di Andrea Ceccomori
Viviamo immersi in un mondo di suoni, addirittura esistiamo grazie ad un mare di suoni. Il Suono e la musica sono ancora mondi da esplorare e da vivere. Forse la vera musica deve ancora manifestarsi.
Oggi la musica viene perlopiù vissuta e comunicata grazie ad un sistema più o meno codificato, per cui si consuma quel dato modello musicale ad uso personale o secondo il gusto del gruppo di appartenenza. Ci si accontenta di avere dalla musica un sentimento ed una sensazione standardizzata dovuta ad una codificazione di massa relativa all’oggetto musicale.
L’uso continuato e ripetuto di certi tipi di musica, a cui siamo oggi abituati, crea un’abitudine ed un comportamento standardizzato proprio in virtù del potere magico-evocativo della musica. Ma fino a che a creare simili abitudini saranno le strutture del mercato dominato dai gusti musicali ancora acerbi della società, la musica rimarrà incatenata alla pura funzione estetica.
C’è tuttavia un altro passaggio che la musica dovrà compiere nel prossimo futuro, la musica intesa come prodotto umano: la musica passerà da una funzione puramente estetico-rappresentativa che ha dominato fino ad oggi, ad una funzione pratica e vitale, uscirà cioè dagli schemi chiusi di produzione-fruizione e diventerà invece strumento di trasformazione dell’individuo e delle masse grazie al suo potere primario profondo: l’essere.
Già Wagner intuiva questa direzione affermando nel suo “Religione e Musica” la seguente frase: “la musica uscita dalle mura del tempio vivificherà tutte le cose della natura”. L’uomo cioè si servirà della musica come strumento di conoscenza di sé, del proprio ambiente, del proprio simile, delle proprie azioni, dei propri pensieri; l’uomo arriverà ad essere il musico di se stesso. Armonizzerà il suo essere grazie agli elementi della musica, diventerà il maestro di se stesso. Occorre solo cominciare a pensarsi e a viversi come musica, come movimento vitale, come ritmo.
La musica ha radici e poteri profondi: il prologo di S. Giovanni parla del Verbo come principio di tutte le cose: il Verbo che è l’essere, è l’OM.
Dunque la musica in essenza è l’essere (Io sono colui che è, dice il roveto ardente di Mosè). Tutte le cose che esistono, esistono grazie ad un aggregato di atomi e particelle la cui struttura di aggregazione si armonizza secondo un criterio armonico musicale. Tutta la nostra anima vibra secondo un suono (e una luce) eterno (il sacro suono) che soggiace alla nostra coscienza e che rimane per ora nascosto a causa della nostra natura ancora corrotta.
Ora queste strutture di aggregazione possono essere solo intuibili sul piano sonoro: non esistono musiche (ad esempio quella del DNA) che abbiano un significato reale sulla vita emotiva di un uomo capace di imprimergli significativi cambiamenti di stati d’animo. Dovremmo tuttavia cominciare ad intuire e ad immaginare come potrebbe suonare una qualsiasi cosa ci viene in mente, che suono potrebbe avere. Questo esercizio ci porrà in un atteggiamento di ascolto e di apertura che fornirà energia sul piano evolutivo. Stockhausen stesso pensò per primo ad un uso intuitivo della musica.
Dunque l’essere della musica ci porta a formulare il predicato “Io sono”, dove l’ “io” appunto è l’ente del soggetto e il “sono” è l’azione che agisce sull’essere a cui dà vita, forma ed energia. Ovviamente ogni cosa suona perché ha un soggetto, un numero che la identifica. Questo è il potere supremo della musica che gli antichi ben conoscevano allorché usavano la musica nei riti magici e religiosi, usavano la musica per chiamare all’esistenza ed evocare entrando in sintonia con le cose, usavano la musica per creare e per distruggere.
Ora si tratta di riappropriarsi dell’uso dell’arte della musica, dunque il musicare è una capacità che richiede una maestria, ma non tanto una maestria tecnica del linguaggio musicale, quanto piuttosto una capacità di saper riconoscere e comprendere il valore della musica e del suono, saperlo riconoscere nei suoi effetti, nei suoi movimenti, sapere insomma ascoltarlo.
Gli effetti del suono sono molto importanti per uno sviluppo del potenziale conoscitivo dell’uomo. Bisogna imparare a riconoscere gli effetti che una tale musica suscita su di noi. Ogni musica, in base ai suoi elementi, ritmo, tonalità, modalità, timbrica, andamento, proporzione armonica, ecc. agisce comunque, nostro malgrado, ad un livello profondo che noi dovremmo imparare a riconoscere, per aprire la nostra consapevolezza.
Questi effetti sono causati dalla legge della risonanza che, in musica come altrove, governa i principi fondamentali dell’esistenza. Sappiamo infatti che ogni fenomeno dà luogo ad altri fenomeni analoghi proprio per il fatto di esistere, amplifica così la propria esistenza di passo in passo muovendosi ed attraendo o respingendo verso il proprio simile o contrario. Questa conoscenza è fondamentale per imparare ad ascoltare: possiamo infatti ascoltare solo ciò che risuona, cioè che suona almeno due volte. Questo ci dà la profondità e la realtà di un corpo sonoro (non diamo forse due colpetti ad un pezzo di legno per sentirne lo stato perché uno solo non è mai sufficiente?).
Buddha stesso ricevette l’illuminazione grazie ad una considerazione di carattere musicale: la tensione della corda che risuona solo ad un certo grado, che è il punto critico di esistenza stessa del suono.
Pitagora conosceva sommamente il potere di suddivisione della corda tesa, fino a studiarne appunto il suo sistema musicale basato sulle quinte naturali, cioè non aggiustate secondo i canoni del temperamento equabile moderno, per cui oggi abbiamo solo due sfumature modali: maggiore e minore; è come dire di ascoltare in bianco e nero.
Una delle leggi fondamentali sugli effetti della musica sull’uomo e sulle cose è la legge dell’ottava di Gurdjieff, secondo cui ogni cosa esiste grazie ad un movimento evolutivo direzionale costante che parte da un punto a di origine ed arriva ad un punto b (dal do al do superiore dell’ottava). Ecco che in questa legge dell’ottava si realizza l’intento di un agente causale di raggiungere il proprio effetto attraverso interferenze di natura evolutiva provenienti da altri agenti causali originati altrove. E’ sicuramente un po’ complessa come spiegazione ma ci può far capire come tutto nell’universo è interdipendente e relazionabile.
La storia della nostra musica occidentale ci ha mostrato come si è passati da un uso più o meno “oggettivo” della musica (cioè in grado di comunicare l’effetto desiderato) tipico ad esempio di ciò che è il canto gregoriano che intendeva elevare lo spirito a Dio, ad un uso sempre più “soggettivo” cioè legato agli “umori” e alle più o meno ispirazioni del compositore.
La musica di Bach è stata forse l’unico esempio di fusione in certo qual modo tra musica oggettiva e musica soggettiva, dove il linguaggio musicale esprimeva intenti chiaramente universali come gioia o dolore, attraverso la conoscenza ipotetica di una possibile “struttura” della gioia, come se Bach sapesse appunto come potesse suonare universalmente il sentimento della gioia.
Si dice che la musica sia un linguaggio universale: per certi aspetti è vero, se pensiamo al tamburo sciamanico che ritualizza le fasi magiche, oppure le convenzioni sonore militari, oppure altri codici sonori che significano comunque qualcosa di preciso grazie alla convenzione internazionalmente riconosciuta. Ma si tratta per buona parte appunto di convenzioni. Forse un sentiero che si può additare come possibile percorso verso una universalizzazione del linguaggio musicale lo si può trovare nel fatto che certi sentimenti o emozioni sono controllabili con dei parametri che sono universali, per cui risuonano e dunque esistono per tutti allo stesso modo, ma ciò sarà possibile dopo una lunga evoluzione della coscienza.
Dopo questa conoscenza relativa a Bach, la musica è diventata sogno (il romanticismo, l’opera, ecc.) fino a perdere le connotazioni intrinseche e a diventare pura soggettività da parte di chi “crea” e da parte di chi “ascolta”.
Il futuro sarà dominato da un ritorno a tale conoscenza, grazie allo sviluppo delle nostre facoltà intuitive, grazie alle conoscenze e i progressi spirituali dell’uomo. Riusciremo a sentire il suono delle cose. Anche i musicicisti capiranno che dovranno servire la musica per farne uno strumento di conoscenza e comunicazione reale, e non più come ora essere serviti dalla musica per comunicare la propria vacuità e soggettività.
Il percorso è ancora lungo ma la nuova civiltà sta già iniziando con la necessità di individuare e personalizzare la propria identità musicale e per scoprire il proprio ruolo sociale.
La musica considerata ancora come veicolo di messaggi (tanto nello stadio quanto in teatro) può già cominciare fin d’ora intanto a parlare di questo fermento di identità e ricerca personale attraverso gli artisti che oggi fanno musica, fino ad arrivare un giorno ad uno stato più evoluto dove la musica diventerà la regina del proprio essere e del proprio manifestarsi.
http://www.ceccomori.it/blog2.php/lingua/ita/id/243
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