venerdì 29 luglio 2011

La dottrina immortale



Non era ancora mezzanotte, ma Glyndon già si dirigeva al luogo dell’appuntamento. Il misterioso ascendente che Zanoni aveva acquistato su di lui era ancor più solennemente confermato dagli avvenimenti delle ultime ore: l’improvvisa fine del principe, accuratamente preordinata e tuttavia così accidentale in apparenza, provocata da cause banali e associata a parole profetiche, tutto gli aveva suscitato una profonda ammirazione e altrettanto rispetto. Era come se quell’essere misterioso potesse mutare gli eventi più ordinari e gli strumenti più meschini in agenti della sua inscrutabile volontà; ma se era così, allora perché aveva permesso la cattura di Viola? Perché non prevenire il delitto, anziché punire il delinquente? E Zanoni, amava realmente Viola? E se l’amava, perché l’aveva offerta a lui, a un rivale che le sue arti avrebbero potuto rendere impotente con la massima facilità? Glyndon non credeva ormai più che Zanoni e Viola fossero stati d’accordo per obbligarlo a sposarla. Il suo timore e la sua reverenza per il primo respingevano ormai l’idea d’una sì meschina impostura. Egli stesso, amava ancora Viola? No. Quando al mattino aveva udito del suo pericolo era tornato, è vero, ai timori dell’affetto ma, con la morte del principe, l’immagine di lei era svanita di nuovo dal suo cuore ed egli non provava nessuna fitta di gelosia al pensiero che lei era stata salvata da Zanoni e che in quel momento, probabilmente, si trovava sotto il suo tetto. Ormai Glyndon non aveva più che un solo acuto e sublime desiderio: voleva essere il rivale di Zanoni, non negli affetti umani e mortali, ma nella sapienza soprannaturale e immortale. Avrebbe rinunciato alla vita con gioia, anzi con felicità, se tale fosse stato il prezzo richiesto per conoscere quei solenni segreti che separavano lo straniero dall’umanità.

Innamorato di quella che era la dea delle dee, egli stese le braccia e si protese nell’etere infinito.

La notte era serena e l’inglese procedeva lungo la spiaggia, dove piccole onde venivano a morire ai suoi piedi. Finalmente giunse al luogo indicato e lì, appoggiato contro la solitaria colonna, scorse un uomo avvolto in un lungo mantello e in atteggiamento di profonda meditazione.

Gli si avvicinò e pronunciò il nome di Zanoni. L’uomo si volse, e vide il volto d’uno sconosciuto: un viso non modellato nella gloriosa bellezza di Zanoni, ma egualmente maestoso e forse anche più grave, perché marcato dall’età matura e dalla profondità del pensiero libero e disinteressato; la fronte molto spaziosa era sottolineata da occhi scuri e penetranti.

«Voi cercate Zanoni», disse costui, «egli verrà subito; ma, forse, colui che vedete ora è più legato al vostro destino e più disposto a realizzare i vostri sogni.»

«Vi è dunque sulla terra un secondo Zanoni?»

«Se così non fosse, perché accarezzereste la speranza e la fede di essere come Zanoni? Credete forse che nessun altro mai abbia inseguito il medesimo sogno? Chi, difatti, nella sua prima gioventù – quando cioè l’anima è più vicina al cielo dal quale venne e le sue divine nostalgie non sono ancora del tutto cancellate dalle sordide passioni e le cure meschine del tempo –, chi nella prima gioventù non ha nutrito la certezza che l’universo nasconda dei segreti ignoti alla massa, e non ha aspirato – come il cervo all’acqua limpida – conoscere le sorgenti che giacciono nascoste e lontane tra le vaste solitudini di una scienza ormai smarrita? La musica della sorgente viene udita dall’anima “interiore”, finché il passo, errante e deluso, non si allontana dalle sue acque e il viandante muore nello sconfinato deserto. Credete che nessuno tra quelli che accarezzarono quella speranza, riuscì mai a trovare la verità? O che il desiderio dell’ineffabile conoscenza ci fu dato invano? No! Ogni desiderio del cuore umano non è se non un presentimento di cose che esistono, lontane e divine. Nel mondo sono esistite, di secolo in secolo, alcune menti più illuminate e più felici che hanno raggiunto l’atmosfera ove si muovono esseri superiori ai comuni mortali. Zanoni, per grande che sia, non è solo. Ha avuto i suoi predecessori, e lunghe file di successori possono ancora venire.»

«Intendete dire», domandò Glyndon, «che nella vostra persona io contemplo uno di quei pochissimi sui quali Zanoni non ha superiorità di potere o di saggezza?»

«In me», rispose lo sconosciuto, «voi vedete uno dal quale Zanoni stesso imparò alcuni dei suoi maggiori segreti. Su questa spiaggia, in questo luogo, io sono già stato in epoche che le vostre cronache a stento conoscono. I Fenici, i Greci, i Romani, li ho veduti tutti!... Ma ciò non può interessarvi, e siete saggio nella vostra indifferenza. Non nella conoscenza delle cose esteriori, ma nella perfezione dell’anima interiore consiste la ricchezza dell’uomo che aspira a esser più degli altri uomini.»

«E quali libri contengono la vostra scienza, da quale laboratorio la si ottiene?»

«La Natura ne fornisce i materiali. Vi stanno attorno nelle vostre passeggiate quotidiane; nelle erbe che l’animale divora e il chimico disdegna di cogliere; negli elementi, dai quali la materia nelle sue minime e nelle sue massime forme vien dedotta; nel vasto seno dell’aria e nei neri abissi della terra, ovunque sono offerte ai mortali le risorse e i volumi della dottrina immortale. Ma come i più semplici problemi degli studi più elementari sono oscuri a colui che non rinforza la propria mente per la loro comprensione, come il mozzo di quel vascello laggiù non può dirvi perché due circoli possano toccarsi solo in un punto; così, sebbene la terra tutta sia composta e intessuta con parole di divina sapienza, i caratteri ne sono senza valore per colui che non si ferma a indagarne il linguaggio e a meditarne la verità. Giovanotto, se la vostra immaginazione è vivace, se il vostro cuore è coraggioso, se la vostra curiosità è insaziabile, io vi accetterò come discepolo. Ma vi avverto che le prime lezioni saranno severe e paurose.»

«Se voi che le avete superate, perché non lo potrei anch’io?» rispose Glyndon audacemente. «Fin dall’infanzia ho sentito in me che strani misteri avvolgevano il mio avvenire; e dalle mete più orgogliose d’una ordinaria ambizione ho girato lo sguardo nella buia nebbia che si stende al di là. Nell’istante stesso in cui scorsi Zanoni, sentii di aver trovato la guida e il tutore per il quale la mia giovinezza aveva via via pigramente languito o ardentemente bruciato, invano.»

«Il suo compito viene trasferito a me», rispose lo straniero. «Vi è laggiù, ancorato nel golfo, il vascello sul quale Zanoni cerca una casa più lieta; ancora poco tempo e la brezza gonfierà la vela, e andrà via, come il vento. Ma, come il vento, egli lascia nel vostro cuore il germe che può recar fiore e frutto. Zanoni ha iniziato il suo compito, non abbiamo più bisogno di lui. Colui che recherà a perfezione il suo compito, è al vostro fianco. Ma egli viene! Odo il battere d’un remo. Vi verrà nuovamente offerta la vostra scelta. A seconda di quanto deciderete, noi c’incontreremo di nuovo, oppure no.»

Con queste parole lo sconosciuto s’allontanò lentamente e scomparve nell’oscurità che avvolgeva le scogliere. L’imbarcazione avanzò rapidamente: ne scese un uomo, e Glyndon riconobbe Zanoni.

Questi, dopo un breve saluto, entrò subito in argomento: «Glyndon, io non vi offro più la scelta d’un amore felice e d’un sereno avvenire. Quell’ora è superata, e il destino ha unito alla mia quella mano che avrebbe potuto essere vostra. Ma ho ancora altri doni da offrirvi se volete abbandonare la speranza che vi rode il cuore e la cui realizzazione nemmeno io ho il potere di vedere. Lasciate che la vostra ambizione sia umana, e io la potrò colmare pienamente. Gli uomini desiderano quattro cose nella vita: amore, ricchezza, celebrità e potere. La prima non ve la posso più dare, le altre sono tuttora a mia disposizione. Scegliete quella che volete e separiamoci in pace.»

«Non sono questi i doni ch’io desidero. Io scelgo la Conoscenza, quella conoscenza che è pure in vostro potere. Per questo, e solo per questo, ho rinunciato all’amore; questa, e questa solo, deve essere la mia ricompensa.»

«Non vi posso contrariare, sebbene vi possa ammonire. Il desiderio d’imparare non sempre racchiude le possibilità di acquisire. Io vi posso dare, è vero, l’istruttore; ma il resto dipenderà unicamente dalle vostre facoltà. Siate savio in tempo, e prendete quanto io vi posso assicurare.»

«Rispondete solo a queste domande, dopo di che deciderò. È nel potere dell’uomo di ottenere comunicazioni con gli esseri d’altri mondi? È nel potere dell’uomo d’influenzare gli elementi e di assicurare la propria vita contro la spada e la malattia?»

«Tutto ciò è possibile», rispose Zanoni, «ma solo a pochi. Per uno solo che raggiunga tali segreti, milioni possono perire nel tentativo.»

«Una domanda ancora. Voi...»

«Attento! Di me stesso, come già dissi, non rendo conto a nessuno.»

«Allora, devo credere ai vanti dello sconosciuto che ho incontrato stanotte? È egli, lo sconosciuto, uno di quei profeti prescelti che ammettete abbiano conquistato quei misteri ai quali agogno?»

«Oh, uomo temerario!» disse Zanoni in tono di compassione «la vostra crisi è ormai passata e la vostra scelta decisa! Posso solo augurarvi d’essere coraggioso e di prosperare. Sì, io vi cedo a un maestro che ha veramente il potere e la volontà di aprirvi i cancelli d’un mondo terribile. Sappiate però che il vostro benessere o la vostra miseria sono nulla agli occhi della sua inflessibile saggezza. Vorrei raccomandargli di risparmiarvi, ma non mi darebbe retta. Mejnour, accogliete il vostro discepolo!»

Glyndon si volse, e il suo cuore batté quando vide che lo sconosciuto, i cui passi non aveva udito ed il cui avvicinarsi non aveva veduto nel chiaro di luna, era di nuovo al suo fianco!

«Addio», continuò Zanoni, «la vostra prova ha dunque inizio. La prossima volta che c’incontreremo, voi sarete vittima o vincitore.»

L’occhio di Glyndon lo seguì mentre ritornava nella barca, e allora per la prima volta s’accorse che accanto ai rematori vi era una figura femminile, che si alzò in piedi per accogliere Zanoni. Anche a distanza egli riconobbe la figura già tanto adorata di Viola. Ella gli fece un cenno con la mano, e attraverso l’aria calma e luminosa, gli giunse la sua voce dolce e triste: «Addio, Clarence... io vi perdono! Addio... addio!»

Egli tentò di rispondere, ma era troppo commosso e le parole gli mancarono. Viola era dunque perduta per sempre, partita con quel misterioso personaggio: l’oscurità sommergeva il suo destino!

La barca si allontanava, recando i due innamorati, finché raggiunse il vascello, che già gonfiava allegramente le vele al primo alzarsi d’un fresco vento. Glyndon, volgendosi a Mejnour, ruppe il silenzio: «Ditemi, se potete leggere nel futuro, ditemi che il suo destino sarà bello, e che la sua scelta almeno è stata saggia.»

«O mio discepolo!» rispose Mejnour con un tono che ben si addiceva alle parole raggelanti. «Il tuo primo compito deve consistere nel ritirare ogni pensiero, o sentimento, o simpatia, dagli altri. Lo stadio elementare della conoscenza è di rendere il sé, e soltanto il sé, il tuo studio e il tuo mondo. Hai scelto il tuo destino, hai rinunciato all’amore, hai ripudiato la ricchezza, la celebrità, le pompe volgari del potere. Che cosa è dunque per te l’umanità? D’ora innanzi, il tuo solo scopo è di perfezionare le tue facoltà e concentrare le tue emozioni!»

«E la fine sarà la felicità?»

«Se la felicità esiste», rispose Mejnour, «dev’essere concentrata nel sé, al quale le passioni sono sconosciute. Ma la felicità è l’ultimo stadio dell’essere, e finora tu non sei che sulla soglia del primo stadio.»

Mentre Mejnour così parlava, il vascello si allontanava lentamente. Glyndon sospirò, e discepolo e maestro ritornarono verso la città.



– da “Zanoni” di Edward Bulwer-Lytton



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