lunedì 30 agosto 2010

Trovare la chiarezza per aprire il cancello

I Tarocchi Zen di Osho
72. L'outsider


Dunque ti senti un outsider. È un bene! È solo un periodo di transizione. Ora devi stare attento a non imbottirti di dolore e miserie. Ora che Dio non c'è più, chi potrà consolarti? Ma non hai bisogno di alcuna consolazione. L'umanità è maturata. Sii un uomo, sii una donna, e reggiti sulle tue gambe... Il solo modo per essere connessi all'esistenza è scendere in se stessi, poiché lì, al centro, sei ancora connesso. Dal punto di vista fisico, sei stato staccato da tua madre; quello stacco era assolutamente necessario per fare di te un individuo, con un proprio diritto a esistere. Tuttavia, non sei slegato dall'universo, il tuo legame con l'universo si fonda sulla consapevolezza. Non lo puoi vedere, pertanto devi scendere nel profondo, con immensa attenzione, con piena coscienza, con una presenza attenta, osservando come un testimone distaccato - allora scoprirai quel vincolo. Il buddha è quella connessione!

Osho God is Dead: Now Zen is the Only Living Truth Chapter 3


Commento:

Il bambino raffigurato in questa carta è fermo da un lato del cancello, e guarda dall'altra parte. È molto piccolo, ed è fermamente convinto di non poter passare: non riesce a vedere che la catena che tiene chiuso il cancello è priva di lucchetto. La sola cosa che deve fare è aprirlo. Ogni volta che ci sentiamo "tagliati fuori" o esclusi, in noi insorge la sensazione di essere un bambino piccolo e inerme, impotente. Non deve sorprendere, in quanto questa sensazione è profondamente radicata nelle esperienze della prima infanzia. Il problema è questo: poiché è una sensazione tanto profondamente radicata in noi, continua a girare e girare nell'arco della nostra esistenza, come un nastro registrato. In questo momento, hai l'opportunità di fermare il nastro, di smettere di tormentarti con l'idea di non essere "abbastanza" per essere accettato e incluso. Riconosci che le radici di queste sensazioni sono nel passato, e lascia andare quella vecchia sofferenza. Ciò ti darà la chiarezza di vedere in che modo puoi aprire il cancello ed essere ciò che da lungo tempo aspiri a diventare.


martedì 24 agosto 2010

Il Buddhismo: cos'è?



BUDDHA e il BUDDHISMO

Semplici domande e risposte



1 - Buddha è un Dio?
Buddha è stato un semplice uomo.


2 - Perché viene adorato come un Dio?
Questa è un'idea errata che nasce dall'ignoranza relativa al Buddhismo. Non c'è motivo per adorare Buddha come un Dio.


3 - Quale Dio adorano i Buddhisti?
Buddha e i suoi seguaci non hanno parlato di Dio.


4 - Dunque i Buddhisti sono atei?
Buddha NON si è occupato dell'esistenza o della non-esistenza di Dio. L'insegnamento Buddhista riguarda la liberazione dalla sofferenza. Esso ha caratteristiche di grande universalità e non è incompatibile con la fede in Dio, né con l'agnosticismo o l'ateismo. L'esistenza e la natura di Dio non sono trattati nelle argomentazioni del Buddhismo. Possiamo quindi affermare che nessuno dovrebbe percepire, da parte del Buddhismo, una "concorrenza" alla propria fede, qualunque essa sia.


5 - Il Buddhismo è o non è una religione?
In realtà il Buddhismo NON è una religione, nel senso comune in cui questo termine è inteso. Ovverosia come una tradizione istituzionalizzata concernente una dottrina su Dio, su come gli uomini possono adempiere la Sua volontà, sulle autorità che possono fare da tramite fra l'umano e il divino, ecc...
Il Buddhismo ha, nei confronti di ciò, due caratteristiche fondamentali:

a) NON è alcuna di queste cose,
b) NON si pone in conflitto o in alternativa con esse.

È un fatto che, in alcuni paesi come il Tibet, il Buthan, la Thailandia... il Buddhismo è stato fatto diventare un sistema teoretico o una "religione di stato", con tanto di Chiesa, di autorità ecclesiastiche, di dottrine, di moralismi. Di ciò non possiamo certo accusare Buddha, e nemmeno il suo insegnamento originale. Come, del resto, non possiamo accusare Gesù per gli errori delle Chiese Cristiane, per le loro scissioni istituzionali e per le loro divergenze dottrinarie...
Sul fatto che il Buddhismo sia o non sia una "religione", tanto l'occidente che l'oriente sono destinati, per lungo tempo ancora, ad alimentare una interminabile serie di favole e di pregiudizi.


6 - Se dunque il Buddhismo non è una religione, cos'è?
>>> Il Buddhismo è un sistema pratico per affrontare il problema della sofferenza e per cercare una liberazione da essa. Fra le poche convinzioni del Buddhismo c'è quella che nessuna acquisizione intellettuale sia risolutiva in tal senso, né le speculazioni filosofiche, i culti, le pratiche liturgiche o i ritualismi di varia natura.
Il Buddhismo invita a compiere un percorso che deve essere:

a) esperienziale,
b) personale,

al di fuori di ciò ci si sposta verso cose che possono essere belle, elevate, utili, ma che NON sono il Buddhismo <<<



7 - Tornando a Buddha, chi era?
Il Buddha che conosciamo dalle tradizioni è un'entità costituita in larga misura da elementi simbolici e leggendari. Esso è comunque inteso come pura e semplice natura umana. NON sarebbe corretto immaginare Buddha come un essere sovrannaturale, in grado di compiere miracoli, una incarnazione divina o Dio stesso. La figura di Buddha fornisce lo stereotipo di ciò a cui l'uomo dovrebbe aspirare: ovverosia al fatto di essere illuminato e liberato.
Tutto questo non esclude, anzi probabilmente implica, che la figura di Buddha abbia radici in qualche realtà storica. È possibile, infatti che essa abbia preso l'avvio da un personaggio di stirpe regale, vissuto a cavallo fra il sesto e il quinto secolo a.C., contemporaneo di altri "grandi dello spirito": il greco Pitagora, il persiano Zarathustra, i cinesi Confucio e Lao Tze. Il Buddhismo ha ricevuto grande impulso da parte di un re indiano del III secolo a.C., Ashoka, il quale ha adottato (o adattato?) l'insegnamento per farne una religione di stato. Del resto si pensi al fatto che la prima stesura scritta dei "detti del Buddha" è stata fatta a Ceylon (oggi Sri Lanka) quattro secoli dopo il periodo presunto in cui Buddha sarebbe vissuto, e migliaia di kilometri più a sud dei luoghi della predicazione originaria.
Una delle fonti migliori per conoscere la figura di Buddha, e alcuni dei suoi probabili aspetti storici, è la seguente:

Thich Nhat Hanh, VITA DI SIDDHARTA IL BUDDHA, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma (1992).

In questo libro si racconta che Buddha, il principe Gautama, o Siddharta, della nobile famiglia Sakya, in giovane età avrebbe lasciato moglie e figlio nonché avrebbe rinunciato al diritto al trono per darsi alla vita ascetica, in cerca della causa della sofferenza umana e della verità spirituale. Avendo sperimentato diverse filosofie e diverse pratiche, sarebbe giunto all'illuminazione attraverso una profonda interiorizzazione e la convinzione che gli eccessi e i vari ascetismi, così come i dogmi, le liturgie e le pratiche cultuali, non giovano in alcun modo allo sviluppo della consapevolezza. La vera consapevolezza, che è anche felicità, si raggiunge attraverso l'ABBATTIMENTO DELL'ILLUSIONE. Egli avrebbe insegnato vagando per molti decenni nell'India settentrionale, raccogliendo una vasta comunità di seguaci, talvolta osteggiato dal clero brahmanico locale. Sarebbe morto all'età di oltre ottanta anni.


8 - Cosa insegna il Buddhismo?
Il Buddhismo è un metodo, non una teologia o una dottrina. Più che teoria esso è PRATICA: un approccio operativo che ciascuno dovrebbe adottare nei confronti della propria vita. Ovviamente tale approccio prende le mosse da alcune convinzioni fra cui, volendo sintetizzare, quella che...

la vita è accompagnata dalla sofferenza perché l'uomo vive nell'inconsapevolezza della realtà,

egli si affida ai sensi e alla coscienza mentale, accettando come realtà quella che invece è un'interpretazione psicologica di carattere simbolico e illusorio, compresa la percezione del proprio sé come entità separata. La sofferenza è il prodotto di questa dissociazione. Nessuna acquisizione intellettuale può sradicare la sofferenza ma solo la realizzazione esperienziale e personale di tale dissociazione.


9 - Allora secondo i Buddhisti il mondo, essendo immaginario, non esiste, lo inventerebbe la mente?
Siamo completamente fuori strada...

la realtà esiste ma l'uomo non la percepisce come tale, bensì secondo schemi che dipendono dalla sua struttura neuropsicologica.

Forma, colore, calore, suono, pienezza, rarefazione, odore, sapore... sono rappresentazioni simboliche che non rispecchiano l'essenza della realtà e che, tra l'altro, riguardano solo piccoli segmenti di realtà. Anche il tempo e lo spazio, come categorie oggettive, assolute e distinte, appartengono all'universo delle interpretazioni mentali. Percorrendo questa strada il buddhista giunge persino a mettere in discussione il senso dell'ego. Ovverosia...

nega che esista realmente nell'uomo qualcosa di essenziale che possa essere definito un sé individuale che non sia, come tante altre percezioni, una rappresentazione illusoria.


10 - Il Buddhismo insegna la reincarnazione?
Può sembrare strano: la filosofia originale del Buddhismo NON insegna la metempsicosi, intesa comunemente come trasmigrazione dell'anima individuale da un corpo ad un altro. Ciò costituirebbe una contraddizione in termini ed è, di fatto, una leggenda metropolitana. Il Buddhismo insegna innanzitutto l'inesistenza sostanziale del sé separato. Con questo presupposto, quale sarebbe l'entità individuale che trasmigra da un corpo ad un altro? Qualche sedicente buddhista risponde: la mente personale; dimenticando, o ignorando, che la mente personale è la controparte psichica dell'architettura neurologica e che con la morte essa si dissolve.
Al di là delle tante comuni credenze popolari, secondo le quali è vero tutto l'impossibile e il contrario di tutto il possibile, IL DISCORSO SULLA REINCARNAZIONE ANDREBBE RIVISITATO come concetto di UNIVERSALITÀ della vita e della sua continua trasformazione attraverso INTERSCAMBI e relazioni di CAUSA-EFFETTO (legge del karma).
Purtroppo la chiarezza su questo punto è messa seriamente in pericolo dalla disinvoltura con cui talvolta opinioni e convinzioni di facile e conveniente fruibilità sono confuse con l'insegnamento reale, non altrettanto facilmente comprensibile dalla gente comune. La storia di tutte le religioni reali è storia di un intreccio fra credenze popolari e insegnamento originario. In conclusione: l'autentico pensiero Buddhista NON implica l'idea della reincarnazione intesa nel senso tradizionale della metempsicosi.


11 - Il Buddhismo invita ad assentarsi dal mondo e dalle sue faccende?
Siamo ancora fuori strada... Il Buddhismo insegna l'illusorietà del mondo ordinario che l'uomo conosce attraverso l'esperienza sensoriale, NON l'inesistenza del mondo e della realtà essenziale. NON insegna l'assenza ma il DISTACCO, e questo non implica l'assenza ma, al contrario, è la condizione ottimale della presenza.


12 - Col Buddhismo scienza e religione entrano in urto frontale?
È esattamente il contrario! Non esiste pensiero più in armonia con le acquisizioni della scienza moderna. Lo confermano la fisica relativistica e quantistica; quella degli spazi cosmici e quella delle particelle elementari. Lo conferma la biologia evoluzionistica, la neurofisiologia e la psichiatria. L'antica immagine euclideo-newtoniana del mondo materiale, nonché quella cartesiana del mondo mentale sono illusioni prospettiche che la scienza moderna ha iniziato a svelare come tali.


13 - Il Dalai Lama è, come il Papa per i Cattolici, l'autorità suprema e centrale del Buddhismo?
Certamente NO! Il Dalai Lama è solo il presidente in esilio del Tibet (nazione attualmente sotto il dominio cinese). Il governo tibetano precedente l'invasione cinese era costituito da una clerocrazia e il capo era, ed è considerato tuttora, Tenzing Gyatso (Dalai Lama). La sua popolarità nel mondo è dovuta senz'altro alle qualità umane, culturali e spirituali, ma la sua fama è in parte il risultato di una strumentalizzazione propagandistica nel conflitto economico politico che oppone l'occidente alla Cina (fermo restando, ovviamente, che il Tibet, come ogni altro paese, ha diritto alla sua libertà e indipendenza). Molte figure del Buddhismo contemporaneo, altrettanto degne, sono sistematicamente sconosciute in occidente, perché non sono adatte ad una simile strumentalizzazione utilitaristica. Il Buddhismo non ha nessun "Pontefice". Esistono numerose scuole e interpretazioni del Buddhismo, spesso identificate con le tradizioni dei paesi nei quali ha avuto maggiore sviluppo: Tibet, Shri Lanka, Birmania, Thailandia, Cambogia, Viet Nam, Cina, Corea, Giappone... Si può così parlare di Buddhismo Theravada, Mahayana, Chan, Zen, Tantrismo buddhista, ecc... In genere queste scuole non si pongono l'una nei confronti dell'altra in una situazione di aperto conflitto, come succede invece fra Cattolici, Ortodossi e Protestanti, in ambito Cristiano, o fra Sunniti e Shiiti, in ambito Musulmano.


14 - Perché dovrei convertirmi al Buddhismo?
Personalmente lascerei perdere ogni questione di CONVERSIONE, anche perché non stiamo parlando di una religione o di una ideologia esclusivista, e la sostituirei con tutta un'altra domanda: ...perché dovrei continuare ad ignorare il Buddhismo? Troppo spesso le religioni sono indossate come divise della propria identità etnica e culturale, ed utilizzate come pretesti per giustificare le peggiori attitudini. È tempo che l'approccio spirituale muti radicalmente sostanza e che l'idea di APPARTENENZA sia letteralmente soppiantata da quella di COMPRENSIONE. Chi è nato e cresciuto cristiano, ebreo, musulmano, indù, agnostico, ateo... dovrebbe semplicemente essere quello che è nel MODO MIGLIORE possibile. In ciò il Buddhismo fornisce un buon aiuto.


15 - Che altro insegna il Buddhismo?
Oltre alle cose dette al punto 8, possiamo aggiungere, con riferimento a quanto classicamente attribuito allo stesso Buddha, che il Buddhismo insegna i "Tre Principi Fondamentali" e le "Quattro Nobili Verità":

I "Tre Principi Fondamentali":
  • IMPERMANENZA (tutto ciò che è esperibile ha inizio e fine),
  • NON SÉ (niente ha esistenza in sé come entità distinta e separata dal resto, nemmeno l'identità dell'uomo),
  • NIRVANA (il substrato essenziale di tutto, compresa la dimensione umana, è una realtà radicata nella coscienza e libera dal dualismo piacere-dolore).
Le "Quattro Nobili Verità":
  • il vivere comune è intriso di sofferenza,
  • la sofferenza ha delle cause che spesso ci sfuggono,
  • è possibile l'emancipazione dalla sofferenza,
  • esistono delle indicazioni per cercare la liberazione dalla sofferenza.
Ovviamente tutto ciò deve essere ben spiegato, e non è questa la sede per tale approfondimento. Ci basti aggiungere che tali punti sono finalizzati a mettere l'uomo in condizioni di raggiungere l'esperienza non ordinaria di "conoscere se stesso" nella sua reale essenza. In conseguenza di ciò le cause comuni della sofferenza perdono la loro supremazia nell'universo mentale. L'uomo ha così accesso alla fonte della beatitudine totale (Nirvana) che è già latente in lui, soffocata dal meccanismo psicologico a cui si trova normalmente sottomesso. Un obiettivo che si manifesta nel corso di tutta la vita comune come anelito a qualcosa di più risolutivo e permanente del semplice appagamento dei sensi, dei desideri e degli istinti.


16 - Che devo fare se voglio approfondire la mia conoscenza del Buddhismo?
Consiglio di iniziare con la lettura del libro di Thich Nhat Hanh che abbiamo precedentemente citato: "Vita di Siddharta il Buddha", seguito da "Il Sentiero" (stesso autore, stesso editore). In secondo luogo attingerei il più possibile alle fonti originali, fra cui principalmente il DHAMMAPADA. Solo in seguito leggerei commenti moderni, di autori occidentali e orientali. Infine cercherei di non dimenticare che la Verità ha un'unica casa: il centro di noi stessi. Quel luogo lo possiamo raggiungere esclusivamente da soli. Se vogliamo arrivarci, dobbiamo arrangiarci. Ma, per nostra consolazione, in tutte le strade, anche nelle più impervie, si trovano ogni tanto dei cartelli...



- a cura di Buddarta (David Donnini) -

http://www.nostraterra.it/buddha.html



venerdì 20 agosto 2010

venerdì 13 agosto 2010

Troppo cuore...


Dall’alto della scalinata che conduceva a una piccola chiesa circondata dalla boscaglia, si dominava il panorama ineguagliabile di San Cristóbal de Las Casas. Una distesa di tegole rosso scuro e caffè tostato, nel reticolo squadrato tipico delle colonie spagnole, dove si distingueva il giallo ocra della cattedrale e il verde oliva del giardino attorno al chiosco dello zocalo, la piazza centrale. Il sole declinava velocemente dietro le montagne blu, e il freddo pungente dell’inverno chiapaneco giustificava gli innumerevoli fili di fumo bianco che si levavano dai comignoli, mentre un intenso odore di legna resinosa bruciata si diffondeva sulla città. Leandro, seduto contro il parapetto dell’ultima piazzola, stringeva tra le braccia Adelita, la schiena di lei contro il petto di lui, e visti dal basso sembravano un bozzolo variopinto, per via delle giubbe di lana comprate quello stesso mattino al mercato. Leandro parlava sottovoce, in tono monocorde, senza chiedersi se Adelita fosse davvero interessata a quel lungo sfogo che assomigliava a un bilancio esistenziale. Era la prima volta che raccontava se stesso a qualcuno, riesumando le parti morte del suo passato, forse con l’inconsapevole intento di capire cosa ci stesse a fare lì, e perché nulla di quanto aveva fatto fino a quel momento lo soddisfacesse. Adelita ascoltava, e non sentiva il bisogno di confermargli che valeva la pena dire tutto quello che stava dicendo.

– C’è questa assurda sensazione di onnipotenza, quando stai dietro la telecamera. Guardi tutto attraverso di lei, la realtà si dipana per inquadrature, ti abitui a ragionare con i suoi stessi parametri elettronici, noti sempre il controluce, da dove arriva l’illuminazione, con che taglio, ti abitui a dare uno spessore completamente diverso alle cose quando la luce le tocca, o le esalta con un riflesso... Le ore trascorse a girare hanno un’intensità diversa. E quando smetti, la sera o al mattino, senti che la tua memoria visiva è intasata, e gli occhi hanno subìto uno scompenso difficile da spiegare: uno continua a vedere la realtà vera, l’altro la riprende. Una pupilla resta intasata, l’altra è normale. Forse è anche da questo che deriva la sensazione di schizofrenia, che ti accompagna sempre, anche quando ti costringi a lasciare la telecamera a casa... Dicevano che ero una “buona spalla”. Perché sapevo usare al meglio la telecamera da spalla, ero un buon operatore per immagini fluide, riuscivo a trasformare il mio corpo in un cavalletto semovente... La telecamera diventa una compagna, dopo anni e anni tendi a umanizzarla... Lei pesa, ti fa male, ti segna la spalla di un eterno livido bluastro, e un altro sulla gamba, dove sbatte quando la porti in giro... Ma finisce che si crea una simbiosi, e allora sai che lei è delicata, ha una mente e un cuore, e teme gli sbalzi di temperatura, se passi dal freddo al caldo si appanna e impazzisce, l’umidità la può ferire a morte, e così vivi nel continuo terrore che le accada qualcosa, perché alla fine è lei che ti permette di portare a casa tutto... C’è questo momento magico in cui entra un’inquadratura dietro l’altra, e ti muovi come in trance, non senti nessuno, e vai avanti, giri, giri, e se stanno sparando, è quello il motivo per cui crepano tanti operatori: sono lì ma non sono lì. Tra te e quelli che combattono si crea un filtro, e non ti rendi conto che le pallottole non lo rispettano, quel filtro... Ma per campare, visto quello che giravo in zone di guerra, dovevo fare altro, cioè stare a disposizione dei notiziari e tenermi pronto a correre fuori di casa alla prima telefonata. I servizi giornalistici funzionano così: è successa la tal cosa, ti chiamano, ti precipiti all’appuntamento con l’inviato, e quello dice: “Inquadrami il morto, fammi un primo piano della moglie che piange e urla, seguimi che la intervistiamo”... Fino a pochi secondi prima parlava sghignazzando di donne e sport, e della cravatta che non si intonava alla giacca, e subito dopo, mentre lo inquadri, assume quell’aria addolorata, e il tono è da dramma in diretta. Poi, in macchina, lui scrive il pezzo e parla di scemenze qualsiasi con l’autista, e intanto tu hai assorbito nel cervello la faccia del morto, la casa sventrata, le macerie del terremoto con i brandelli di esistenza sparsi nella polvere, la donna che piangeva, gli occhi smarriti di un bambino, il sangue sull’asfalto dell’autostrada... E li tieni tutti qui, dentro il cranio, e ti impregnano le budella, e prima o poi la sconti... Non si può avere una coscienza e fare tutto questo senza che si scavi un buco nero nel cuore. Niente emozioni, perché se ne hai, sei fregato. Non ho resistito. Mi sentivo un guardone, un ladro di dolori altrui. E così ho dato un calcio alla carriera che tanti altri mi invidiavano.

Leandro tacque per qualche istante. Fissò i capelli di Adelita. Chiuse gli occhi e si perse nel suo profumo di mandorle dolci. Lei sospirò, si voltò a guardarlo, e mormorò:

– Perché ti sei fermato qui? Perché proprio in Messico?

Leandro conosceva la risposta, ma sapeva che non era possibile darle una forma, trovare le parole e disporle nel modo giusto. Così, rispose soltanto:

– Perché mi ha costretto a vivere.

Adelita fece un cenno vago, un’espressione in cui si mescolava l’amarezza e l’ironia.

– A molti di noi che ci siamo nati, invece, il Messico costringe a sopravvivere. E spesso, a morire.

Leandro annuì, senza aggiungere nulla.

– Eppure – continuò Adelita – nonostante tutto, non siamo disposti a disprezzarlo. Al contrario, lo amiamo. Per quanto sia spietato e crudele, lo amiamo come una creatura fragile, che noi stessi distruggiamo e ricostruiamo in ogni istante. Non saprei dirti perché, Leandro, noi messicani amiamo tanto il nostro paese, anche quando ci tratta come schiavi e ci umilia. Però mi piacerebbe capire perché tu, uno straniero, te ne sei innamorato... Cosa ti ha dato e cosa ti aspetti dal Messico...

Leandro strinse più forte Adelita tra le braccia, sentì che anche lei rabbrividiva per una folata di vento gelido calato dalle montagne blu, e aprì la bocca un paio di volte cercando di iniziare un discorso. Lei glielo impedì: lo baciò, trasmettendogli calore in tutto il corpo. Avvicinandogli le labbra all’orecchio, gli sussurrò:

– C’è tempo, mi amor. Non devi dirmi tutto adesso.



– da “Demasiado Corazón” di Pino Cacucci


sabato 7 agosto 2010

Mangiare con consapevolezza e meditazione


Ci sono cibi che ti attirano moltissimo e l’attrazione nasce dal fatto che li vedi disponibili. Vai in un hotel, in un ristorante, e vedi certi cibi - l’odore che esce dalle cucine, il colore e l’aroma del cibo. Tu non stavi pensando al cibo, e improvvisamente ne senti il bisogno - ciò non ti aiuterà. Questo non è il tuo desiderio reale. Puoi benissimo mangiare quella cosa - e non ti sentirai soddisfatto. Mangerai senza trarne alcun beneficio; alcuna soddisfazione. E la soddisfazione è la cosa più importante. È l’insoddisfazione che crea l’ossessione.

Semplicemente, ogni giorno, prima di mangiare, medita. Chiudi gli occhi e senti di cosa ha bisogno il corpo: qualunque cosa sia! Non hai ancora visto il cibo - non hai davanti del cibo; stai semplicemente sentendo il tuo essere, ciò di cui ha bisogno il tuo corpo, ciò che desideri, che ti è assolutamente necessario.

Il Dott. Leonard Pearson definisce questi cibi “cibi risonanti” - cibi che emettono un sottile mormorio. Vai e mangiane quanto ne vuoi, ma limitati a quello. Gli altri cibi vengono definiti “cibi invitanti”: ti interessano solo quando li vedi. Perciò si tratta di una cosa mentale, non è un tuo bisogno. Il corpo desidera semplicemente ciò di cui ha bisogno, non desidera nient’altro. Questo ti sazierà, e una volta conosciuto l’appagamento, non cercherai altro cibo.

Il problema si manifesta solo se ti nutri di cibi “invitanti”: li vedi, ne divieni interessato e li mangi. Ma non possono darti soddisfazione, perché il corpo non ne ha bisogno. E non traendone soddisfazione, non ti senti sazio. Perciò mangi di più, ma per quanto mangi, non ti senti mai sazio, perché non ne avevi bisogno fin dall’inizio. Se riesci a soddisfare il primo tipo di desiderio, allora il secondo scomparirà. La gente invece non ascolta mai il primo, per cui il secondo diventa un problema.

Se ascoltassi i cibi che risuonano in te, quelli che ti invitano scomparirebbero. Il secondo diventa un problema solo perché hai scordato completamente di ascoltare il tuo desiderio interiore, e ti è stato insegnato a non farlo. Ti hanno sempre detto: “Mangia questo, non mangiare quello”, regole fisse. Il corpo non conosce regole fisse.

L’uomo ha dimenticato il linguaggio del cibo. L’uomo viene ingannato dappertutto, con la pubblicità, le immagini a colori, la televisione, il cinema. Vieni attratto verso altri cibi, e allontanato dalla risonanza del tuo corpo. Le aziende sono interessate a venderti qualcosa da cui loro traggono favori e benefici, non tu.

Ti ci vorrà qualche giorno, qualche settimana forse, per imparare a sentire ciò di cui hai bisogno. Non badare a quello che dicono gli altri. Se desideri del gelato, mangia il gelato. Mangia finché non ti senti sazio, finché ne desideri, e improvvisamente scoprirai cosa significa sentirsi appagati. Una volta conosciuto l’appagamento, non sentirai più il desiderio di abbuffarti.

È l’insoddisfazione che ti porta a riempirti sempre di più, e senza alcun risultato. Ti senti pieno, ma insoddisfatto, da qui nasce il problema. Perciò riscopri innanzitutto ciò che è naturale. Perché abbiamo solo dimenticato: è tutto lì nel corpo. Quando vai a far colazione, chiudi gli occhi e senti cosa desideri; qual è il tuo desiderio reale. Non pensare a cosa c’è; pensa solo a quello che desideri, e poi cerca quella cosa e mangiala. Fai così per qualche giorno. A poco a poco vedrai che i cibi non ti “inviteranno” più.

E poi un’altra cosa: quando mangi, mastica molto bene. Non ingoiare tutto in fretta, poiché il cibo è piacere orale, la bocca può gustarlo. Perché allora non masticarlo di più, gustarlo di più? E per rendere il gusto ancora più intenso, fai tutto ciò che puoi. Quando mangi qualcosa, prima annusa. Gustane l’aroma, perché metà del gusto sta nell’aroma. Perciò annusa il cibo, guardalo. Non c’è fretta, prenditi tutto il tempo che vuoi. Fanne una meditazione. Anche se gli altri pensano che sei matto, non curartene. Guardalo da ogni lato. Toccalo con gli occhi chiusi, accostalo alla guancia. Gustalo in tutti i modi, inalane l’aroma. Poi prendine un boccone e masticalo, godendone pienamente; fanne una meditazione. Una piccolissima quantità di cibo ti basterà e ti farà sentire molto più soddisfatto.


Osho



- dal sito Vivi Zen: http://www.vivizen.com/2009/01/osho-tecnica-per-chi-mangia-troppo.html -


domenica 1 agosto 2010

Il Sutra del Loto




Presentazione

di Paolo Franceschetti


Il Sutra del Loto è un testo bellissimo, profondo e per molti aspetti magico. Purtroppo è poco conosciuto per varie ragioni, una delle quali è senz’altro la pesantezza del linguaggio, fatto di infinite ripetizioni di parole e concetti.

Il testo originale infatti, è pensato per essere esposto oralmente e memorizzato, in un’epoca in cui la parola scritta e i libri in genere non esistevano. Per questo motivo le ripetizioni di cui l’opera si compone, all’epoca in cui essa fu scritta, avevano un senso ben preciso perché servivano per evitare che un concetto venisse perso, scordato, o che sfuggisse all’attenzione dell’ascoltatore, ma purtroppo rendono il sutra praticamente illeggibile ai tempi di oggi, per qualsiasi lettore occidentale, anche il più colto.

In realtà, depurato il testo dagli arcaismi e dalle ripetizioni infinite, rimane un testo stupendo, capace di affascinare, di spiegare complessi concetti religiosi, ricco di parabole bellissime, immagini spettacolari, mantra magici.

Presentiamo quindi questa edizione semplificata del Sutra, sperando che ciò possa contribuire ad una sua maggiore diffusione, affinché venga apprezzato il testo per quello che è.

In primo luogo questo libro è stato pensato affinché il Sutra del Loto si diffonda, venga letto e compreso a fondo negli ambienti buddhisti che si rifanno al suo insegnamento, ma anche molti altri lettori lo troveranno interessante e potranno addirittura restare incantati da esso.

Coloro che si interrogano sul perché delle diverse religioni potranno trovare una risposta al problema della pluralità delle religioni. Il sutra contiene infatti concetti molto evoluti, che si pongono al di sopra di qualsiasi religione e in grado di spiegare il motivo per cui esistono diverse fedi, ciascuna con una propria visione della divinità e della vita.

Chi cerca un senso della vita lo troverà nel concetto di Bodhisattva e, qualora poi volesse approfondire il buddhismo di Nichiren Daishonin, nel concetto di Kosen Rufu che vi è intimamente collegato.

Gli appassionati di esoterismo vi troveranno mantra e formule magiche, alcune di sperimentata efficacia. Chiunque pratichi il buddhismo di Nichiren Daishonin ha provato nella sua vita l’efficacia del mantra Nam Myo Ho Renge Kyo. Ma altri mantra sono contenuti negli ultimi capitoli del libro.

Chi cerca un modo di uscire dalla depressione e non ha trovato la soluzione nelle psicoterapie tradizionali, forse troverà in questo sutra, o più che altro nella pratica che si basa su di esso, una possibile risposta. Per questo motivo uno dei paragrafi è stato intitolato “e liberaci dal male oscuro”. Perché grazie alla pratica basata su questo sutra molte persone hanno vinto la loro lotta contro la depressione.

Coloro che professano un culto, quale che esso sia, troveranno comunque un testo diverso da quelli tradizionali, in grado di far riflettere chiunque sul ruolo della religione nella vita del singolo individuo e della società.



Il Sutra del Loto

Versione semplificata e unificata delle edizioni sanscrita e cinese


di Paolo Franceschetti


Per ordinare il libro:

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=482121


oppure:

http://www.lafeltrinelli.it/products/2120004820997/Il_Sutra_del_Loto/Paolo_Franceschetti.html










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