sabato 16 febbraio 2013

Osservazione e Ricordo di Sé



(chi è questo strano individuo nel quale abito...
e che intenzioni ha?)


Per arrivare a osservarsi veramente occorre innanzitutto ricordarsi di se stessi. Altrimenti, voi non siete nelle vostre osservazioni; e in questo caso quale può essere il loro valore?
G.I. Gurdjieff (cit. in Frammenti di un Insegnamento Sconosciuto, di P.D. Ouspensky)

Coloro che sanno questo sanno già molto. Il guaio è che nessuno lo sa. Se domandate a qualcuno se può ricordarsi di se stesso, vi risponderà naturalmente che può. Se un uomo realmente sa che non può ricordarsi di se stesso, è già vicino a una comprensione del suo essere.
G.I. Gurdjieff (ibidem)


Se vogliamo divenire degli autentici maghi il nostro scopo deve essere il risveglio.
Non possiamo conseguire alcunché di sovranaturale in una situazione di addormentamento nella quale non vediamo la realtà e ci limitiamo a proiettarne all’esterno una illusoria, edificata sulla base di quelle che sono le nostre attuali caratteristiche psicofisiche.

Ognuno di noi vive in un suo mondo soggettivo: a seconda delle nostre peculiarità fisiche, emotive e mentali proiettiamo all’esterno una realtà che non può mai essere oggettiva, in quanto è sempre solo il riflesso di tali peculiarità. La nostra genetica, l’educazione, i traumi infantili, l’ambiente in cui siamo vissuti... tutto ha contribuito a plasmare sia il corpo che la psiche, per cui adesso percepiamo un mondo interamente soggettivo. Esso è simile a quello di tutti gli altri unicamente nella misura in cui il nostro apparato psicofisico è simile – ma mai identico – a quello di tutti gli altri.


La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe.
Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità.

Gialal al-Din Rumi, poeta sufi


Nello stato ipnotico in cui ci troviamo non agiamo, bensì ci limitiamo a re-agire agli stimoli esterni, esattamente come «macchine biologiche» fabbricate per sopravvivere. La nostra personalità infatti non è altro che una macchina biologica il cui compito è re-agire con la massima efficacia di cui è capace alle situazioni quotidiane. Finché dormiamo restiamo ʻmacchine per la sopravvivenza’.

Se qualcuno ci insulta, noi nel rispondere non agiamo in maniera consapevole, ma re-agiamo come farebbe una qualsiasi macchina che è stata programmata per farlo. Nei rapporti con il partner, sul lavoro, mentre guidiamo, davanti alla televisione... non siamo in grado di agire attivamente – con coscienza – ma reagiamo passivamente a tutti gli impulsi esterni secondo quelle che sono le nostre caratteristiche psicofisiche, cioè i programmi di reazione che si trovano registrati nel subconscio di ciascuno.

Durante un colloquio di lavoro siamo nervosi: lo abbiamo voluto noi o stiamo subendo l’azione di un meccanismo che si trova preregistrato nel nostro apparato psicofisico?
Mentre guidiamo la nostra auto qualcuno ci taglia la strada in maniera brusca e ci irritiamo: lo abbiamo voluto noi o stiamo subendo l’azione di un meccanismo che si trova preregistrato nel nostro apparato psicofisico?
Nel corso di un esame universitario siamo ansiosi e abbiamo paura di fallire: lo abbiamo voluto noi o stiamo subendo l’azione di un meccanismo che si trova preregistrato nel nostro apparato psicofisico?
Quando il nostro partner ci abbandono cadiamo in depressione, oppure diventiamo violenti: lo abbiamo voluto noi o stiamo subendo l’azione di un meccanismo che si trova preregistrato nel nostro apparato psicofisico?

I nostri consueti modi di pensare e i nostri abituali atteggiamenti emotivi sono così radicati in noi da rispondere al posto nostro. Di fronte agli eventi della vita la nostra autocoscienza, non essendo ancora stata pienamente sviluppata, non ha mai la forza di agire in maniera consapevole, viene quindi bypassata dai nostri meccanismi psichici: all’evento corrisponde immediatamente una reazione di tipo fisico ed emotivo senza che noi, in quanto autocoscienza, possiamo fare nulla per intervenire.

Siamo schiavi della nostra natura inferiore, la quale segue le leggi meccaniche della sopravvivenza, esattamente come ogni altro animale. Per uscire da questa poco rassicurante situazione e trasformarci in maghi, dobbiamo cominciare a sviluppare la nostra «presenza», una reale autocoscienza: la coscienza del qui-e-ora.

L’osservazione di noi stessi, cioè l’osservazione distaccata, giorno dopo giorno, dei comportamenti inerenti la nostra personalità – il nostro apparato psicofisico – consente la progressiva creazione di un «testimone»: una parte di noi che non si lascia coinvolgere dalle sofferenze o dai piaceri del corpo, dal dolore o dall’euforia, ma li guarda con compassione prendendone le distanze.

Il «testimone» diviene in tal modo gradualmente consapevole di essere qualcosa di diverso da un mucchio di carne, qualche emozione e una serie di pensieri. Esso, sviluppandosi grazie all’osservazione, provoca al contempo, come per magia, la disgregazione dei nostri «composti psichici»: le paure, i rancori e i giudizi del nostro lato animale. Il «testimone» non è altro che l’embrione del nostro Sé, l’anima immortale, la nostra parte più profonda.

Tutti noi abbiamo un’anima, ma è come se non l’avessimo fino a quando non diveniamo tutt’uno con essa. Di norma l’anima esiste in noi solo ʻin potenza’, come possibilità realizzativa, ma non siamo capaci di sentirla – o meglio, di esserla. Restiamo pertanto tenacemente identificati con la nostra parte più animale, illudendoci di essere solo quella: materiale deperibile!

La creazione del «testimone» non serve a operare il controllo sulla realtà: il dominio sulla materia è ancora un basso desiderio dell’Io. Attraverso l’osservazione dei comportamenti della personalità il «testimone» ci consente di spostare giorno dopo giorno la nostra coscienza dall’involucro animale all’essenza spirituale, fino all’identificazione completa con la pace del Sé. Dobbiamo assistere in silenzio, dietro le quinte, senza modificare qualcosa intenzionalmente.

Cosa vuol dire osservarsi?
Dobbiamo cominciare a considerare ogni manifestazione della nostra personalità come materiale di studio, senza identificarci con le emozioni e i pensieri che essa produce in continuazione. L’aggressività, l’invidia, la competitività, la paura, il senso di inadeguatezza... sono espressioni dell’animale di cui siamo ospiti che noi dobbiamo prima conoscere e poi imparare a controllare e sfruttare a nostro vantaggio.

Non possiamo però ottenere questi risultati tentando di controllare direttamente la macchina. Il mago/alchimista agisce con astuzia: si limita ad osservare tutto senza provare ad alterare nulla... anche perché all’inizio non sapremmo cosa è meglio cambiare e cosa è meglio che resti com’è.

Come farebbe uno scienziato – e il vero mago ha da essere tale – ognuno di noi deve annotare i comportamenti della macchina biologica senza alcun coinvolgimento, quasi fossero questione che non lo riguardano personalmente. Proseguendo sul sentiero magico/alchemico capiremo presto quanto ciò che noi veramente siamo non ha nulla da spartire con una mente e un involucro di carne.

Tali radicali considerazioni non implicano, si badi bene, l’indifferenza o addirittura il disprezzo per la personalità... tutt’altro... l’amore per essa e per le sue difficoltà è l’energia che deve muovere la nostra osservazione distaccata. Il giudizio nei confronti della nostra personalità, così come il giudizio verso quella degli altri, ci ricaccia nell’ego impedendoci ogni genere di sviluppo. Comprenderemo che noi certamente non siamo né mente né materia, ma allo stesso tempo sentiremo il bisogno di amare ed elevare mente e materia spiritualizzandole.

Se stiamo giudicando alcuni aspetti di noi che non ci piacciono, ciò è segnale sicuro che non stiamo osservando con gli occhi del «testimone», ma ancora con quelli della mente. Se ci stiamo giudicando troppo addormentati, o troppo aggressivi, o troppo impacciati... non è il «testimone» a osservare. Il giudizio nei riguardi di noi stessi e di chi ci circonda deve scomparire dalla nostra vita, o non progrediremo di un passo. Il «testimone» osserva dapprima con distacco e poi addirittura con amore e infinita compassione. Dobbiamo stare all’erta, perché la macchina biologica farà di tutto per giocarci!

Per favorire il processo di osservazione è consigliabile tenere un diario personale – o meglio, un diario ʻdella personalità’! – sul quale annotare la sera, prima di andare a dormire, le manifestazioni della macchina biologica che a noi sono sembrate maggiormente rilevanti.

– Cosa l’ha fatta irritare?
– Cosa le ha dato fastidio?
– Cosa l’ha fatta sentire in imbarazzo?
– Quali sono i suoi atteggiamenti più tipici nell’ambiente di lavoro?
– Come si comporta con il partner?
– Quali sono le cause dei litigi? Come risponde alle offese?
– Quali sono gli argomenti sui cui vertono più spesso le sue conversazioni?
– Cosa le dà più fastidio quando è alla guida dell’auto?
– ... ... ...

Un simile processo di osservazione, in fondo, viene compiuto anche nel corso di una terapia psicanalitica., dove il paziente, mettendo l’attenzione sugli eventi passati e presenti della sua vita, impara a guardarli e ad analizzarli in maniera distaccata, quasi come non appartenessero più a lui. Con il passare del tempo, attraverso il dialogo, egli riesce a togliere loro la pesante drammaticità di cui sembravano pervasi. In un certo senso lo psicanalista fa le veci del testimone interiore. Se anche nel campo della psicanalisi venisse spiegato che la «liberazione» definitiva dell’individuo è possibile solo nella misura in cui si crea una nuova ʻentità’, un testimone interno capace di non farsi coinvolgere dagli aspetti grossolani dell’apparato psicofisico, tutto il processo risulterebbe più rapido.


LA PRESENZA

La «presenza» – detta anche «ricordo di sé» o «consapevolezza del qui-e-ora» – di cui adesso tratteremo, può essere vista come una forma intensa e concentrata della semplice osservazione di sé. Nell’ambito di questa pratica si tratta di essere presenti qui-e-ora almeno in corrispondenza di determinate occasioni che vengono stabilite a priori. Dobbiamo cioè osservarci nel mentre compiamo certe azioni o manifestiamo certe reazioni emotive, e non prima o dopo come accade nella normale osservazione.

Quando ci risvegliamo completamente alla nostra anima il ricordo di sé diventa uno stato costante. Allora diventiamo presenti qui-e-ora per ventiquattro ore al giorno... anche nel sonno. Si verifica infatti un particolare fenomeno detto «continuità di coscienza»: l’apparato psicofisico sta riposando, ma l’anima, il Sé, resta ininterrottamente vigile e cosciente. Fino a quando però non ci troviamo in uno stato permanente di risveglio dobbiamo organizzare i nostri tentativi di rimanere presenti qui-e-ora secondo una ben definita serie di sforzi.

Il ricordo di sé è un livello di coscienza superiore che possiamo raggiungere solo sforzandoci di ricordarci di noi. Si tratta dell’unica autentica autocoscienza, che noi esseri umani ci vantiamo di possedere per diritto di nascita, ma che invece, come vedremo più avanti provandolo sulla nostra pelle, non possediamo affatto, in quanto non è possibile essere autocoscienti se non nei momenti della nostra vita nei quali ce lo ricordiamo in maniera consapevole. In altri termini: per essere autocoscienti... dobbiamo essere autocoscienti, e non basta credere di esserlo sul piano intellettuale.

Ricordarsi di sé implica che diveniamo finalmente autocoscienti concentrando tutta la nostra attenzione nell’Adesso. Un’attività a cui noi esseri umani, sempre persi nei ricordi del passato e nelle anticipazioni del futuro, non siamo abituati. Eppure, come ogni essere illuminato può testimoniare, solo l’Adesso esiste realmente, mentre i ricordi del passato e le nostre fantasie sul futuro sono frutto di un’attività meccanica e incontrollata della mente. Una volta messa a tacere la mente grazie alla pratica della presenza, i problemi sono finiti.

La pratica del ricordo di sé ha origini antichissime: di solito viene assegnata alla tradizione Sufi – l’esoterismo islamico – ma con ogni probabilità proviene dalle civiltà già presenti sul continente atlantideo. In occidente è stata introdotta grazie alla preziosa opera divulgativa di George Ivanovitch Gurdjieff e del suo allievo Piotr Demianovitch Ouspensky e, più di recente, dall’americano Eugene Jeffrey Gold, ai testi dei quali rimandiamo per ulteriori approfondimenti.

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Il ricordo di sé è il fenomeno più importante sia della Magia che dell’esoterismo in genere. Compreso questo, l’uomo possiede la chiave per farsi progressivamente strada in altri stati di coscienza e acquisire nuovi poteri. L’unico modo che abbiamo per capire cosa è il ricordo di sé è fare degli esercizi; esso non può infatti venire afferrato attraverso una spiegazione intellettuale come un qualunque altro concetto.

Possiamo conoscere il sonno della coscienza solo se tentiamo di contrastarlo: se noi siamo nati in catene, se siamo nati in una prigione, fino a quando non proviamo a uscire e ci accorgiamo che è difficilissimo, non abbiamo alcuno strumento per capire di essere nati dentro un carcere. Fino a quando stiamo zitti e buoni all’interno della nostra prigione tutto fila liscio; solo quando tentiamo di superare il muro perimetrale, e non ci riusciamo, comprendiamo che non siamo liberi e non lo siamo mai stati.

Attraverso il persistente sforzo teso al ricordo di sé si produce nella materia della macchina biologica – l’apparato psicofisico – una trasmutazione alchemica che consente di costruire prima il «testimone» e poi il «corpo dell’anima» o «corpo di gloria» e di trasferire in esso la nostra coscienza. Tale nuovo corpo ospita infatti il Sé, e non più l’ego, che è invece ancora un Io psichico legato all’apparato psicofisico.

Il Sé sopravvive alla morte della macchina biologica. Ciò significa bere dal Sacro Graal l’Elixir Vitae Aeternae: è il conseguimento della Pietra Filosofale, l’apertura del Cuore.

Questo risultato si ottiene grazie ai ripetuti sforzi tesi verso l’osservazione di sé e il ricordo di sé, la pratica del non-giudizio, il perdono e l’«imitatio Christi».


– da “La Porta del Mago” di Salvatore Brizzi



1 commento:

tarocchipensiero ha detto...

Bel post certamente!! Aggiungo una considerazione soltanto, che va a completare quanto riferito sull'idea di Testimone e ricordo di se'. Me l'ha suggerita Osho.
Ed e' fondamentale altrimenti si potrebbe credere che lo sviluppo del Testimone sia un'opera fredda, analitica e magari ossessiva - un lavoro mal compreso sulla separazione. Brizzi in un passaggio si preoccupa di chiarire, ma non e' cosi' efficace NEL FAR COGLIERE che il punto centrale non e'lo sforzo ed il lavoro (cosa sulla quale, a mio avviso, sbagliava anche G.) bensi' ALLEGGERIRE L'ANIMA, e dunque Fare autenticamente, fluire senza attriti. Da qui la partenza per "il lavoro", che e' paradossalmente il fine. Ma qui la logica e' infatti un'altra.Non occorre argomentare piu' oltre.Lasciamo chi si dis-corra...

"Tu pensi che il testimone sia qualcosa di separato, di distaccato. Non lo e'.LA TUA INTENSITA', LA TUA TOTALITA', SONO IL TESTIMONE. Quindi, allorche' osservi come un testimone imparziale e al tempo stesso fai qualcosa, NON SEI DUE ENTITA'- colui che fa e colui che osserva.PER ESEMPIO, stai danzando: colui che balla e il testimone non sono due entita', NON ESISTE SEPARAZIONE. LA SEPARAZIONE ESISTE SOLO NEL LINGUAGGIO: colui che danza e' il testimone. Se non lo e', allora non puo' essere totale nella danza, PERCHE' IL TESTIMONE AVRA' BISOGNO DI ENERGIA E TU DOVRAI DIVIDERE IN DUE IL TUO ESSERE. In questo caso, una parte rimarra' un testimone e l'altra ballera'. Non potra' esserci totalita', ci sara' divisione. E non e' cio' che io intendo: QUESTO E' UNO STATO DI SCHIZOFRENIA" (Osho)

GATE,GATE,PARAGATE, SWAHA. ANDATO, ANDATO, ASSOLUTAMENTE ANDATO.LASCIA CHE SVANISCA TRA LE FIAMME.

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