martedì 15 marzo 2011

La verità del Tao


Il maestro si trovava vicino alla grande Pagoda Wyn Chou che si stagliava immensa, grande all'incirca come quella vera, al di là del fiume, dove il vecchio Gou Lin Dhao scrutava i suoi fantasmi nell'ombra. Riempiva quasi tutta la stanza di Huao Chyen che ormai preferiva dormire fuori dalla porta.

Quella mattina la costruzione della grande Pagoda era stata finalmente completata.
Era una delle cose più belle che il giovane Gou Lao Youn avesse mai visto; non ci si stancava mai di guardarla, specie al tramonto, quando i raggi rossi e obliqui del sole entravano nelle sue aperture, penetravano nei suoi prismi di carta e resina e la illuminavano di mille colori.

Per costruirla erano occorsi quasi tre anni di lavoro... con pazienza e perizia era stata edificata un poco alla volta, raccogliendo e intagliando mille pezzetti di pane secco, di foglie del grande giardino Botsiao di tutte le grandezze e colori, di fiori e aghi di pino lavorati, impastati insieme e manipolati per farli diventare minuscoli gradini di legno, infissi di microscopiche finestre, tegole d'oro del grande tetto ondulato, largo quasi quanto l'intera stanza di Huao Chyen, che erano state incastrate e giustapposte in un enorme, inafferabile mosaico.

Il discepolo si avvicinò con discrezione, forse quasi un reverenziale pudore, vedendo il proprio maestro assorto nella contemplazione di quell'opera maestosa.
"E' molto bello, maestro", sussurrò infine, con incontenibile ammirazione.
Il vecchio monaco distolse lo sguardo dalla Pagoda Wyn Chou e delicatamente lo condusse negli occhi commossi del ragazzo.
Sotto la saggezza di mille rughe pietrificate la piccola bocca, come una ferita di Wan Lao sull'albero del pesco, sorrideva serena e gentile con l'amore silenzioso di un vecchio padre.
Il giovane sorrise a sua volta e il suo petto vibrava di orgoglio. Guardò in terra, sul pavimento dove le quindici scale della Pagoda, come radici di un grande albero vorace, sembravano quasi lambire i suoi sandali whon dhou.

Ma quando rialzò la testa il suo sorriso scomparve.
Con occhi increduli vide il suo maestro sollevare in silenzio il braccio destro sopra la sua testa e colpire con violenza la mirabile struttura, una volta, una volta e una ancora, con le mani, con i piedi, gettandovisi con tutto il corpo finché non rimase più niente da guardare, solo un inutile cumulo di foglie, croste di pane dipinte, fiori secchi e paglia.

In un solo istante il paziente lavoro di tre anni si era dissolto nel nulla.
L'allievo guardò stupefatto e addolorato prima il cumulo poi il maestro; le sue labbra tremavano, gli occhi spalancati dallo stupore rigettavano quella scena e cercavano ancora le bellissime forme che pochi istanti prima li avevano riempiti con i loro colori. Il giovane stette in silenzio a lungo, corrucciato e attonito. Il maestro non parlava ancora ed egli non riusciva a reprimere profondi e desolati sospiri.

Allora il saggio si incurvò con grazia e dalle macerie raccolse un piccolo fiore di Wo Tu Tse e lo portò sotto i suoi occhi grandi e calmi facendone rotolare il gambo secco fra le dita.

"Mio caro Gou Lao Ryu", disse allora, "non dobbiamo pensare che le cose debbano durare per sempre; la loro natura è quella di cambiare continuamente sotto i nostri occhi e i nostri occhi cambiano con le cose... la vera bellezza non è una Pagoda Wyin Chou che sogna di sopravvivere al suo tempo... ma è il tempo stesso, con il suo respiro che crea e distrugge. E' il movimento del Tao in cui gli opposti si inseguono come due amanti, ma, bada Gou Lao Ryu, in nessuno di essi arderebbe la fiamma dell'amore se non ci fosse l'amato da inseguire. La grande Pagoda è inscritta nel cerchio infinito del tempi, essa è pagoda, è stata il pane che è avanzato dal nostro desco e prima ancora il grano per farlo, oggi è il piccolo fiore Wo Tu Tse che si sbriciola tra le mie dita. Tutte queste cose e nessuna di esse perché il prima e il dopo non esistono singolarmente; il passato, il presente e il futuro sono la stessa cosa e io e te siamo già morti, siamo ancora qui e dobbiamo ancora nascere... questa è infatti la verità del Tao".

L'allievo era stato in silenzio, il volto ancora corrucciato e gli occhi ubriachi di pensieri e di dolore. "Capisco maestro", disse infine, "la verità del Tao mi è ora più chiara...". Aprì la bocca per continuare ma la richiuse sopraffatto ancora dal vuoto che era subentrato a tanta pur effimera bellezza.
"Ma un'altra volta", aggiunse infine dopo un altro interminabile, pensieroso istante, "perché non butta giù la sua?"



- tratto da "La seconda che hai detto! Il libro di Quelo e di altra gente in grossa crisi" di Corrado Guzzanti -



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