezza si separano. Per la maggior parte delle persone non è un evento, ma un processo attraverso cui passano. Perfino quei rari esseri che sperimentano un risveglio improvviso, drammatico e apparentemente irreversibile, passeranno attraverso un processo in cui il nuovo stato di coscienza fluisce gradualmente in ogni cosa che fanno trasformandola, e questo è il modo in cui viene integrato nella loro vita.

Invece di essere persi nel pensiero, quando siete svegli riconoscete voi stessi come la consapevolezza che c’è dietro. A quel punto il pensiero cessa di essere un’attività autonoma fine a se stessa, che ha preso possesso di voi e che conduce la vostra vita. La consapevolezza subentra al pensiero. Invece di essere al comando della vostra vita, il pensiero diventa il servitore della consapevolezza. La consapevolezza è la connessione cosciente con l’intelligenza universale. Un’altra parola per questo è Presenza: la consapevolezza senza il pensiero.

L’iniziazione al processo di risveglio è un atto di grazia. Non potete farla accadere, né potete prepararvi o accumulare crediti per ottenerla. Non vi è una sequenza ordinata di passi logici che conducano verso il risveglio, anche se la mente amerebbe molto che fosse così. Non dovete chiedervi se lo meritate. Può giungere al peccatore prima che al santo, ma non è necessariamente così. Ecco perché Gesù si avvicinò a tutti i tipi di persone, non solo a quelle rispettabili. Non vi è nulla che potete fare per risvegliarvi. Qualsiasi cosa facciate l’ego proverà ad aggiungere il risveglio o l’illuminazione a se stesso, come una sua proprietà più preziosa per farsi più bello e più importante. Invece di risvegliarvi, aggiungerete il concetto di risveglio alla vostra mente, o l’immagine mentale di come è una persona risvegliata o illuminata, e quindi provereste a vivere all’altezza di quell’immagine. Vivere all’altezza di un’immagine che avete di voi stessi o che altre persone hanno di voi è un vivere privo di autenticità, un altro ruolo inconscio che l’ego gioca.

Ma se non c’è nulla che potete fare per risvegliarvi, se questo è già avvenuto oppure non lo è ancora, come può essere il proposito principale della vostra vita? Avere un proposito non implica che potete fare qualcosa per raggiungerlo?

Solamente il primo risveglio, il primo lampo di coscienza senza pensiero avviene per grazia, senza che voi da parte vostra facciate nulla. Se trovate questo libro incomprensibile o senza significato, a voi non è ancora successo. Se qualcosa in voi risponde comunque, se in qualche modo riconoscete la verità in esso, significa che il processo di risveglio è iniziato, e una volta iniziato non può essere invertito, anche se l’ego è in grado di ritardarlo. Per certe persone la lettura di questo libro rappresenterà l’inizio del processo di risveglio, per altre la funzione di questo libro è quella di aiutarle a riconoscere che hanno già cominciato a svegliarsi, e aiutarle a intensificare e accelerare il processo. Una funziona ulteriore di questo libro è di aiutare le persone a riconoscere l’ego in loro, tutte le volte che l’ego tenta di riguadagnare il controllo e di oscurare la consapevolezza emergente. Per alcuni, il risveglio avviene nel momento in cui diventano consapevoli del tipo di pensieri che hanno abitualmente, specialmente pensieri negativi e persistenti, con i quali possono essersi identificati tutta la vita. Improvvisamente vi è una consapevolezza che è consapevole del pensiero, ma non ne fa parte.

Qual è la relazione tra consapevolezza e pensiero? La consapevolezza è lo spazio in cui i pensieri esistono, quando quello spazio è diventato cosciente di se stesso.

Una volta che avete avuto un lampo di consapevolezza o di Presenza, la riconoscete direttamente. Non è più solo un concetto della vostra mente. Potete allora fare una scelta cosciente per essere presente, invece che indulgere in un pensiero inutile. Potete invitare la Presenza nella vostra vita, cioè fare spazio. Con la grazia del risveglio viene la responsabilità. Potete provare ad andare avanti come se nulla fosse accaduto, o invece vederne il significato e riconoscere l’emergere della consapevolezza come la cosa più importante che possa accadervi. Allora il proposito principale della vostra vita diventa aprire voi stessi alla coscienza emergente e portare la sua luce nel mondo.

“Voglio conoscere la mente di Dio” disse Einstein, “il resto sono dettagli.” Che cosa è la mente di Dio? La coscienza. Cosa significa conoscere la mente di Dio? Essere consapevoli. Cosa sono i dettagli? Il vostro proposito esteriore, e tutto quello che avviene all’esterno.

Così, mentre state forse ancora aspettando che qualcosa di significativo accada nella vostra vita, potete non avere compreso che la cosa più significativa che possa accadere a un essere umano è già accaduta in voi: l’inizio del processo di separazione tra il pensiero e la consapevolezza.

Molte persone che stanno attraversando i primi stadi del processo di risveglio non sono più sicure di quale sia il loro proposito esteriore. Ciò che guida il mondo, ciò che è importante per il mondo, non guida più loro. Vedendo la pazzia della nostra civiltà così chiaramente, essi si sentono alienati dalla cultura che li circonda. Ad alcuni sembra di abitare in una terra di nessuno tra due mondi. Non sono più guidati dall’ego e, tuttavia, la consapevolezza emergente non si è ancora integrata completamente nelle loro vite. Il proposito interiore e quello esteriore non si sono fusi.


– da “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle –


giovedì 22 settembre 2011

L'amore non possiede né vorrebbe essere posseduto


Allora Almitra disse: parlaci dell'Amore.

E lui sollevò la testa e scrutò il popolo e su di esso calò una grande quiete. E con voce ferma disse:
Quando l'amore vi chiama, seguitelo.
Anche se le sue vie sono dure e scoscese.
E quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui.
Anche se la sua lama, nascosta tra le piume vi può ferire.
E quando vi parla, abbiate fede in lui,
Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino.

Poiché l'amore come vi incorona così vi crocefigge. E come vi fa fiorire così vi reciderà.
Come sale alla vostra sommità e accarezza i più teneri rami che fremono al sole,
Così scenderà alle vostre radici e le scuoterà fin dove si avvinghiano alla terra.
Come covoni di grano vi accoglie in sé.
Vi batte finché non sarete spogli.
Vi staccia per liberarvi dai gusci.
Vi macina per farvi neve.
Vi lavora come pasta fin quando non siate cedevoli.
E vi affida alla sua sacra fiamma perché siate il pane sacro della mensa di Dio.

Tutto questo compie in voi l'amore, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e in questa conoscenza farvi frammento del cuore della vita.
Ma se per paura cercherete nell'amore unicamente la pace e il piacere,
Allora meglio sarà per voi coprire la vostra nudità e uscire dall'aia dell'amore,
Nel mondo senza stagioni, dove riderete ma non tutto il vostro riso e piangerete, ma non tutte le vostre lacrime.

L'amore non dà nulla fuorché se stesso e non attinge che da se stesso.
L'amore non possiede né vorrebbe essere posseduto;
Poiché l'amore basta all'amore.

Quando amate non dovreste dire: "Ho Dio nel cuore", ma piuttosto, "Io sono nel cuore di Dio".
E non crediate di guidare l'amore, perché se vi ritiene degni è lui che vi guida.

L'amore non vuole che compiersi.
Ma se amate e se è inevitabile che abbiate desideri, i vostri desideri hanno da essere questi:
Dissolversi e imitare lo scorrere del ruscello che canta la sua melodia nella notte.
Conoscere la pena di troppa tenerezza.
Essere trafitti dalla vostra stessa comprensione d'amore,
E sanguinare condiscendenti e gioiosi.
Destarsi all'alba con cuore alato e rendere grazie per un altro giorno d'amore;
Riposare nell'ora del meriggio e meditare sull'estasi d'amore;
Grati, rincasare la sera;
E addormentarsi con una preghiera in cuore per l'amato e un canto di lode sulle labbra.


- da "Il Profeta" di Khalil Gibran -


martedì 13 settembre 2011

La Via del Sufismo



di Gabriele Mandel


Noi tutti siamo usi ormai a credere alla “nostra” verità, e a capire – dei fatti e delle circostanze – non il significato obiettivo ma il significato soggettivo. Crediamo (o capiamo) per solito a ciò che si adatta alla nostra idea, al nostro desiderio, soprattutto alla nostra aspettativa. Partiamo sempre da un preconcetto inconscio, e ripetiamo attitudini, frasi, gesti condizionati da un apprendimento risalente all’infanzia, anziché agire indipendentemente. Siamo cioè per solito ben lungi dall’aver realizzato noi stessi, dall’essere liberi da passioni, pregiudizi, pulsioni, da cui invece sono liberi i sufi.

[...]

Il sufismo è per Abû Sa’îd alKarrâz «eliminare dalla mente quanto vi si trova: verità immaginarie, opinioni, condizionamenti; ed affrontare così tutto ciò che potrà accadere”.

Per Abu Sa’îd ibn alKhayr (976-1049) «significa distaccarsi dalle idee e dai preconcetti fissi, senza tuttavia evitare ciò che accade», ed è anche «abbandono del superfluo; e non vi è nulla di più superfluo dell’Io».

Per Ghazâlî (1058-1111) «la Via si perfeziona mediante la scienza e la pratica, i sûfî sono uomini di esperienza, non di parole».

Nurî Mujaddî (XVIII s.) disse: «Il sufi è uno che fa ciò che gli altri fanno, se è necessario. Ma quando è necessario fa anche quello che gli altri non possono fare».

E oggi, Idries Shah: «Uomo senza spazio e senza tempo, il sufi rende operante la sua esperienza all’interno della cultura, del paese, del clima nei quali si trova a vivere». E Seyyd Hossein Nasr (1933): «Il sufismo cerca il significato interiore tramite la penetrazione della forma esteriore, così che per sua stessa natura è qualificato a sondare la misteriosa unità esistente di là dalla diversificazione delle manifestazioni religiose».

[...]

Ibn alFarid (1181-1235) scrisse: «Bevemmo al nome del nostro Amico inebbriandoci ancora prima che la vigna fosse creata», intendendo con questo che i sufi si considerano di là dal tempo e dalla storia. “Vigna” qui significa l’Islamismo. Il maestro Abu alHassan alBûshanjî (morto a Nîshâpûr nel 959) disse: «Un tempo essere sufi era una realtà senza nome»; affermando così che il sufismo esisteva ancor prima d’essere chiamato così.

Ibn Khaldûn scrisse nella sua precitata opera monumentale: «Il sufismo si basa sull’assunto del metodo, che per coloro che vennero poi chiamati sufi era sempre stato considerato il Sentiero della Verità e della Retta Guida, così come lo avevano già fatto i primi musulmani, gli uomini della cerchia di Maometto e della seconda generazione». Notiamo che Ibn Khaldûn usò per definire il sufismo lo stesso termine (Sentiero della Verità e della Retta Guida) usato per il Tao Te Ching di Lau Tzu (V sec. a.C. circa).

La Fede assoluta dei tempi di Maometto, la ihsân, era già una via sufica, e in seguito i sufi attribuirono volentieri a se stessi il detto (hadîth) del Profeta: «Ihsân è adorare Dio come se tu lo avessi visto, poiché anche se tu non lo vedi, Egli comunque vede te». Ciò parrebbe collocare il sufismo nell’ambito della dottrina religiosa, del misticismo. Nulla di tutto ciò. I termini di “misticismo” e di “ortodossia” vanno intesi in modo del tutto differente dall’assunto europeo, già quando sono riferiti alla religione islamica. Acquistano poi tutt’altro significato nell’ambito sufico.

Per ciò che riguarda il misticismo, leggiamo in Idries Shah (1946): «I mistici arabi – in un primo tempo conosciuti come i prossimi (muqarribun) – ritenevano che vi fosse essenzialmente una unità negli insegnamenti interiori di ogni qualsivoglia credenza. [...] Come conseguenza dei contatti con gli Hanif, ogni antico centro di insegnamento segreto divenne una piazzaforte dei mistici islamici. Il fossato che per gli altri mistici separa – nella pratica e nella scienza esoterica – i cristiani, gli zoroastriani, gli ebrei, gli hindù, i buddhisti, eccetera, veniva così colmato! Questo processo, la confluenza delle essenze, i non-sufi non l’hanno mai colto nella sua realtà, perché per tali osservatori è impossibile rendersi conto che il mistico musulmano vede e contatta la corrente mistica in ogni altra cultura allo stesso modo in cui un’ape fa bottino in molti fiori senza per questo diventare essa stessa un fiore. Neanche l’uso sufico del termine confluenza per indicare questa funzione è stato capito pienamente». Per l’Islàm infatti il misticismo viene genericamente inteso come un atteggiamento individuale che non esclude l’operatività nella vita normale, con assoluta differenza dagli anacoreti cristiani. «Gli anacoreti – scrive ancora Idries Shah – sono soltanto dei professionisti dell’ossessione che hanno dato l’impressione al prossimo che il deserto o le montagne siano i soli luoghi in cui il mistico deve passare tutta la sua vita. Essi hanno preso un filo per l’intero tappeto».

[...]

Di fuori dal tempo, di fuori dal contesto politico, operanti nella società, e professanti almeno apparentemente la fede islamica, i sufi sono allora o no dei religiosi, anche nel senso islamico di questo termine? A un domanda siffatta Ahmad alYasavî († 1166), fondatore dell’Ordine nomade Yasaviyya, rispose: «In tutta la letteratura sufica troverete che spesso asseriamo di non essere interessati alla religione, e nemmeno alla sua mancanza. Come si può conciliare questo con il fatto che i credenti ci considerano uomini di fede? Lo scopo è il perfezionamento dell’uomo, e l’intimo insegnamento di tutte le religioni mira a questo. Per conseguirlo esiste sempre una tradizione tramandata da una catena vivente di adepti che selezionano i candidati cui impartire l’insegnamento. Questo insegnamento è stato tramandato fra uomini di tutti i generi. Per la nostra devozione all’Essenza noi abbiamo raccolto nella via del sufismo tutti coloro che sono meno interessati ai fatti esteriori; cosicché abbiamo conservata intatta e segreta la nostra capacità di continuare la Successione. Nelle religioni dogmatiche degli ebrei, dei cristiani, degli zoroastriani, degli indù, dei musulmani, che badano alla lettera, questo fatto prezioso è andato perduto. Noi restituiamo a tutte le religioni questo principio vitale; ed ecco perché vedete tanti ebrei, cristiani e altri fra i miei seguaci. Gli ebrei dicono che noi siamo veri ebrei, i cristiani ci considerano cristiani. Solo quando si conosce il Fatto Massimo si capisce la situazione delle religioni attuali, e anche della mancanza di fede, poiché mancare di fede è un tipo di religione con una sua fede particolare».

[...]

Giungiamo così al nocciolo della questione. Una cosa è studiare la storia del sufismo (ci si deve accontentare dei documenti forniti, delle ipotesi, di ciò che è trapelato – o che fu lasciato trapelare perché oramai non più pericoloso o perché superato, e perciò inutile –) e un’altra è capire il sufismo, semmai in vista di percorrerne il cammino. In questo caso occorre sapere che il sufismo è azione e non insegnamento scolastico; non vi è metodo fisso ma percezione di ciò che è utile a seconda dei casi; e consapevolezza dell’inutilità di un sistema; non vi sono perciò insegnanti, bensì maestri che sanno come essere utili, senza cadere nella presunzione personalistica di sapere.

Provate a prendere un pezzo di lievito, e a mostrarlo a chi non lo conosce. Egli potrà dire che è del gesso, o del sapone, o un pezzo di formaggio. Se pensa che sia una cosa da mangiare, forse l’assaggerà, sputandolo subito perché è cattivo e acido. Ma chi sa di che si tratta lo impasta con la farina, che così lievita, e diventa pane. Ecco: il sufismo è lievito.


– da “Il sufismo vertice della piramide esoterica”
di Gabriele Mandel



domenica 4 settembre 2011

Il Codice della Luce



L’arte di accogliere il Sole

Esporsi al Sole, oltre ad essere importante per la chimica del corpo, è anche fondamentale per la qualità dei pensieri e delle emozioni, perché la luce solare ha un potere benefico sul piano mentale ed emozionale.

Il suo effetto agisce anche a un livello più profondo di quello materiale, e l’informazione che porta ci aiuta a migliorare il nostro comportamento e i nostri sentimenti. Sapersi esporre alla luce del Sole non vuol dire semplicemente addormentarsi o rilassarsi sotto i suoi raggi, ma è una vera e propria arte, capace di generare un potere rivitalizzante senza eguali. La luce porta un’informazione di vita, ma è necessario essere in grado di sintonizzarsi sulla sua frequenza per poter beneficiare appieno delle sue risorse.

Normalmente l’essere umano ignora questa possibilità e si espone alla luce senza avere la capacità di assorbire gli elementi vitali più profondi ed efficaci.

Prendere il Sole e accogliere la luce è un evento straordinario, che mette in moto delle dinamiche chimiche molto potenti e attiva energie capaci ci farci progredire nella nostra evoluzione. Ma non è solo una questione chimica: la luce solare è in grado di trasmetterci la saggezza, la bellezza, la pace e l’amore necessari per la nostra evoluzione. Tutto il nostro essere dovrebbe predisporsi a ricevere questi doni.

Per poter assorbire le informazioni più profonde e benefiche del Sole è fondamentale il corretto atteggiamento interiore. Può sembrare strano ma è proprio così: se ci si espone al Sole, ma la mente è distratta e i pensieri inseguono le emozioni, non si è in grado di ricevere tutto ciò che questa stella è in grado di dare.

È necessaria la presenza totale della persona affinché il trasferimento di questa informazione sia completo. Esiste un segreto, accuratamente custodito nel corso della storia, che riguarda l’arte di esporsi al Sole. L’arte di assorbire gli elementi vitali più potenti ed efficaci della luce solare consiste in un particolare atteggiamento interiore capace di predisporci alla condizione adatta. La luce solare è il vero cibo del nostro essere.

Il nostro atteggiamento è determinante per la qualità delle nostre azioni. Se restiamo totalmente presenti e consapevoli nell’atto che compiamo, allora avviene un cambiamento profondo sia in noi sia in quello che facciamo.

Questa regola tanto semplice è anche altrettanto potente se applicata correttamente.

È stato provato che mangiare con un atteggiamento inconsapevole (parlando, pensando ad altro, guardando la televisione, discutendo animatamente) fa sì che il nostro organismo non sia capace di assorbire adeguatamente il nutrimento rispetto a quando mangiamo in silenzio, presenti nell’atto che stiamo compiendo, grati per ciò che riceviamo e consapevoli del fatto di nutrire oltre che il corpo anche i pensieri e le emozioni attraverso quel cibo.

[...]

Anche la luce solare trasmette un’informazione precisa che può essere compresa e assorbita a patto che la persona sia in grado di sintonizzarsi su quella frequenza. Avere un atteggiamento inconsapevole nei confronti della luce solare e delle sue potenzialità preclude l’accesso a questo straordinario potere vitale, capace di farci progredire in ogni aspetto della nostra esistenza.

Può sembrare strano, ma il miglior atteggiamento che si può adottare per assorbire gli elementi profondi e vitali della luce è quello di un fiore che si apre totalmente al Sole per essere fecondato. Con questa immagine interiore e l’atteggiamento giusto saremo in grado di ricevere le informazioni presenti nella luce, che sono anche le più potenti e importanti per la nostra evoluzione.

Prima di esporsi alla luce sarebbe bene raccogliersi in se stessi, fare silenzio mentale ed essere coscienti di ciò che il Sole rappresenta: il centro del nostro sistema solare da cui emana uno straordinario potere creativo sotto forma di luce, calore e vita.

La luce solare è capace di cambiare la chimica del nostro corpo, la qualità dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, il nostro comportamento e il nostro spirito, fornendoci le informazioni necessarie al nostro progresso interiore. Esporsi al Sole inconsapevolmente, con una mente distratta, può essere benefico solo in parte. Esporsi al Sole consapevoli di cosa questo rappresenti, del suo potere e con l’atteggiamento interiore di presenza e apertura, permette di ricevere dalla luce gli elementi necessari per comprendere informazioni fino ad ora rimaste inaccessibili.

Ricevere la luce del Sole con consapevolezza e presenza aumenta esponenzialmente la nostra capacità di assorbire la forza vitale e l’informazione evolutiva contenuta in essa.


La coscienza del Sole

Cosa è la coscienza? La coscienza è il contenitore della nostra esperienza, che ci dà consapevolezza. Immaginiamo un palloncino per bambini. Se iniziamo a soffiare dentro questo pallone allora le pareti di plastica iniziano a tendersi e a gonfiarsi, fino a che il palloncino non si riempie totalmente. Il palloncino rappresenta la nostra coscienza che, man mano che ci soffiamo dentro, aumenta il volume, diventando più grande e capiente. Ma cosa succede se si continua a soffiarci dentro? Il palloncino scoppia e l’aria interna si fonde con l’esterno, perdendo i limiti che precedentemente aveva. Ecco che la nostra coscienza si è fusa con una coscienza illimitata, universale.

Questa esperienza io la chiamo “Coscienza Solare”, uno stato assolutamente impersonale, dove si ha consapevolezza di ordini di grandezza superiori, che normalmente non vengono considerati dai parametri di percezione standard.

Il processo che si vive quando si comprende bene il punto di vista del Sole è un po’ come tornare alla condizione naturale dell’infanzia.

Quando si chiama un bambino piccolo per nome, questo non si gira, perché non si identifica con quel nome. La percezione che ha di se stesso è molto vasta e non limitata da un’idea. È pura percezione della vita. Piano piano, poi viene educato e apprende a parlare e a pensare secondo schemi convenzionali. Tutto questo è profondamente produttivo, perché gli permette di integrarsi con ciò che lo circonda però, in questo processo, invece di utilizzare tutto ciò che apprende come mezzo, l’essere in questione inizia a cristallizzarsi nell’idea che ha di sé, riducendo la sua capacità di vedere le cose secondo un certo numero di possibilità molto limitanti: spesso crede di essere solo un nome, si identifica con un corpo e una mente e raramente risperimenta ciò che prima era assolutamente naturale. Avrete notato come i bambini piccoli non guardano quasi mai negli occhi l’altra persona, ma sono piuttosto attratti da tutto ciò che sta intorno alla persona. Chissà che percezioni fantastiche hanno, che colori e sensazioni provano e soprattutto quanto è fluido e puro il loro punto di vista.

Dal punto di vista del Sole, la coscienza non si identifica più con qualcosa di limitato o di personale e quindi è in grado di relazionarsi con ciò che prima veniva percepito come un ostacolo separato da se stessa, secondo una nuova prospettiva dove è presente un profondo senso di unione con le persone e le cose. Questa consapevolezza permette che avvengano nuove esperienze, ritenute prima improbabili.

Permettiamo al mistero dell’esistenza di continuare a stupirci.

La coscienza è il contenitore della consapevolezza
La consapevolezza deriva dall’esperienza

Si potrebbe parlare un giorno intero su cosa sia un orgasmo e si potrebbe addirittura tenere conferenze sull’argomento, spiegando i processi chimici, fisici, mentali ed emozionali legati a questa esperienza. Molte persone crederebbero di ascoltare un esperto in materia e alcune di esse sarebbero addirittura disposte a fare un corso su come si vive un orgasmo. Ma chi parla potrebbe non avere la più pallida idea di cosa sia realmente un orgasmo, per il semplice fatto che non lo ha mai vissuto e sperimentato direttamente. Le parole rimangono concetti privi di esperienza. L’esperto potrebbe emozionarsi nel parlare di un orgasmo, ma sarebbe tutto frutto della sua mente.

La consapevolezza reale deriva invece dall’esperienza diretta. Quando una persona parla di qualcosa che ha vissuto personalmente, alla nostra coscienza arriva l’autenticità di quel messaggio, al di là di come la nostra mente possa interpretarlo.

Mano a mano che la coscienza si espande, noi facciamo nuove esperienze percettive e smettiamo di considerarci come qualcosa di limitato: un corpo, un’emozione o un pensiero. Tu sei colui che pensa, colui che sente e colui che ha un corpo. Per la maggiore parte del tempo molte persone si cristallizzano nella percezione di se stesse come qualcosa di limitato. È un po’ come credere di essere un’auto solo perché la si guida. Così facendo si scambia l’auto per l’autista.

Questa cristallizzazione determina una fissità nella percezione della realtà, che appare assolutamente limitata. Attraverso il punto di vista del Sole la coscienza si espande gradualmente e armoniosamente, diventando impersonale. La considerazione di se stessi acquista una profondità insospettabile: le possibilità percettive si moltiplicano migliaia di volte e la coscienza, non più limitata, inizia a considerarsi il mondo stesso, interagendo con esso attraverso nuove e appaganti risorse. I vecchi limiti (pensieri limitanti e ossessivi, emozioni distruttive e pesanti, squilibri vitali e fisici, considerazione limitata di sé) fanno posto a una nuova Coscienza Solare.

Normalmente ogni essere umano è concepito come un campo di energia individuale che interagisce con altri campi, scambiandosi informazioni, ma questa percezione è illusoria e deriva da una prospettiva terrestre polare.

Quando la frequenza luminosa individuale si sintonizza con il piano evolutivo solare, la coscienza della persona opera in un campo unificato di energia, dove non esiste polarità, non esiste un “io e te”, ma un unico campo energetico senza distinzioni, come un solo organismo. Questa è la percezione che si sperimenta nella Coscienza Solare.

Possiamo dire la stessa cosa per il nostro corpo: ogni cellula può essere considerata un’entità a sé stante svincolata da tutto il resto, oppure, seguendo un ordine di grandezza superiore, vederla come parte di un organismo infinitamente più grande. La nostra coscienza individuale è come una cellula che appartiene a un organismo più vasto, e attraverso la Coscienza Solare possiamo arrivare a percepire questo organismo nella sua totalità e interagire consapevolmente con esso, uscendo dagli abituali schemi energetici. Una volta realizzato questo, sarà possibile relazionarci col mondo circostante da un livello superiore, non più polare e diviso ma unitario, e ciò permetterà di attuare dei cambiamenti molto più profondi in ciò che chiamiamo realtà. Questa non sarà più percepita come qualcosa di separato da noi e quindi reagirà diversamente ai nostri impulsi. Con l’esperienza della Coscienza Solare si arriva alla percezione che tutto è una parte di noi, come un unico organismo, in un campo unificato di energia.

Alcuni anni fa feci un esperimento con un amico che soffriva di insonnia: dopo essermi portato sul piano evolutivo solare, gli chiesi di descrivere il suo problema nei minimi dettagli. Mentre parlava percepivo ogni sensazione, ogni pensiero, ogni emozione e ogni impressione, sia che appartenesse a lui che a me, come parte di un unico campo energetico indistinto, e come tale trasformavo tutto in pura luce contenente l’informazione di riequilibrio del sonno fisiologico. L’esperimento durò circa quindici minuti alla fine dei quali tutto sembrava normale, salvo il fatto che la notte stessa l’amico riprese a dormire dopo due anni di insonnia.

Con l’esperienza della Coscienza Solare i campi energetici reagiscono ai nostri impulsi in maniera differente. Se la coscienza smette di relazionarsi con il mondo circostante attraverso il piano evolutivo terrestre, considerando la realtà come qualcosa di separato da sé, e fa esperienza della Coscienza Solare, allora sarà in grado di accedere a risorse superiori rispetto a quelle precedenti e di avere a disposizione infinite possibilità che sfuggono alla percezione ordinaria delle cose.


L’origine del conflitto

La condizione migliore per l’essere umano è avere i piedi per terra e la testa nel Sole. Così facendo può concretizzare e realizzare un ordine superiore. La coscienza umana si è abituata a vivere secondo il punto di vista della Terra, dimenticandosi che si tratta solo di una delle infinite possibilità e si è cristallizzata in esso. Per questo vive immersa nella polarità, è da essa influenzata, e sperimenta il piacere e la sofferenza, la confusione e la chiarezza e ogni altra sensazione attraverso gli opposti. Questa è l’origine del conflitto interiore che l’uomo vive, che è alla base di molti disequilibri che coinvolgono tutto il nostro essere, dalle malattie fisiche agli squilibri mentali ed emozionali. Ristabilire la propria coscienza nel Sole, permette di superare questa polarità e sperimentare una visione unitaria delle cose, ricostituendo un ordine interiore presente nell’universo, che l’essere umano ha parzialmente perso fissandosi su qualcosa di relativo. Inner Sun è capace di portare dentro di noi un’informazione luminosa che riproduce il modello solare, riconducendo la polarità all’unità e sanando i conflitti generati dagli opposti. Quando l’uomo tenta di guarire usando una visione geocentrica, non fa altro che continuare a generare una polarità e così facendo alimenta un ciclo senza fine.

La malattia cercherà una guarigione e i problemi una soluzione; ma dopo ogni guarigione ci sarà una nuova malattia, e dopo ogni soluzione un nuovo problema, perché questa è la natura polare del piano evolutivo terrestre. L’informazione contenuta nel piano evolutivo solare è invece differente: i problemi si trasformano in risorse e in mezzi per acquisire più virtù, per crescere ed evolversi, e smettono di essere visti come tali. Non ci saranno più problema e soluzione, ma mezzi per poter crescere. La nostra visione interiore influenza ogni aspetto della nostra vita, dalla salute al modo di agire e reagire. Quando si raggiunge un ordine di equilibrio solare, prima compromesso, l’essere umano inizia a guarire ogni aspetto della sua esistenza, allineandosi con un’evoluzione armonica.

Osservando un problema dal punto di vista del Sole, mi accorgerò che la soluzione è il problema stesso, poiché diviene lo strumento per rendermi consapevole di me stesso. Il senso di ogni vera guarigione e di ogni vera soluzione non è quello di superare la malattia o di risolvere il problema, ma è la consapevolezza di essere una coscienza al di là della malattia e del problema.


da “Il Codice della Luce. Nutrirsi e guarire con il Sole”
di Daniel Lumera








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